“Si pensa sempre alla lirica come a un mondo dorato, ma ci sono tanti professionisti invisibili, con poche tutele, che però sono ambasciatori dell’Italia nel mondo: sui pacchi di aiuti mandati dalla Cina c’erano i versi di Turandot, non il Colosseo, né la pizza. L’opera è un simbolo”
Così dichiarava Rosanna Savoia, presidente di Assolirica (associazione che riunisce tutti i professionisti del settore operistico) in un’intervista su Il Fatto Quotidiano nell’Aprile scorso.
Partiamo da questa affermazione per gettare le basi di un piccolo percorso lungo le strade della musica lirica e del teatro:: un mondo sicuramente luccicante, spesso considerato come qualcosa di accessorio e non indispensabile, fortemente colpito da questa emergenza sanitaria ed economica. Ne parliamo con il soprano Lucia Conte per dare spazio alla bellezza di questa forma d’arte, forse sconosciuta ai più, all’impegno e ai sacrifici dei professionisti visibili e invisibili che ruotano intorno a uno spettacolo teatrale. Ma soprattutto per dare voce al disagio umano e professionale che ha colpito i nostri artisti, una categoria che ci fa divertire (per dirla nella maniera del nostro Presidente) o, più propriamente, che ci fa emozionare. Ringraziamo Lucia per le sue parole ricche di impegno e passione e, con lei, tutti gli artisti investiti dal pubblico del ruolo di consolatori di anime e portavoci delle nostre emozioni. Un onere e onore a cui ora tocca ricambiare, supportandoli in questo loro momento di difficoltà.
Ciao Lucia, credo che per la maggior parte dei lettori di Losthighways la musica lirica e il tango siano territori piuttosto inesplorati. Ammetto che trattasi di un mondo poco esplorato anche per la sottoscritta, ma mi piacerebbe poter far conoscere, in questo periodo di crisi che attraversa il mondo dell’arte in generale, una mia talentuosa conterranea e attraverso le tue parole la bellezza di queste forme d’arte che ti appartengono. Chi è Lucia Conte e come nasce la tua passione per la musica lirica e il tango?
Lucia Conte è sempre stata e, per certi versi forse lo è ancora, una bambina curiosa ed entusiasta. Dico bambina perché è allora che ho scoperto la musica e il canto come forma di espressione più naturale e a me congeniale e fonte di salvezza; e da allora non me ne sono mai separata. Davanti alla bellezza della musica, che tante volte mi trovo a interpretare, provo ancora quella fascinazione fanciullesca e quella immensa gratitudine. Il canto quindi come modalità di comunicazione è nato prima di tutto, senza neanche sapere come. Ho cominciato prima di tutto a cantare e poi l’opera lirica e il tango sono piombati per caso nella mia vita. Rimasi estremamente colpita dall’ascolto di un disco de La Traviata di Verdi, appartenuto al mio nonno materno, ritrovato da qualche parte in casa. Chiesi tutto a mia madre riguardo quella storia che non riuscivo a comprendere e poi, quando iniziai a studiare la musica e quindi il canto in conservatorio, tutto si fece più chiaro. Anche io volevo “giocare” ad essere quella eroina che moriva per amore, oppure tanti e tanti altri personaggi. La scoperta del teatro mi travolse letteralmente…non c’era più soltanto la musica, ma anch’essa era a servizio di qualcosa di ancora più grande, il teatro, l’umanità, la magia. Altra casualità fu il mio incontro con il tango. Ero appena ventenne, già cominciavo a muovere i primi passi col canto lirico, quando mi fu proposto di cantare tango con un gruppo. Non sapevo cosa fosse, ero scettica, poi ascoltai il cd de Le 4 stagioni di Astor Piazzolla, regalo di un’amica speciale, e anche lì, lo stupore, l’amore. Ancora una volta una forma d’arte dalle mille sfaccettature, cento anni di storia, un ballo sociale, testi e musiche dal grande impatto emotivo e quindi molto richiedente dal punto di vista interpretativo, ancora una volta mi sentii a casa. Sono anni che porto avanti parallelamente questi due percorsi, con vero amore e dedizione, e ancora mi dà grande emozione parlarne.
