Le canzoni: sono loro il succo, la polpa della questione. Canzoni che spingono sul diaframma, che chiedono respiro, di essere liberate, messe al mondo. Andrea Fusari e Giovanni Ferrario ne hanno fatto un album (GuruBanana, Macaco Records – 2008), un album di pezzi in carne ed ossa, con la schiena forte e le braccia incrociate, la postura intrigante di chi osserva, aspetta, di chi poi, d’improvviso, bestemmia, schiaffeggia. I generi si abbracciano, perdono la pelle, sconfinano l’uno nell’altro, sbattono le porte in faccia alle definizioni e si prendono la libertà di parlare una lingua che sia la loro, che lasci in bocca il retrogusto agrodolce delle promesse, del desiderio. Dalla scelta di uno pseudonimo all’urgenza di dire, di dirsi la verità affilando la lama dell’ironia: LostHighways intervista Andrea Fusari ed è un vagabondaggio, una mappa stropicciata, un diario scritto a mano, fotografie appese al muro perché non ci si scordi di essere stati anche lì. (Foto 3 by Roberta Cartisano)
Andrea Fusari e Giovanni Ferrario also known as GuruBanana. Mi incuriosisce molto sapere come siete arrivati alla scelta di questo pseudonimo, quali condizioni climatiche vi hanno condotti lì…
Ho un’immagine abbastanza viva di quella situazione. Una sera di marzo, in auto, faceva ancora abbastanza freddo, una strada provinciale con una leggera nebbia e senza linea di mezzeria, verso lo studio di Marco Franzoni, per mixare l’album. Cercavamo il nome del gruppo, qualcosa che ne desse l’identità, avevamo scartato una serie di nomi scritti su un foglio e stavamo realmente scherzandoci sopra. Giovanni se ne venne fuori con GuruBanana guardandomi e aggiungendo che sembravo proprio un Guru Banana. Al che risposi, ovviamente, di no e che come nome non andava bene. Ci ridemmo sopra. Poi ci ridemmo sopra ancora più forte e quando arrivammo da Franzoni il nome era stato deciso. Le risate fanno fare cose incredibili. Il testo di Kevin Ayers, poi, si adatta sia nello humour che nella filosofia. E GuruBanana è diventato un’identità definita.
GuruBanana è un progetto, è un disco, è un gruppo. GuruBanana è…
È una progressione spontanea e molto veloce. Dapprima c’erano i pezzi che fin dalla loro nascita sono stati pensati per essere suonati e prodotti da Giovanni, quindi uno strano demo, poi in fase di registrazione è diventato un progetto, la sinergia era veramente potente. Tutto molto spontaneo, e molto facile, grazie al fatto che Giovanni è anche produttore, è estremamente professionale, ed è parte integrante del progetto stesso, il che è un vantaggio notevole. Pronto l’album, la grafica, definita la distribuzione e l’uscita con Macaco Records e Pocket Heaven, si trattava di passare alla fase live. Da quel momento, stante l’apporto e l’aggiunta degli altri musicisti è diventato un gruppo, e con un sound ben definito. Un organismo pluricellulare.
Come siete riusciti a far convergere nei pezzi le vostre diverse impronte musicali e stilistiche? Non c’è alcuna dissonanza, le canzoni scorrono su un filo di straordinaria coerenza quasi con leggerezza. Psichedelia, intrusioni pop, fenditure rock, fumosità underground: le intuizioni convivono e ri-vivono, disegnano un tratto somatico distintivo, un’intenzione precisa…
Bene, gli ingredienti li hai elencati tu. Devo ammettere che non c’è stato alcuno sforzo. E’ venuto abbastanza naturale, per un fattore prettamente affettivo, per cui essendoci vissuti diversi e territori musicali comuni, fai la cosa nel modo migliore possibile e che secondo te piace anche all’altro. C’è stato molto impegno, in particolare da parte di Giovanni, che ha suonato quasi tutto, e sicuramente questo ne ha definito il sound, oltre al fatto che, essendo stato registrato in una decina di sere e durante qualche pomeriggio nell’arco di quindici giorni, l’energia creatasi non si è dilatata. Quanto alla musica è un mettersi a nudo, esporre quello che hai dentro, può far male, ma quello che esce è quello che sei.
“Dance along to my different sound / You think it’s new but it’s just the same” (GuruBanana/Kevin Ayers, 1975). Come si realizza il desiderio di qualcosa di diverso? Cos’è diverso per GuruBanana?
