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Nun te ne fa’, Gnut, Picasso e L’Acrobata

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Ci sono pittori che trasformano il sole in una macchia gialla ma ce ne sono altri che con l’aiuto della loro arte e della loro intelligenza trasformano una macchia gialla in un sole” (Picasso, 1956)

È una scelta molto coraggiosa quella di gestire una libreria in un’epoca senza lettori, per di più in una strada secondaria in un angolo di periferia. Quella di Mugnano di Napoli, uno dei tanti antichi casali che circondano la città della sirena, ridotti da qualche decennio ad informe ammasso di edilizia selvaggia per una moltitudine costretta a muoversi difficoltosamente verso il centro in cerca di servizi, svaghi, opportunità, spiragli. Contro questa dinamica di reclusione e assenza si schiera la battaglia culturale intrapresa dalla libreria indipendente L’Acrobata, animata dalle fondatrici Monica Fraldi e Anna Buonanno. Un piccolo confortevole spazio dedicato alla letteratura per l’infanzia e agli young adults, che promuove l’unione tra persone di ogni età attraverso eventi culturali, presentazioni di libri, corsi e laboratori.

Sentiamo una grande affinità con L’Acrobata, giacché da quello stesso territorio proviene l’anima della nostra redazione, un gruppo in cui convivono sensibilità e gusti diversi, com’è giusto che sia, e che trova il proprio collante nell’amore viscerale per la musica e per la propria terra. E non è certo un caso che un musicista come Gnut, le cui radici affondano in un luogo poco distante della stessa periferia partenopea, raccolga il consenso unanime di tutta LostHighways, compresi i collaboratori che napoletani non sono. Chi meglio di lui e del suo sodale Alessio Sollo, che arriva dal quartiere operaio di Bagnoli, potrebbe onorare l’invito a presentare l’ultimo album Nun te ne fa’, raccontandosi in musica e parole col nobile intento di donare e fare la propria parte con innata, sincera modestia? Nel corso della presentazione, moderata dalla nostra Amalia Dell’Osso, Alessio Sollo ha dichiarato che è fin troppo facile scrivere testi sociali, chiosando con la sua verve esilarante “sono contro il razzismo… e ce mancasse!“. Perché più delle dichiarazioni altisonanti e scontate contano le scelte e i gesti quotidiani, come l’esercizio continuo di scrittura poetica che Alessio coltiva dando voce al suo essere, senza filtri e artifici, assecondando in questo la sua naturale inclinazione al punk. Scherza come al solito raccontando che Claudio ha trovato “il fesso” che grazie ai suoi testi ha risolto l’invincibile pigrizia che gli ha fatto, almeno in parte, impiegare quasi otto anni a pubblicare un album autentico, delicato e passionale come Nun te ne fa’. Chissà forse aspirava a battere il record di Neil Young che ha tenuto nel cassetto il suo recente Homeground per ben 45 anni! Siamo tutti felici di non aver dovuto aspettare tanto e Gnut ha interpretato tra una domanda e l’altra, tra i racconti, le battute e qualche birra, quasi tutta la nuova scaletta, denudando la complessità degli arrangiamenti prodotti da Piers Faccini nella versione primordiale e solitaria delle canzoni, con la fidata Ciaccarella (stasera letteralmente “ciaccata” dal distacco del pick-up) e la sua sola voce. Sollo, infatti, che pure è l’autore dei testi, ha ascoltato ad occhi chiusi e amichevole trasporto l’esecuzione dei brani (con due splendidi interventi sul finale, chiosando con intensità e delicatezza sulle note de L’ammore ‘o vero), convinto che quelle parole non dovesse pronunciarle lui, rispettando anche la scelta suggerita da Faccini di bilanciare nell’album il timbro di Claudio con la lirica eleganza di Ilaria Graziano, che Gnut definisce senza mezzi termini “la mia cantante preferita dopo Etta James“. Scopriamo così alcune suggestioni che hanno guidato Gnut nella composizione dei brani, Strawberry fields forever per Colpa mia, che per questo nei provini dell’album era detta Lennon, o la scala che introduce la title-track che toglie volutamente l’incipit da E cerca ‘e me capì di Pino Daniele. Ad Amalia, che gli chiede di commentare il verso “Nun se ‘mparano dint’ ‘a scola ‘e pparole d’e canzoni“, Sollo risponde con una frase apocrifa attribuita a Picasso che una volta pagò il conto del ristorante con un suo disegno e di fronte alle proteste del cameriere che lo accusava di aver impiegato solo cinque minuti per realizzare lo schizzo rispose “no, ho impiegato settant’anni e cinque minuti“. L’esperienza, la ricerca, la sete di conoscenza, aiutano a crescere, non le nozioni, figurarsi i dogmi. Si potrebbe dire che il nuovo album non lo abbiamo atteso otto anni, ma tutta la vita, degli autori e di noi ascoltatori che ne accettiamo il dono.  E allora concludiamo con le parole delle fondatrici de L’Acrobata, perché “è così che abbiamo vissuto questa serata, come un dono d’amore, di poesia, di gentilezza“.

Foto di Alessio Cuccaro

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