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Gnut @ Rosso Caffè, Pozzuoli 21/07/2017

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Gnut, cappello di paglia e Ciaccarella, sotto la bianca tenda del cortile di un bar all’aperto. L’atmosfera raccolta del Rosso Caffè di Pozzuoli è ideale per il set acustico di Claudio Domestico, musicista che mette in scena se stesso con timida malinconia, la sussurra da un punto profondo e indecifrabile dal quale cresce come un mantra passionale. Parla un linguaggio tutto suo, con le parole di una voce interiore, il suono netto di una chitarra pulita e squillante, quanto più il capotasto si avvicina alla cassa, in cerca di un timbro diverso piuttosto che una tonalità più consona alle sue corde vocali. Intrecciando le dita sulla tastiera inventa accordi complicati di cui non conosce il nome, giocando con arpeggi e posizioni dalle quali allungare falangi verso questa o quella nota di una personale struttura intricata. Movimenti cadenzati e passaggi di miele fluido che accompagnano la quotidianità di Dimmi cosa resta. Sembra una canzone d’amore, dice con candore improvviso, ma non lo è, l’ho scritta dopo un litigio con mio padre. Anzi lo è perché io mio padre lo amo. Uno dei momenti in cui esce dal guscio e racconta storie, le sue, della sua famiglia, dei ricordi affilati e drammatici come Solo una carezza, indesiderato gesto di un amore violento subito dalla bisnonna. Rivela così una dimensione personale rimestata dolcemente entro giri privati. Ci fa persino dei pezzi sulle note di un’accordatura, quella celtica delle Foglie di DADGAD con le sue cadute circolari, scivolose e calde spirali di un lento atterraggio. Compie un viaggio interiore a rivivere i propri errori e chiedere una speranza alla notte in Credevo male, la ricerca di frescura all’ombra di un patio africano, della brezza di un oceano calmo, lenta risacca che bagna le coste del Mali e di Napoli. E con morbida autoironia esegue un brano in 4/4 basato sul giro di DO (ma si va comunque oltre i 4 accordi che lo compongono), un Semplice omaggio a Gino Paoli e uno sguardo al passato che lo porta a confrontarsi anche con Amore fermati interpretata da Fred Bongusto nel 1963, qui spogliata dei fiati da noir nostrano diventa una densa e dolorosa dichiarazione d’amore. Verso la fine della serata Domestico esce dalla sua congeniale solitudine invitando Alessio Sollo a raggiugerlo per l’esecuzione de L’ammore ‘o vero, prima riuscitissima prova di un sodalizio che ha portato i due autori a scrivere, dicono, una trentina di canzoni nell’ultimo anno, alcune delle quali potremo ascoltarle in un EP che Gnut annuncia in uscita quest’autunno. Si unisce al duo anche Roberto Colella dei La Maschera, si scherza con schiocchi delle guance per un’esecuzione quasi western di Perfect suicide, segno spassoso e tangibile di una voglia di far musica per il gusto di farla, con la gioiosa vitalità di chi non può essere confuso con un tenebroso decadente.

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