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Armonia: intervista a T. Cerasuolo (Perturbazione)

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Le storie che ci raccontiamo è il settimo lavoro in studio della band di Rivoli. Anticipato dal singolo Dipende da te, esce ufficialmente questo 22 gennaio, sotto l’egida della Mescal e rappresenta un nuovo corso. Oggi i Perturbazione sono un quartetto. Le strade si dividono, i desideri seguono direzioni nuove, gli equilibri si modificano. Abbiamo incontrato Tommaso Cerasuolo per farci raccontare una storia, delle storie… che sono poi le canzoni, che sono poi gli specchi in cui si misura un rapporto di empatia tra musicista e pubblico.

Avete sempre scelto la letteratura come compagna della vostra musica. Certi autori, certe citazioni hanno segnato le fasi della vostra carriera. Per il nuovo disco G. Simenon è paradigma di riflessione sull’evoluzione della scrittura. Vorrei iniziare da qui. Cosa direbbe Simenon di voi, oggi?
Simenon non lo so! Non riesco ad avere questa presunzione! La citazione che usiamo è funzionale a specificare che ci interessano le storie che stanno tra ciò che siamo e ciò che raccontiamo di essere. Quella misura è fondamentale nella vita ed è sempre presente, a volte è una misura grande, a volte piccola. E se è piccola, di solito la persona è più serena. Quanto è più grande tanto più una persona si sente sdoppiata. Un po’ come parlare dei due grandi opposti: il bene e il male! A noi non interessa questo, a noi interessano le storie che stanno nel mezzo, che non vogliono prendere una posizione esatta ma anzi lasciano l’ascoltatore libero di completare le storie stesse. Non so se Simenon potrebbe essere contento di noi, ma cerchiamo di fare questo tipo di lavoro con la scrittura: infilarci nelle crepe.

E dimmi delle storie che oggi raccontano i Perturbazione. Dimmi del titolo stesso, così enigmatico eppure così vero perché tocca la natura umana, con tutti i suoi bisogni, le sue fughe, le sue bugie, le sue verità. Dimmi di quel confine tra vero e falso su cui si vorrebbe stare in equilibrio…
A scuola ti insegnavano che l’importante è l’identità, ciò che sei nel profondo, di conseguenza ogni volta che tradisci quell’identità… tradisci te stesso. Come se ci fossero un vero e un falso assoluti. Secondo me questo è un grosso errore che nasce dal corto circuito tra cultura cattolica e cultura di sinistra, come una tendenza al castigarsi continuo… che non ha alcun senso. Pensa al mondo social dei nostri giorni, è vero che in esso siamo come degli iceberg e riveliamo solo una piccola parte di noi, ma non è detto che sia falsità e non ci aiuti a migliorare. A volte è un inganno, ma anche quegli inganni ci aiutano a vivere, a volte le piccole bugie di tutti i giorni ci aiutano a sopportare l’esistenza. Perché dovremmo giudicare tutto questo? Siamo le storie che ci raccontiamo. Il verso finale della titletrack è chiave: “Che cosa è falso, che cosa è vero? Non c’è racconto senza mistero”. Il mistero è la chiave di quest’epoca. Tornado ai social, c’è una bella differenza tra ciò che non è privato e ciò che è intimo. Cerchiamo il non privato, quasi in un gioco di identificazione, magari per questo amiamo le serie ben scritte e ben dirette. L’intimità è un’altra cosa.

Non è un caso che la titletrack chiuda il disco. Sembra l’ultimo capitolo di un romanzo in cui incontri tanti personaggi che ruotano intorno a temi che rimano con la vita di tutti i giorni, dove ogni cosa è un dettaglio e insieme un miracolo, se sai coglierlo…
È così. Le storie che raccontiamo non sono autobiografiche. Sia io che Rossano, che curiamo i testi, ci lasciamo ispirare da quello che accade intorno, dalle figure che ruotano attorno a noi. In quelle storie ritrovi dettagli così intimi da essere anche universali. Sono quei dettagli che osserviamo e facciamo nostri, senza giudicarli, ricercandone gli uncini che permettano agli altri di potersi identificare. In Trentenni la donna lasciata dal tipo con cui ha vissuto una vita deve rialzarsi: per quella storia abbiamo cercato una serie di fotografie per descriverla in modo da dare dei tratti intimi ed universali, appunto. Nella svagatezza del personaggio non c’è una fuga dalla realtà, ma una ricerca di leggerezza che ha qualcosa di profondamente malinconico e vero. Che sia comunque l’ascoltatore a decidere se sia un dramma o un miracolo.