Pochi giorni fa è venuto a mancare un grande musicista, ma soprattutto un uomo dalla straordinaria sensibilità: Ezio Bosso. Tra le sue frasi più celebri: “La musica è come la vita, si può fare in un solo modo: insieme”. L’isolamento a cui siamo stati costretti in questo periodo ci ha spinto, o almeno si spera, a rivalutare il concetto di unione nella vita privata come in quella professionale. Quanto è importante il concetto di “insieme” nel tuo lavoro?
Mi piace moltissimo parlare del concetto di “insieme” legato al mio lavoro, soprattutto in questo momento, ma in generale. Come si può immaginare il mondo del teatro e della musica è costellato da personalità eccentriche, e per forza di cose un artista è costretto a un continuo confronto con sé stesso per potersi sempre migliorare e mettere in gioco. Io stessa faccio parte di questa categoria e non sarei sincera se dicessi che non mi fa piacere ricevere apprezzamenti e incoraggiamenti da parte del pubblico. Ma il mondo del teatro, essendo una metafora della vita, ti insegna proprio che da solo non sei nulla. Tutto lo spettacolo per prendere vita e per arrivare davvero alla gente ha bisogno della concentrazione, della dedizione, della massima energia e cooperazione di tutti affinché possa nascere. È proprio quando metti da parte l’ego e cominci ad essere una parte del tutto, che avvengono i miracoli, quelle cose che io chiamo i superpoteri, ti sorprendi a fare e intuire cose che tu stesso non ti saresti aspettato…e tutto perché? Perché c’è l’insieme! Insieme degli interpreti, del coro, dell’orchestra, delle maestranze, dei tecnici, dei figuranti, dei ballerini, tutti uniti in un obiettivo comune.
E quanto può influire nella vita di un’artista, ma anche nella vita dell’essere umano stesso, la mancanza di un contatto diretto con le persone con cui si collabora quotidianamente per lo svolgimento del proprio lavoro?
Spesso, in questo periodo, è stata molto dura la mancanza di contatto con altri artisti e la mancanza di stimoli. Innanzitutto il confronto con te stesso diventa sempre più aspro e poi bisogna lavorare molto sul trovare ogni giorno l’energia e la voglia di studiare, pur sapendo che le date, visto il momento, sarebbero state tutte cancellate. Nel nostro lavoro lo studio quotidiano è molto importante, ad esempio, per rimanere “in allenamento” e mantenere certi standard, ma anche questo è stato difficile perché non è stato possibile andare da un maestro collaboratore al pianoforte, oppure da qualche collega che potesse ascoltarti e darti un consiglio. Per non parlare poi di quello che significa anche a livello energetico il supporto e la presenza dei musicisti e dei colleghi: il momento delle prove ad esempio, tutto quello che c’è dietro la costruzione di uno spettacolo o un concerto, ma anche l’aspetto ludico e divertente. Tutto questo manca tanto.
In questo periodo di restrizioni l’uomo è riuscito a trovare forme alternative di condivisione della musica. Penso ai tanti artisti, italiani e internazionali, che hanno condiviso la loro musica dalle proprie case. Lo hai fatto anche tu. Credo che non sia solo un modo per reinventare gli spazi musicali, ma anche un bisogno impellente di dar sfogo alle proprie passioni e allo stress causa COVID. Per te cosa ha significato?
