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A Light For Attracting Attention – The Smile

The Smile - CoverUn trio sperimentale composto per due terzi da membri dei Radiohead, che rispondono al nome di Thom Yorke e Jonny Greenwood, completato da Tom Skinner alla batteria: basterebbe questo a far drizzare le orecchie e accendere gli entusiasmi dei più. E infatti le aspettative non sono disattese da quest’esordio che, a giudicare dalla qualità e dall’impegno profuso nella produzione (sotto la guida del solito Nigel Godrich) e nella cura del sound, sembrerebbe molto più di uno spin-off della band dell’Oxfordshire, percorso com’è da un frenetico dinamismo che prende il largo dalle atmosfere rarefatte di A Moon shaped pool (2016), lasciando pensare ad un abbandono forse definitivo della casa madre. Al concerto con cui la formazione si è presentata al mondo nel corso del “Live at Worthy Farm”, prodotto dal Glastonbury Festival, il 22 maggio del 2021, Yorke ha spiegato il nome della band, ispirato a un poema di Ted Hughes: nulla di rassicurante, ma piuttosto il sorriso di “qualcuno che ti racconta bugie ogni giorno …”. Un ghigno di falsità che si addice ai nostri tempi e che i tre tentano di svelare lanciandosi a capofitto in musica di puro divertimento (inteso come piacere di suonare), di pura ricerca. Così, mentre il giro armonico pulsante di The Same prende le mosse da The rip dei Portishead, su cui scivola una modulazione vocale che accenna quasi un ritornello, ma è solo un affastellarsi di strati e di suoni sulla ciclica costruzione di base, da cui irradiano centripeti raggi cosmici e fluidi urticanti, The Opposite invece, che mostra all’attacco la formazione jazz di Skinner, trova la sua dimensione compiuta nel riff tagliente di Greenwood, percorso da saette guizzanti e caleidoscopiche sirene, che starebbero bene in un album dei Battles o nella trilogia dei colori dei King Crmson, indicando l’approccio compositivo del trio che si cimenta senza preconcetti in studio in improvvisazioni strutturate, sul canovaccio del fraseggio imbroccato dal chitarrista, lavorando istintivamente sulla ricchezza di suoni imprevedibili. Si va a ruota libera, e allora l’innodica You Will Never Work In Television Again gioca sul ritmo dei primi U2 scorrendo in urlanti frasi di protesta e ruvida schiettezza punk, sotto cui dilaga un mare scuro di divagazioni quasi jazzistiche di fiati distorti tra il clangore delle chitarre implodenti. In Pana-vision un piano angoscioso e dissonante, ma in linea con la Daydreamer nell’ultima fatica dei Radiohead, è il perfetto commento per la preparazione alla morte di Tommy Shelby, completo impeccabile, camicia immacolata e mani lorde di sangue. È un tetro arpeggio rischiarato dai pieni dei fiati (forse ancora da un riff di Greenwood) che portano il protagonista a ripensarci, a scegliere di sparire e provare per una volta a scrollarsi di dosso il peso dei Peaky Blinders, alzando gli occhi al cielo terso di un’insolitamente assolata campagna inglese. La blacksploitation pizzica le corde stoppate del riff shuffle di The Smoke, sorta di soul paranoico per una voce stralunata ieratica in dialogo serrato con fiati montanti di visioni grandiose e contemplazione spirituale. Ed è quindi un organo liturgico a introdurre l’armonia eterea di Speech Bubbles, dilatata dai tocchi della London Contemporary Orchestra e turbata dall’arpeggio drammatico di una chitarra pulita e affilata che è stata forse il vero marchio di fabbrica dei Radiohead, raccolto ora dai The Smile come uno stendardo in battaglia, offrendo alla voce di Yorke, prima di immergersi nella sofferta coda corale, l’opportunità di ritrovare una dimensione epicamente melodica e decisa che da tempo pareva smarrita. Come il Battisti del dopo Mogol ha rinunciato consapevolmente alla melodia padroneggiata con fluida sicurezza in qualunque contesto armonico e di genere esplorato, quasi a rivolgersi con amaro tono di sfida a pubblico, media e discografici ‘non vi darò mai più ritornelli orecchiabili da stonare ubriachi ai falò estivi’, così Thom Yorke ha rinnegato CreepHigh and dry o Karma police annegando il potenziale lirico del suo canto in una foschia di mugugni biascicati, versi stirati, vocalizzi tremanti, per celare una linea melodica presente ma solo suggerita, estraniando la voce dal contesto strumentale, sempre frutto di un lavoro straordinariamente curato. Emblematico di questa cifra stilistica (le cui avvisaglie risalgono già agli esperimenti di Kid A e che informa molta della produzione successiva) è il canto indecifrabile che sorvola sui ritmi spezzati e nevrotici di Thin Thing, che trascina le cadenze africane degli I hate my village (chissà se il trio li conosce) nel caos delle metropoli occidentali con cambi di scena degni di Paranoid android. Ed è ugualmente distante, come il ricordo di un sogno che sbiadisce al risveglio, la voce che narra la decadente malinconia di Open The Floodgates, le sue bolle di synth e il piano minimale, le sue onde orchestrali e le maglie magicamente ricamate delle chitarre arpeggiate. L’immaginifica ballata Free In The Knowledge ritrova poi una linea decisa di passionale partecipazione che risale a Exit music (for a film), svanendo in un ruscello di note di piano che conduce al mantra psichedelico di A Hairdryer,  inerpicato a spirale come fumi d’incenso librati da un rito condotto da Jerry Garcia e i suoi Grateful Dead, “Look at all the pretty lights“, sbarchiamo sui lidi dell’agognata trance. Lo scenario che si apre ai nostri occhi è descritto con piglio cinematografico nello sviluppo armonico di Waving A White Flag, in bilico tra complessità prog e glaciale sinteticità kraut che si fondono contro l’orizzonte acquatile di una creazione primordiale. E da quelle acque agitate si leva il ritmo arcobaleno di We Don’t Know What Tomorrow Brings che balza nichilista verso il futuro prima di schiantarsi sull’orlo del precipizio roboante di Skrting On The Surface, con la quale il trio affida al rodato intreccio di chitarre, opposto a fiati di liricità speranzosa, il suo pessimismo privo di scampo, giacché la paura di franare nel ghiaccio sottile costringe a una vita precaria d’invisibili legacci dove “As the pattern lines cross our fingers like a web / Do we die upon the surface?“.
Addio Radiohead, benvenuti The Smile.

