L’autobiografia di solito è un memoriale di momenti belli da ricordare per chi la scrive, dove si tirano le somme il più delle volte in positivo. Nel caso di Sing Backwards And Weep siamo davanti ad un confessionale crudo, esplicito e dettagliato con momenti tragici e di grande autoironia da parte del songwriter statunitense. Non c’è mai autocommiserazione, c’è l’ammissione ed il racconto di una vita randagia alla ricerca di un costante squilibrio e c’è disamore interiore. Qui parole come Sesso, Droga e Rock ‘n’ Roll fanno rima non con Rockstar, lusso, eccessi ed edonismo sfrenato, ma con miseria, oscurità, autolesionismo, morte, meschinità e malavita. Nei 43 capitoli ci sono veri pugni nello stomaco perchè puntano le telecamere dietro le quinte della Seattle degli anni novanta, quella del grunge, che hanno visto in Mark Lanegan un testimone illustre, essendo amico-pusher di artisti come Kurt Cobain e Layne Staley. Mark si racconta senza filtri, ammettendo la complicità forse inconsapevole di aver contribuito all’autodistruzione di questi due miti. E’ un susseguersi di aneddoti tra studi di registrazioni, backstage di celebri festival, di critiche verso colleghi come Liam Gallagher e di fughe alla ricerca di crack ed eroina in vicoli e quartieri più malfamati del mondo, prima che “la scimmia” arrivi. Ci sono analisi spietate della prima produzione degli Screeming Trees, come strategie e tecniche dei suoi primi dischi solisti. C’è spazio anche per tragiche storie di vita familiare, forse la radice di tutto, perché chi cresce in un assetto familiare improprio non può che perdere le coordinate dell’amore per se stesso e per il prossimo. I capitoli più intensi sono gli ultimi, quelli verso la fine degli anni novanta e gli inizi del nuovo millennio, che raccontano la discesa agli inferi e la resurrezione (grazie alla vedova Cobain), dove chiude definitivamente con la tossicodipendenza e il suo passato grunge, salpando verso nuovi progetti come quello stoner rock dei Queens Of Stone Age e quello alternative-folk-blues solista. Un’autobiografia che è un romanzo maledetto, un testamento di una morte annunciata, che ti sorprende ad ogni pagina con una scrittura tra Bukowski, Welsh e Palahniuk.
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