Home / Recensioni / Album / Una sceneggiata – Francesco Forni

Una sceneggiata – Francesco Forni

Francesco Forni - Una sceneggiataIl concept solista di Francesco Forni mette in sequenza ordinata le musiche originali composte per lo spettacolo teatrale di Andrej Longo Spacciatore. Una sceneggiata (2021), dramma attuale che va ben oltre gli schemi dalla classica messinscena napoletana, e che nelle parole del regista Pierpaolo Sepe “non è la celebrazione del popolo … è cercare di raccontare quanto di contraddittorio esiste nella bellezza di ciascun popolo“. Dopo i tre album in duo con Ilaria Graziano, Forni mette a frutto la sua consolidata esperienza di musicista per il cinema (Le conseguenze dell’amoreL’arte della felicità, Gatta Cenerentola) e per il teatro (Don Chisciotte, L’estate perduta, Giochi di prestigio), scrivendo per la prima volta un intero album in napoletano, unica lingua capace di conferire alla storia di Spacciatore il necessario realismo, la sofferta, evocativa e misteriosa speranza. L’antica invocazione Jesce sole diventa dunque il grido del tossico Dragonbol, che si fa trovare sveglio dall’alba, p’a robba che m’aggia pigliato, ma anche perché ha una missione di salvataggio da compiere, e allora urla sgraziato scetateve per lanciarsi in un canto tradizionale a fronda ‘e limone, e lo fa su un tempo cadenzato e due accordi spennellati e vibranti che potrebbero uscire da More o Atom Heart Mother dei Pink Floyd, con Francesco Forni a far quasi tutto da solo dividendosi tra voce, chitarre, basso, tammorra e percussioni, glockenspiel e programming, con l’aiuto del fido Salvio Vassallo alla batteria, che segna il ritmo dell’intero album. Un accenno di bossa nova partenopea introduce Spacciatore, protagonista della storia e braccio destro del capo della piazza di spaccio soprannominato “La Sposa”, che si presenta con l’aria spavalda di corposi accordi rock, per poi dichiarare la voglia di riscatto del quartiere al ritmo di una tammurriata disgregata: mole fraciche, case carute, piatte vacante, nisciuno ‘e vo’; ritrovando un sanguigno bending alla Gilmoure sul finale impetuoso. La struttura da ballata acustica di Pure si fosse si fa grintosa con l’innesto di un riff affilato e distorto per mascherare le bugie e le scuse di chi spera di trovare salvezza nell’amore: “e chest’è ‘o vero ca songhe incatenato / Si accussì nun fosse ‘o core nun m’avesse abbandunato”. Un tamburello incessante e la chitarra torrida di un saloon polveroso fanno da sfondo alla storia in prima persona de La sposa, che presenta la “sua” versione dei fatti, quella ufficiale di cui si può parlare, ma la verità è un altra e nella seconda parte del brano si mette a nudo tra i vapori di un coro beatlesiano, ma non c’è da stare tranquilli perché ‘a lama d’a vendetta / l’aggio tenuta sempe affilata. E anche nella disperazione più nera la dolcezza dell’amore eleva una Serenata alla propria amata, col cuore in fiamme di un sentimento incontenibile che diventa corale nell’espressione di una forza universale, mentre i pensieri del protagonista vengono declamati sul palco naturale di un vicolo, col linguaggio diretto e semplice di chi passa la propria vita per strada. Nelle trame jazzate di una canzone classica napoletana si perdono, invece, i pensieri antichi del Padre, lentamente adagiati sul morbido pianoforte di Mariano Bellopede, protetti dal violoncello dolente di Marco Di Palo. L’intermezzo strumentale della title-track segna un cambio di scena orchestrale, in cui un tema degno dell’epica mafiosa de Il Padrino prepara il terreno al sangue di uno scontro inevitabile, un regolamento di conti desertico che asciuga la gola mentre grondanti di sudore sbirciamo tra le lame di un battente socchiuso, attratti dai mandolini piangenti del “maestro” Scialdone e dagli archi drammatici di Caterina Bianco. L’indie pop prende poi il sopravvento in un impeto di Gelusia, una danza ballabile sulla cassa in 4 e il groove funky del basso fluido di Gabriele Lazzarotti. Il tema arioso dell’elettrica di Sebastiano Forte introduce la ballad inattesa Addore ‘e primmavera, vana speranza d’amore de La Sposa (t’aspetto quanno saccio che he ‘a veni’ / me scordo pure ‘e ‘stu sfreggio ca tengo), che ritrova, sotto la sua voce scura e sofferta, la melodia solare del miglior beat italiano degli anni ’60, con quegli accordi pennati sui quarti dispari di derivazione soul. Ma la delusione e il pentimento affondano nel romantico fraseggio orchestrale di Notte scura, le sue parole dolcemente intonate (crireme si sulo putesse turna’ areto / mettesse ’o munno a capa sotto pe‘ nun te fa’ suffri’). Il basso stoppato di un blues metropolitano, rinvigorito da tromba e flicorno di Gianfranco Campagnoli, porta in scena Mercuzio, che non a caso è l’amico fidato del protagonista in questa versione partenopea di una tragedia di Shakespeare, in cui il tradimento è dietro l’angolo, appena nascosto da fischi del feedback, ombre inquietanti, trilli e distorsioni, simme tutte frate sulo dinte ‘a disgrazia, attorcigliandosi sulla confessione macabra di una fratellanza impossibile. Per questo tutto sembra Perduto, tra una chitarra manouche, spazzole leggere, corde liquorose e una classica nenia partenopea sospinta dagli archi vibranti di Caterina Bianco, rassegnandosi mestamente a ‘nu finale addó je, je perde, per disciogliersi in un solo lacrimevole di glissati acquosi degno di Ry Cooder. Il semplice arpeggio acustico dell’epilogo è affidato ancora alle parole di Dragonbol e commentato da viole e violini crescenti e sognanti, per lasciar respirare e ascendere la più disarmante e dolce delle richieste, Prenditi cura di me. Ed è quel che fa la musica di Francesco.

 

Credits

Label: Soundfly – 2022

Line-up:
Francesco Forni (voce, cori, chitarre acustiche, chitarre elettriche, basso elettrico, viola portoghese, viola amarantina, tammorra, tamburello, percussioni, archetto, glockenspiel, programming, piano, vibrafono) – Salvio Vassallo (batteria) – Michele Signore (liuto) – Mariano Bellopede (pianoforte) – Marco Di Palo (violoncello) – Sebastiano Forte (chitarra archtop, chitarra elettrica) – Caterina Bianco (violini, viole) – Luigi Scialdone (mandolini) – Gabriele Lazzarotti (basso elettrico) – Valentina Gaudini (cori) – Andrea D’Apolito (harmonium) – Gianfranco Campagnoli (tromba e flicorno)

Tracklist:

    1. DRAGONBOL
    2. SPACCIATORE
    3. PURE SI FOSSE
    4. LA SPOSA
    5. SERENATA
    6. PADRE
    7. UNA SCENEGGIATA
    8. GELUSIA
    9. ADDORE ‘E PRIMMAVERA
    10. NOTTE SCURA
    11. MERCUZIO
    12. PERDUTO
    13. PRENDITI CURA DI ME


Link: Facebook


Ti potrebbe interessare...

C'mon Tigre - Habitat - cover

Habitat – C’mon Tigre

È un Habitat tropicale quello dei C’mon Tigre, esploratori sonori del ritmo tribale e dei …

Leave a Reply