Home / Recensioni / Album / Wall of eyes – The Smile

Wall of eyes – The Smile

The Smile wall of eyesLo avevamo detto e questa ne è la conferma: The Smile non era una parentesi, un divertissement per riprendere la mano, è una realtà in grado di soppiantare per sempre i sopiti Radiohead a dispetto degli annunci circolati negli ultimi mesi. Passata la smania dell’album di esordio, confluita in acide improvvisazioni live in studio, il trio si concede ora maggiore riflessione e struttura con nuove intonazioni e ritrovate melodie, senza cedere un briciolo di dinamica e istinto creativo. A partire dalla titletrack di questo secondo lavoro, Wall of eyes, che plasma il tenue andamento da moderna bossa nova al lento battito cardiaco che riecheggia come i tuoni  frementi di una tempesta interiore, tra sibili sinistri, chitarre liquefatte e mantra di voci combuste che si dissolvono come cenere calda. Teleharmonic si distende su un tappeto di synth rarefatti e cremosi srotolando una linea melodica di maestoso minimalismo, dagli accenti esotici e corali, retta da in lavorio incessante e discreto di Skinner. Read the room attiva il gene frippiano di Greenwood che destruttura un arpeggio come uscito dalle sessions di Starless and bible Black, supportato dal corposo basso con cui si reinventa il genio di Yorke, capace di ritagliare middle eight di dolcissimo miele come non accadeva dai tempi di No surprises. Il tutto spazzato via da un vento di rivincita indie a suon di intrecci di chitarre e moti ondosi. E nella nevrosi paranoica di Fripp annega senza speranza anche la chitarra sincopata di Under our pillow, frustando il ritmo con cambi in salita che lavano via i riflessi sixties del tema liquoroso, addentrandosi in una jam dai risvolti imprevedibili, che dalle note dei Greatful Dead parte per la tangenze verso i ronzii cosmici di un krautrock aggiornato alle più estreme derive elettroniche contemporanee. Introdotta da un walking bass che discende da Paul McCartney, Friend of a friend era con titolo provvisorio a sottolineare l’abbraccio dei due fratelli Peaky Blinders riconciliati nella sesta stagione della serie, ed è infatti gemella della finta morte di Tommy Shelby. Procede sull’ariosa trama di piano che si rischiara con la melodia pop dell’ultimo Father John Misty e il contributo della London Contemporary Orchestra, finendo per gettare un ponte verso la psichedelia in caduta vertiginosa di A day in the life dei Beatles, con quel crescendo pauroso di glissati che si chiude qui con tremula, misurata passione. E non sorprende che parte di quest’album, per più di un verso beatlesiano, sia stato registrato agli Abbey Road Studios, stavolta con la produzione di Sam Petts-Davies al posto di Nigel Godrich. Introdotta da un gioco di frequenze di rimbalzo tra le corde di Greenwood e i tom ovattati di Skinner, I quit naviga su un sinuoso riff di basso, ormai lo strumento di Yorke, esplorando mari solitari per voci sussurrate, al ritmo di leggere risacche e minacciose correnti distanti, tra nubi di piombo trafitte da improvvisi fasci di luce accecante, in cui archi orchestrali scorrono tra vapori elettronici. L’iponitco arpeggio di Bending hectic coi suoi due accordi, uno aperto e illuminante l’altro che tira dolcemente una corda facendola sanguinare piano, racconta al ralenty l’attimo che precede un salto nel vuoto alla guida di un auto accesa dal sole alto di un paesaggio alpino, come nel finale cult di Thelma & Louise, in una scelta disperata di libertà, No one’s gonna bring me down, no / No way and no how / I’m letting go of the wheel, ribaltando l’epilogo in un epico sforzo, Despite these arrows / I’ll force myself to Turn, che precipita ancora sui glissati di A day in the life e finisce in un muro di accordi saturi e drumming stoner, assoli distorti, la grandiosità del rock. Ne viene fuori You know me!, ballata per piano colto che ripercorre la tradizione del folklore d’albione assorbendo l’eco remota dei sitar indiani che accompagnavano il misticismo di George Harrison e del Ray Davies di Fancy, dissolvendosi nel corpo strale di una visione abbagliante, tra tensioni palpitanti e fraseggi di commiato. Una conferma, si diceva, e una speranza che la scintilla dell’arte continui a brillare, illuminando le menti dei bambini, i musicisti di domani, il muro d’occhi innocenti che assiste divertito e distratto alla performance del trio nel video di Wall of Eyes diretto dal solito Paul Thomas Anderson. Lasciamo che quella scintilla illumini anche l’oggi.

Credits

Label: XL Recordings – 2024

Line-up: Jonny Greenwood (guitars, bass, piano, synthesisers, orchestral arrangements, cello, Max MSP) – Tom Skinner (drums, synthesisers, percussion) – Thom Yorke (voice, guitars, bass, piano, synthesisers, lyrics) – London Contemporary Orchestra (strings)

Tracklist:

  1. Wall of Eyes
  2. Teleharmonic
  3. Read the Room
  4. Under our Pillows
  5. Friend of a Friend
  6. I Quit
  7. Bending Hectic
  8. You Know Me!

Link: Sito Ufficiale
Facebook

Ti potrebbe interessare...

Travis_LA_Times_album_cover_artwork_review

L.A. Times – Travis

Succede che trascorrono 25 anni in un soffio e ti ritrovi a fare i conti …

Leave a Reply