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Heartbeat slows down / and my name will be just a sound: intervista ad Enzo Moretto (A Toys Orchestra)

Una dovuta premessa! E’ difficile chiedere quando si rimane folgorati: la bellezza colpisce così nel profondo da generare una sorta di appagante intuizione da preservare. L’ascolto di Technicolor Dreams (premio della critica come Migliore Disco Indipendente – P.I.M.I. 2008) equivale ad uno sguardo di bimbo perso nei variopinti colori di una vetrina di giocattoli… vaga, non sa dove posarsi, denso di meraviglia. Suoni, parole tutto si confonde fino a scatenare l’immaginazione. Sulla scia delle gocce di dolcezza di un piano, delle virate isteriche e morbide delle corde di chitarra, di voci in altalena tra schizzi di favole e percorsi dell’anima… risplendono le luci delle ambivalenze, dei ricordi, dei diari pieni di parole sepolte, delle trottole che girano, ancora. LostHighways prova a spiare i sogni e gli incantesimi di una band che mescola l’esperienza delle note alle suggestioni del cinema e della grafica, con leggerezza e con tutto il peso della ricerca dei sensi.

Beatles (e derivazioni Lennon/McCartney), elettronica discreta e mai invasiva, girandole psichedeliche (di matrice floydiana ab origine)… e la magia di Technicolor Dreams è quella di suggerire appena i referenti, perché poi evoca un universo sonoro originale, profondo in cui il piano e le virate di chitarre disegnano scenari desueti, in bilico tra ritmi in accelerazioni ironiche e ritmi in caduta libera di tenerezze e introspezione…
Fortunatamente non ci siamo mai “accasati” in nessun genere.. Dicono che facciamo “indie” e tutto sommato ci sta bene… d’altronde è così vago… Certo, l’origine del termine ha credenziali nobili, è emblema di indipendenza, di libertà… nonostante lo snaturamento palese degli ultimi anni.
Questo nostro “non affiliarci” ci rende molto liberi artisticamente. Quello che ci interessa di più è trovare l’anima giusta di una canzone, sia essa più elettrica o acustica o elettronica… oppure triste, ironica. Cerchiamo dunque di affidare alle canzoni la loro giusta natura senza porci alcun limite. Ovvio che la lezione di chi ha scritto la storia e che ha influenzato le nostre vite, musicali e non, è un patrimonio di cui facciamo tesoro. I Beatles e i primi Pink Floyd sono sicuramente alcuni di questi.

L’ascolto genera una sensazione di attesa mai delusa. Le atmosfere sono variegate. Il tempo che Technicolor Dreams sa scandire si colora di bolle di suono mai uguali, né tra i singoli pezzi né all’interno di uno stesso pezzo (penso a Cornice Dance, a Ease Off The Bit)…
E’ proprio per il concetto che dicevo nella risposta precedente. Cornice Dance ed Ease off the Bit, nonostante siano diverse nei contenuti, sono canzoni interlocutorie, piene di punti interrogativi… di virate concettuali, di singhiozzi emotivi… hanno bisogno di cambiarsi vestito più volte per esprimersi al meglio.

La doppia anima dell’album ha una traduzione grafica nella copertina, quasi un intrigo di segni/sensi dettati da una ricerca estetica…
Sono due anime che confluiscono nello stesso corpo… proprio come le due teste dell’Alice in copertina. Credo che un disco continui anche dopo la musica… l’oggetto fisico ha una valenza complementare non inferiore a mio avviso. Non demonizzo la musica in internet, ma la mancanza di contatto la soffro troppo. Per me è come parlare con una persona e non guardarla mai negli occhi. Anche da ragazzino, quando copiavo qualche vinile sulle cassettine, prendevo ritagli di giornali, disegni e creavo la mia cover. Per Technicolor Dreams ho dato una grossa importanza all‘estetica. La copertina ha avuto una gestazione quasi quanto il disco stesso. Prima che Roberto Amoroso (l’illustratore) ci mettesse le mani l’ho fatto tribolare non poco. Abbiamo passato moltissimo tempo insieme. Mesi e mesi. L’ho sfinito. Credo quasi mi odiasse, alla fine.. è per questo che ha dato il meglio.

Le favole, i sogni che i suoni sanno scatenare invece si colorano nelle forme del libretto…
Sarà semplice suggestione, ma “sento” qualcosa di felliniano (a tratti) nel mood di suoni e disegni…

E’ lo stesso discorso fatto per le influenze musicali. Si avvertono i Beatles perché li ho sempre amati e perché mi hanno dato tanto. Fellini c’è per lo stesso motivo, solo in un contesto differente.

Il piano… puro e delicatissimo tocco di poesia. Gocce di classe e gusto che piovono sulle favole del libro intitolato: Technicolor Dreams…
Per il 90% scrivo i pezzi al pianoforte. Non è neppure lo strumento che suono meglio. Sulla chitarra sono più sciolto e capace, ma è al piano che riesco a tirar fuori quello che ho dentro. Ho un rapporto molto particolare con questo strumento. Non ho mai studiato musica, neppure per un solo minuto in vita mia, eppure mi siedo allo sgabello e vado avanti. C’è un rapporto di complicità. E’ come se avessimo bisogno l’uno dell’altro quando è il momento di creare.