Bella domanda. Potrei rimanermene zitto per ore. Il desiderio di qualcosa di diverso è una chiave di passaggio pluridimensionale. Ci sono anche altri modi più semplici, ma per quel metodo ci vuole passione. Perché diversità è un valore, non un termine negativo. In senso prettamente musicale ad esempio ci sono suoni che ti fanno vibrare, e ti alterano. La musica ha questo potere, ma non su tutti. Quando vibri hai il canale aperto, ricevi la trasmissione, ti senti diverso e finisci altrove. Il lavoro di GuruBanana è questo. Sta tutto già nella testa di chi ascolta. Takes you to Nirvana. Molto psichedelico, vero?
I tuoi testi indossano la giacca vintage di un’ironia pungente: spensieratezza ed ansie dialogano animatamente ed è un battibecco molto diretto, quasi surreale nel suo farsi risata. L’ironia, nelle tue canzoni e nella vita, è necessità o espediente?
Ne è parte fondante. E’ il modo in cui puoi vedere le cose, ma richiede un piccolo sforzo in più per saperla cogliere. Nella musica in particolare l’ironia è realmente difficile, perché non essendo esplicitata (ADVISORY IRONIC LYRICS) può essere diversamente interpretata, a seconda dell’ascoltatore, in modo del tutto personale. Quindi l’ironia non può essere un espediente, che serve ad eliminare ostacoli, perché in realtà li mette. Quanto ad essere una necessità, lo è ma in termini di espressione della personalità: dipende dal tuo modo di essere, e se è connaturata a te stesso, come puoi esimerti da essere te stesso?
Dove vive GuruBanana? Da dove vengono le persone che incontra (gli amanti, i pedofili, i killers, i solitari, i sognatori)? Come fosse qui ma non volessimo guardare…
GuruBanana vive altrove, in una casa tra due fiumi in un non luogo immaginario che in realtà è qui. Infatti siamo tutti qui, ci sono delle cose che succedono attorno, e non le guardi oppure le dimentichi. Come se fossimo stati educati a fotografare immagini per pochi istanti, per poi seppellirle nella memoria remota. Sei indotto ad accumulare un sacco di informazioni, è tutto stratificato, ad una velocità tale da costringerti quasi a non elaborarle. Si può cambiare la memoria del passato in questo modo, qualcuno lo può fare, basta manipolare le informazioni, l’Informazione: è 1984 che arriva con vent’anni di ritardo, e con allegata una versione corrotta o parziale della realtà, nessuna emozione, zero problemi, bella piatta. Normalità totalmente apparente. Ad un certo momento ti può capitare di rallentare ed avere la netta sensazione guardandoti attorno che la maggior parte delle persone vedi attorno sono psicotiche, depresse, nevrotiche, deluse, comunque completamente impazzite o semplicemente tristi ma dolorosamente reali. Non ce n’è uno normale, e sei così anche tu. Torna il diverso come concetto, come vedi. Conosci il surreale e impari a convivere con il reale. Puoi urlare, se vuoi.
Raccontami la storia di Loose. La scelgo per la sua linea d’ombra, quel controcanto doloroso, il ticchettio dei tasti. Fin dal primo ascolto l’ho intuita come incipit ideale di Neighbour…
Loose è la descrizione del disfacimento, è l’istantanea del momento in cui realizzi in modo assoluto che va tutto male, che è tutto vero, e non ci puoi fare proprio nulla. E per farlo capire a qualcuno gli mostri il precipizio in cui ti sei buttato per convincerlo a scivolare giù con te. Nasce da una conversazione telefonica realmente avvenuta, le parole sono quasi tutte quelle poi utilizzate, tra una persona depressa in cerca d’aiuto e dall’altro capo una che, per confortarla, gli descrive la propria situazione, che è un viaggio nell’oscurità più profonda. “There is no question to be tried, open up your eyes your mind will shock, slide on this side“. Molto autobiografico, io ero quello messo meglio. Nel demo non c’era il piano, Giovanni ha messo la base nello stereo di casa, ha infilato il microfono nel pianoforte e ci ha suonato sopra registrando su un 4 piste. Una sola volta. Poi ha fatto alcune note di piano su un’altra traccia, ha riversato il tutto, aggiunto il basso. Aveva questa atmosfera nebbiosa, intensa, l’ho dovuta ricantare in modo più riflessivo, modificando il testo all’ultimo momento, per adattarlo meglio allo spirito del pezzo com’era uscito, più lieve. Mi fa ancora male quando la canto. Sì, Neighbour è un’altra storia piuttosto cupa, come stendere una mano di vernice nera su un muro già nero… un tizio con dei vicini di casa che a distanza di tempo si suicidano. C’è di cui riflettere. Fa male pure quella.
