Non si esce vivi dagni anni ottanta: recita così il titolo di una celebre canzone degli Afterhours. Con Stranger Things, una serie veramente ben fatta, Netflix celebra questa maledizione che ci portiamo dentro, noi ovvero quella generazione nata negli anni settanta che visse l’adolescenza in un mondo spaccato a metà tra USA e URSS, sull’orlo di un conflitto nucleare sempre dietro l’angolo, con ideologie ancora forti e resistenti, con valori ben saldi come la famiglia e l’amicizia, con una visione naif della tecnologia. La trama è semplice ed è volutamente derivativa da un magistrale mix basato su sceneggiature di pellicole cult di quegli anni come E.T, The Goonies, La cosa, Stand by Me riuscendo a fondere l’immaginario di Steven Spielberg, John Carpenter e Stephen King in una maniera perfetta. La scelta degli attori è magica riesumando celebrità di un ventennio fa come Winona Ryder e Matthew Modine. Ma il salto spazio-temporale riesce alla perfezione grazie ad una colonna sonora non-originale unica. Should I Stay Or Should I Go dei Clash, Africa dei Toto o Elegia dei New Order, ma anche di intramontabili hit degli anni Sessanta come White Rabbit o She Has Funny Cars dei Jefferson Airplane o il classico Atmosphere dei Joy Division. Da non trascurare la colonna sonora originale di Kyle Dixon and Michael Stein (dalla band Survive), propongono un sound a base di synth che affonda le radici tra Vangelis e Tangerine Dream con un approccio molto cinematico e suggestivo. Questo loro progetto esce per l’etichetta Lakeshore Records che è da tenere d’occhio per la produzione di colonne sonore elettroniche di questi ultimi anni. Quando la musica è ponte di memoria ed emozioni.
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