Il classicismo delle composizioni ha goduto della magia incantevole e sapiente di Dustin O’Halloran dei Devics (alla produzione artistica, appunto). Mi racconti le trame di questa collaborazione così speciale?
Ho sempre amato la musica di Dustin, sia nei Devics che da solista. Sentivo che c’erano delle affinità. Era mio grosso desiderio poter lavorare con lui… ero sicuro che ci saremmo capiti benissimo. Quello che all’inizio era solo un piccolo sogno si è poi materializzato, anche grazie a Paolo Naselli Flores di Urtovox (il nostro discografico) che ci ha messo in contatto appena poche ore dopo avergli espresso la mia volontà. Dustin è rimasto molto colpito dai nostri provini ed ha accettato con entusiasmo di iniziare questa collaborazione. Ha fatto un gran lavoro. Si è concentrato soprattutto per esaltare i nostri “tratti somatici”, la nostra essenza…senza mai mettere avanti il suo ego, ma solo la sua sensibilità. Si è sentito coinvolto al punto da voler anche suonare in alcune canzoni… Credo che sentisse Technicolor Dreams un pochino anche suo, soprattutto per l’esperienza umana che abbiamo vissuto insieme. Si è stretta un’amicizia che va ben oltre i rapporti lavorativi, d’altronde abbiamo trascorso un mese rintanati in un casolare nelle campagne faentine, lontani da tutto e da tutti… sono stati giorni magici, ricchi di empatia… Tornare a Faenza otto mesi dopo per ritirare il premio come Miglior Disco Indipendente, nella stessa città dove lo abbiamo partorito e a pochi passi dallo studio, è stato emozionante, per noi e per lui, che ci ha accompagnati sul palco per la premiazione.

Focalizziamo su alcuni testi in cui la dimensione dell’anima è trasparente, delicata, sincera. Il fascino delle parole è quello di riuscire a moltiplicare i sensi nelle proiezioni personali… Invisibile; Letter To Myself; Bug Embrace; Danish Cookie Blue Box…
Ho provato a raccontarmi la verità… non è facile. Ho affrontato tematiche delicate, come la comunicazione, le relazioni tra esseri umani… partendo sempre da me stesso, dalle mie esperienze. Ho parlato di amore, di paure, di dolore, di gioia… detto così sembra banale. All’inizio, quando scrivo i testi, sono una sorta di diario segreto… Certo è paradossale se pensi che finiranno in un disco rivolto al pubblico… Credo che l’alchimia magica delle canzoni stia anche nel fatto che una storia personale può diventare parte della vita di altre persone che la sentiranno profondamente vicina… A me è successo… probabilmente succederà a qualcuno con le mie canzoni..
Dio Mio! Non mi riesce facile parlare dei testi… è per questo che li canto.

Powder On The Words è un pezzo accompagnato da un video molto semplice eppure ricco di evocazioni (penso alla scena del mare, in primis).
Con il video precedente, quello di Peter Pan Syndrome, abbiamo avuto moltissime soddisfazioni. Oltre a premi, a riconoscimenti notevoli e ai tanti passaggi televisivi, ci eravamo sentiti rappresentati per quello che eravamo, e nel video era stato ben interpretato il mood della canzone, ma anche della band. Per cui il feeling profondo con Fabio Luongo (il regista) ha fatto sì che decidessimo di lavorare ancora con lui anche per il clip di Powder on the Words. Volevamo però ripartire da un’idea completamente diversa… Alla fine abbiamo scelto di riportare in video uno spaccato delle nostre vite, una sorta di “toys reality show”. Per cui Fabio è venuto a stare da noi per otto/nove giorni, telecamera sempre alla mano. Si alzava prima per coglierci anche inaspettatamente… le scene di Ilaria che si sveglia, ad esempio, sono reali. Quello che si vede è il nostro mondo di ogni giorno: le nostre case, la nostra sala prove, il nostro paese, il Nostro Mare che ha un importanza assoluta nelle nostre vite… Quando non sono in giro a suonare passo il mio tempo in mare a pescare, ho una barca che adesso è stata danneggiata da una tempesta. Ero in tour… fossi stato qui, con l’aiuto di Santa Barbara, l’avrei salvata… In primavera la rimetterò a posto.

Panic Attack #3 sembra l’invito più categorico all’abbandono al sonno, ai sogni mentre il tempo ricorda il suo scorrere inesorabile nel tic tac (il coniglio di Alice nel paese delle meraviglie ne era ossessionato)…
Panic Attack #3
è Panic Attack #3…. Forse è l’ultima o soltanto la terza della saga. Il Bianconiglio deve aspettare ancora un po’ per saperlo!

Grazie mille… DREAM!
Dream too!

Powder On The Words – Preview

Video – Powder On The Words

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Un solo commento

  1. Bellissima intervista!!!

    Ma le parole più importanti e rassicuranti per il futuro delle nostre orecchie sono queste:

    Dio Mio! Non mi riesce facile parlare dei testi… è per questo che li canto.

    Per quello uno dovrebbe essere cantante e musicista: perché è l’unica via possibile. E ascoltando gli A toys Orchestra, questo si sente.
    Ed è molto bello.

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