Perché l’inglese? Cos’è l’inglese che l’italiano non è? Non può trattarsi di sola musicalità…
Non si tratta solo di musicalità, sei anche quello che ascolti. Intenzione, attitudine, vissuto, comunicabilità anche. Oltre al fatto che non essendo immediatamente distratto dal testo vieni meglio stimolato all’immaginazione piuttosto che indotto. Sono nate così le canzoni, comunque, in inglese. Non voglio entrare in merito alla dibattuta questione, probabilmente facendo la stessa domanda a tutti gli artisti che utilizzano l’inglese al di fuori dei confini dei paesi anglofoni, le risposte possono essere le più diverse. E’ interessante utilizzare la musicalità di una lingua, ma si può anche essere liberi di cantare in papua. C’è un pezzo su un album di French Frith Kaiser e Thompson, sperimentatori di grosso calibro, dove cantano Hai Sai Oji-San nella lingua originale di Okinawa, anche se sono anglofoni. E qualcosa dello humour passa. Sarebbe bello facessero loro qualcosa anche in italiano.
La dimensione live vi si addice particolarmente. Si intuisce grande complicità tra voi, stima, un benessere positivo, quasi vi permetteste di assomigliare di più a qualcosa che vi cova dentro, che proprio sul palco può essere messo a nudo…
Ti ringrazio. C’è stato un lavoro di arrangiamento per rendere l’album nella dimensione live. Sul palco ci vuole molta concentrazione, ma si crea un buon feeling e questa sensazione traspira e crea un legame sonoro. Energia positiva. Per il resto non so, non posso dirti con certezza, non ho mai visto un concerto dei GuruBanana da sotto il palco, mi devo fidare di quello che dicono gli altri…
Com’è nata la collaborazione con Davide Mahony, Giuseppe Mondini, Stefano Pini? Niente sembra essere stato deciso dal caso. Musicisti con la M maiuscola…
Tutto, invece, è deciso dal caso, dalle coincidenze, da strade che si incontrano. Giuseppe Mondini ha suonato la batteria in due pezzi dell’album, Cold Water e Floor. Sono registrate in diretta con Giovanni alla chitarra e Nico Meteo al basso. Al momento di passare alla fase live non c’erano dubbi sul chiamare lui, dipendeva dalla sua disponibilità, e dai suoi impegni. Ti dico chiaramente che per mantenere il giusto sound e mantenere una formazione a quartetto erano necessari due polistrumentisti: un chitarrista tastierista e un bassista tastierista, ed essendo quest’ultimo assai raro è la ragione per cui Giovanni nella band dirige con il basso nella formazione live. Per l’elemento mancante inserisci nel database di ricerca musicisti e aggiungi gli altri campi necessari quali distanza, capacità, gusto, suono, disponibilità, esperienza, e ti salta fuori il nome di Davide Mahony, e lo conosci pure. Che fai, non lo chiami per chiedergli se è interessato? Quando Giuseppe Mondini poi è impegnato ci viene in aiuto Stefano Pini, già drums nei Micevice, e sa dare il suo con-tributo a GuruBanana. E’ avvenuto tutto molto velocemente.
Come con-vive GuruBanana con il mondo del web? Sicuramente uno strumento utile, in qualche modo affascinante, spesso usato male, abusato…
Ha dovuto apprendere come utilizzare MySpace, Facebook, passare più tempo on line. Il web è strumento necessario ormai, a livello di promozione e informazione. L’importante è saper filtrare e leggere. Quanto all’abuso, dipende anche dalla dipendenza al web. Continua a prediligere il mondo fisico a quello virtuale, con i suoi odori, sudori, suoni e dolori. Puoi andare ai concerti e vedere delle persone reali e ci sono anche i musicisti, in carne e ossa pure loro, e la musica la fanno veramente lì. Incredibile, vero? Pensare che sul web sono un quadrato di foglie verdi…
Mi piace pensarvi al futuro. Avete già qualcosa in mente per l’avvenire di GuruBanana?
Sì, siamo in proiezione. E’ un progetto che vogliamo portare avanti con convinzione e far crescere, ha una sua personalità. E poi è divertente. GuruBanana è nato per predicare in giro.
Per quanto riguarda i progetti più prossimi, al momento è uscita una versione con la band di Neighbour, è su una compilation della Shyrec, in download. Ci sono già un paio di pezzi nuovi in repertorio e non presenti nell’album, altro materiale, altre idee. Un po’ come i funghi quando c’è umido… Se il tempo lo consente, un video, e, non appena Giovanni ritorna dal tour JP/PJ, partire con le date estive, registrare altri pezzi con la band. E poi blablablablablablabla. Con leggerezza, però.