E non è un caso che la titletrack parli della musica stessa…
Ti dirò di più. Il pop, più di tutti, è un genere imbastardito nel senso che ha influenze diversissime, abbiamo scritto questa canzone aiutandoci con la letteratura, quindi parla della musica ma alimentandosi di un modello alto che non voglio svelare: ti lascio il mistero. E te lo lascio perché è bello così, ogni musicista segue queste strade. Pensa a David Bowie, che da poco ci ha lasciati ma che continua a vivere insieme a noi con la sua cultura che ci ha insegnato. Lui è stato uno dei più grandi maestri nel mischiare ingredienti che apparentemente non si appartengono. Anche noi ci lasciamo andare a svariate influenze, cinema, tv, letteratura, fumetto, di tutto! In questa canzone il modello di riferimento ci ha aiutato proprio nella narrazione, ma mi piace che tu lo trasferisca alla musica, perché puoi riferirlo a qualunque linguaggio in effetti. Comunque la domanda più bella che un ascoltatore possa rivolgerti ha proprio a che fare con il movente. Il movente è il cuore, tutto il resto sta all’abilità dell’architetto nel costruire la struttura intorno. Gli assi portanti sono sempre i motivi.

Cosa vuol dire per te, per la tua vita questo disco?
Questo per me è un disco importantissimo perché rappresenta la mia armonia con i miei compagni di viaggio: Rossano, Cristiano e Alex. È un disco pacificato, l’ha definito così Stefano, il nostro vecchio bassista e mi è piaciuta tantissimo questa lettura. Lui dice che si sente l’armonia, ed è vero perché è quello che abbiamo ritrovato, respirato, vissuto dopo tanto conflitto. Nella storia precedente dei Perturbazione ci sono stati momenti molto belli, ma nell’ultimo periodo era diventato tutto troppo difficile, duro, conflittuale.
Quindi la parola migliore per dirti dell’importanza grande che ha questo disco per me è proprio: armonia. Forse è il primo disco che riusciamo a realizzare in armonia totale ed è una sensazione meravigliosa.perturbazione220116_2

Quale canzone senti più forte dal punto di vista del suono e quale dal punto di vista del testo?
Sia per suono che per testo mi piace molto Trentenni, lo trovo un pezzo fondamentale e non è un caso che sia il secondo in tracklist, ha avuto tutto il tempo di crescere, l’abbiamo scritta quando eravamo ancora in sei, ha subito varie trasformazioni, Gigi ne aveva fatto una versione sua tenendo il tema ma coniugandola in un modo diverso, poi l’abbiamo ripreso. I pezzi a cui lavori tanto, come accade anche con I baci vietati, diventano poi i più forti.
Mi piace moltissimo il testo di Ti aspettavo già. Sui testi il lavoro è mio e di Rossano, parliamo tantissimo di temi in comune, poi ognuno butta giù molte tracce, Rossano a volte con abbozzi di metrica, e io prendo da tutte queste idee, sia le mie che le sue, e le metto insieme come in un grande frullato, provo l’effetto con gli spunti musicali di Cristiano e Alex e… mi lascio andare alla melodia vocale. Mettere insieme temi narrativi e musica è la parte che più mi piace. Amo capire, rispetto alla tavolozza a disposizione con i dettagli forniti dagli altri, dove c’è una corrispondenza tra testo e atmosfera musicale, e definire la metrica, lavorare sul groove, sulla perfetta sintonia tra melodia vocale e testo.
Come suono mi piacciono molto Le storie che ci raccontiamo, Cara rubrica del cuore per la delicatezza, Dipende da te per la frizzantezza. Musicalmente mi piace tutto il disco!

Se ti chiedessi di spogliare una delle dieci canzoni della sua veste musicale per inserirla su un muro di poesie, quale sceglieresti?
Che domanda complicata! Forse Le storie che ci raccontiamo.