Sì, anch’io ho potuto tramite i social condividere le collaborazioni a distanza con i miei colleghi. Per noi cantanti d’opera l’impresa non era affatto semplice. Per la resa ottimale di una voce impostata è fondamentale l’acustica, quindi cantare in un ambiente dalla giusta risonanza. Anche la ripresa della voce lirica non è sempre facile in quanto le frequenze emesse, spesso e volentieri, vengono distorte o tagliate dall’apparecchiatura, se non adeguata. Tutto questo mi rendeva perplessa: dover registrare dal salotto del mio appartamento bolognese, che non ha sicuramente un’acustica adatta e poi con un telefonino. Per non parlare del fatto che bisogna seguire una base in cuffia e non avere il riferimento acustico del collega, che è tutto il contrario di ciò che normalmente accade. In realtà poi l’esperienza è stata molto stimolante e gratificante ed è stata sorprendente la risposta del pubblico che ci ha letteralmente inondato di affetto. Era come se la gente avesse l’assoluto bisogno di questa carezza al cuore in questo momento difficile e per me è stato un momento di libertà, di fantasia, di sorpresa, di nuova sfida, e di felicità poi nel sapere che questa piccola cosa avesse ridato queste stesse sensazioni a qualcuno. È stato bello sentirsi vicini a colleghi dall’altra parte del mondo ad esempio o anche a colleghi che sono amici cari, che non ho potuto vedere per così a lungo. Non pensare a qualche imperfezione tecnico/acustica in virtù di tutto questo è stata la scelta migliore che potessi fare!
Il settore dell’arte è ancora fermo. Si dovrà aspettare il 15 Giugno per una prima riapertura di cinema, teatri e concerti sempre nel rispetto delle norme di sicurezza e con un numero massimo di spettatori. Sono molti gli artisti italiani e internazionali che hanno scelto di rimandare il loro tour al 2021. Per i teatri si parla di perdite milionarie a causa degli spettacoli cancellati. Insomma la crisi non ha risparmiato nessuno, ma sicuramente a risentirne di più sono tutti i lavoratori che ruotano attorno al mondo dello spettacolo dal vivo e gli artisti dal cui lavoro traggono il loro sostentamento. Come giudichi le misure e gli interventi attuati dal governo per il vostro settore in questo come negli altri DPCM?
Purtroppo devo dire che le misure adottate per noi artisti e per i teatri sono allo stato attuale inadeguate. Il problema nasce dal fatto che in Italia i lavoratori dello spettacolo e in particolare gli artisti lirici hanno un inquadramento contrattuale e fiscale del tutto particolare. Quindi siamo stati inseriti in un calderone di lavoratori autonomi generici che spesso non tiene conto di come sia diverso il lavoro artistico. Anche per quanto riguarda le misure adottate per la riapertura dei teatri il 15 Giugno la situazione sembra davvero difficile. Le nuove norme rendono la produzione e l’attuazione di uno spettacolo dal vivo davvero costosa e faticosa, tanto che per molte realtà diventa inapplicabile. Auspico che ci siano futuri provvedimenti da parte dello stato Italiano e che siano più specifici e in favore dei teatri e dei lavoratori dello spettacolo. Una cosa però in tutto questo sarà fondamentale, ovvero considerare il nostro come un lavoro innanzitutto e poi come una necessità affatto superflua, per il mondo in generale e per l’Italia in particolare, data la nostra storia.
So che il futuro è un’incognita, ma proviamo a ripartire e a riprenderci i nostri spazi, le nostre abitudini, la nostra normalità. Quali sono i progetti futuri di Lucia?
Il futuro al momento è una grande incognita, sì. Prima che ci fosse la pandemia ero in prova al Teatro del Giglio di Lucca per Napoli Milionaria di Nino Rota, che si sarebbe replicata poi nel circuito dei teatri toscani, e poi avevo concerti e altre opere che sono state cancellate. Siamo in attesa che ci vengano comunicate nuove date, ma chissà se e quando sarà davvero possibile. Progettavo poi di fare delle audizioni nei teatri in Germania, ma ora è tutto un grande punto interrogativo. Il mio futuro è la certezza di continuare a studiare, ricercare e amare la musica, fare progetti, scrivere spettacoli (come ho già fatto sul tango) e magari vedere questo momento come una cosa irreale e lontana nel tempo. Spero che gli spettacoli si facciano sempre dal vivo, come è giusto che sia e come sono nati e spero che nessuno debba mai più privarsi dell’emozione di una performance dal vivo.