Credits

Label: Self Help Tapes / XL Recordings Ltd – 2022

Line-up:
Thom Yorke (vocals, guitar, bass, keys) – Jonny Greenwood (guitar, bass, keys) – Tom Skinner (drum) – Hugh Brunt (orchestration) – Eloisa-Fleur Thom (violin) – Alessandro Ruisi (violin) – Zara Benyounes (violin) – Sophie Mather (violin) – Agata Daraskaite (violin) – Charlotte Bonneton (violin) – Zoe Matthews (viola) – Clifton Harrison (viola) – Oliver Coates (cello) – Max Ruisi (cello) – Clare O’Connell (cello) – Jason Yarde (saxophone) – Robert Stillman (saxophone) – Chelsea Carmichael (flute) – Nathaniel Cross (trombone) – Byron Wallen (trumpet) – Theon Cross (tuba) – Tom Herbert (double bass) – Dave Brown (double bass)

Tracklist:

  1. The Same
  2. The Opposite
  3. You Will Never Work In Television Again
  4. Pana-vision
  5. The Smoke
  6. Speech Bubbles
  7. Thin Thing
  8. Open The Floodgates
  9. Free In The Knowledge
  10. A Hairdryer
  11. Waving A White Flag
  12. We Don’t Know What Tomorrow Brings
  13. Skrting On The Surface

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