Da qualche parte del mondo. Dimmi tutto di questo brano. È una di quelle canzoni che arriva dritta al centro.
Sono felice che ti piaccia. È l’altro pezzo insieme a Trentenni ad avere più storia lunga. È stata scritta quando eravamo ancora in sei, è stato importante il lavoro iniziale di Elena e Cristiano. La scrittura era molto ispirata a Gotye. Ci piaceva l’idea di fare qualcosa di dilatato. Il testo è partito da idee di Rossano ma da me adattate. Mi piace molto l’immagine da qualche parte del mondo di sicuro c’è una persona più adatta, mi aveva colpito tanto nel testo di Rossano. Da lì abbiamo costruito la storia molto malinconica e consolatoria di due persone consapevoli delle difficoltà della vita, affrontabili meglio insieme che da soli, anche se non sempre è così, sia chiaro. Ci sono persone che stanno meglio se lontane, questa canzona non ha nessuna verità assoluta, però cerca di essere empatica e racconta una possibilità. Io ho la fortuna di stare con una donna con cui credo di essere molto meglio che da solo, nessuno è perfetto insieme, però ci si può abbinare bene!

Come mai la scelta di registrare in Inghilterra? E cosa significa per voi la musica di quella terra?
Quella musica significa tantissimo. Andare a registrare lì non è stata una nostra iniziativa, ma una proposta di Tommaso Colliva. Lui lavora tantissimo con i Muse e toccava a noi doverlo raggiungere. È stata un’opportunità bellissima, ovviamente la logistica non è stata semplice, ma ce l’abbiamo fatta. Londra è un po’ la metafora della ripartenza per tanti italiani, e anche noi lo stavamo facendo. E poi siamo cresciuti a pane e Smiths! È stato tutto molto emozionante, come le incursioni nei negozi di dischi durante le pause! Abbiamo curato batterie e bassi al Tilehouse, lo studio di Mikel Oldfield, il resto l’abbiamo fatto nel piccolo studio di Colliva. Ovviamente abbiamo respirato con grande coinvolgimento l’atmosfera londinese così ricca delle suggestioni dei dischi che ci hanno formato. Resta un grande ricordo che rima con l’armonia di cui ti parlavo prima.

Cosa dovrà aspettarsi il pubblico dai vostri live?
Secondo me, sarà una figata perché con noi ci sarà Andrea Mirò, una grande musicista. Sarà un live molto energico. Faremo come sempre, alterneremo le canzoni nuove con quelle vecchie perché ci piace contaminare presente e passato e far star bene il nostro pubblico. E poi abbiamo voglia di raccontare delle cose tra una canzone e l’altra, ci abbiamo lavorato tanto negli ultimi anni, soprattutto io! Sai che sono uno che ha dei discorsi nella testa, poi apre 78 subordinate e non le chiude! Però sono migliorato! Vogliamo inserire nel concerto un po’ di narrazione.

Cosa auguri alle nuove canzoni? Cosa auguri a quelli che le incontreranno?
Alle canzoni auguro sempre di trovare quella metà che le completi. Quindi, come sempre, diventeranno veramente canzoni nel momento in cui verranno ascoltate. E spero che tra questi ascolti ci siano degli ascolti eccellenti, che facciano scattare degli ingranaggi che ci portino in luoghi inesplorati che possano sorprenderci. Mi auguro che il cinema, il teatro e altri mondi trovino le nostre canzoni e ci contattino emozionati innescando nuove opportunità di lavoro. E naturalmente mi auguro che le canzoni tocchino il nostro pubblico. Quando qualcuno ci scrive raccontandoci la propria storia, e il modo in cui una nostra canzone ne abbia influenzato un momento, rendendolo unico… questa è la cosa più bella in assoluto. Spesso ci viene detto: “grazie, mi avete fatto piangere”, per questa esternazione tipica del nostro pubblico tra noi chiamiamo sempre in causa la donna di Amarcord che esce dal cinema e fa: “è tanto bello e ho pianto tanto”! Al di là di questo sdrammatizzare, le nostre canzoni ci hanno sempre portato le storie degli altri, tra Facebook, la mail. Tu stessa ci hai raccontato delle storie e hai fatto parte della vita di chi le ha ricevute, hai scritto delle storie insieme a loro. E poi quella narrazione è veramente la loro vita, la loro identità.

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