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Il paradosso della solitudine: intervista a Fabrizio Coppola

“Quando sono morto avevo trentasei anni”. Questa frase arriva tra le prime pagine di Katana. Mette subito in chiaro la situazione, lasciando in sospeso solo il lato estremo e drammatico della morte: l’oblio. Una frase che ha un prezioso valore letterario, è un cortocircuito nel romanzo, una parentesi in cui s’infila un Io narrante sconfitto, stanco, vittima di un grigiore metropolitanto che delinea una cattività ineluttabile. Michele non governa nulla della sua vita: né il lavoro, né l’amore, né la famiglia, né il corpo. Tutto gli sfugge, tutto scorre oltre la volontà. La sua umanità è nascosta nei pensieri inespressi, nel torpore finale. Per il resto, lui osserva e si osserva. Morire. Svanire. Nel nome del distacco. Del silenzio, spesso. Katana è una storia feroce, comune, di solitudine e contrazione, raccontata con uno stile essenziale, diretto e lucido. Opera prima di Fabrizio Coppola (anche cantautore), Katana affascina, pretende l’attenzione del lettore, disturbando e chiamando in causa un meccanismo di identificazione e fratellanza. Michele lo siamo un po’ tutti, di questi tempi.

Viviamo l’era di una grande illusione: quella della condivisione. Sembra quasi un nuovo concetto di fratellanza esaltato dal web, dalla velocità con cui si intersecano le esistenze, dalla fluidità dello spazio.Invece, mai tanta solitudine ha avvolto l’uomo. Come se esistesse un disturbo bipolare a livello sociale: la facciata e la verità profonda, intima. La verità è la solitudine, la sconfitta. Il protagonista del tuo romanzo rappresenta tutto questo…
Io credo che più che dell’era della condivisione stiamo vivendo quella dell’esposizione del sé, della propria esistenza esposta come una narrazione – e abbellita come tale. C’è gente che scrive un post anche per dire che è in coda alle casse del supermercato, per dire. Ma io trovo comunque che il nostro sia un periodo interessante perché ricco di contraddizioni. Le contraddizioni generano attriti. E dagli attriti nasce sempre qualcosa. Sui social si può dire tutto e il contrario di tutto. Io stesso mi rendo conto di essere più attivo sui social quando mi sento più solo (e io sono una di quelle persone che non ha bisogno di essere realmente sola, per sentirsi sola…). Tornando al protagonista di Katana, più che solo lui è proprio esiliato. Sfiora soltanto la realtà perché non può comprenderla (“Io lascio che le cose passino e mi sfiorino perché non sono in grado di comprenderle” cantava perfettamente Benvegnù). Se vogliamo, è uno sconfitto in partenza.

Verga, a proposito, è uno dei tuoi referenti letterari. Me ne parli?
Alla scuola media ci facevano fare l’analisi logica e l’analisi del periodo sui testi di Verga – ovvero, come farti odiare un grande narratore. L’ho ripreso dopo, durante l’università, quando ho cominciato ad appassionarmi alla poetica dei vinti, che non è solo un fatto americano (si pensi a Nuto Revelli, Il mondo dei vinti, ad esempio, come anche Zola, ovviamente). Quello che trovo interessante in quel tipo di approccio narrativo è questo: prendiamo un personaggio, mettiamolo in condizioni difficili e vediamo come reagisce. E questo è interessante su due livelli: da un lato magari ti permette di fare una critica sociale, se vogliamo, mentre dall’altro ti mette nelle condizioni di condurre un’analisi psicologica che va oltre la condizione sociale del personaggio. Perché l’istinto dell’uomo è il medesimo in ogni classe sociale: la ricerca della felicità e il tentativo di evitare la sofferenza.

La sconfitta rende Michele un uomo essenziale, di poche parole. Tutto si svolge nella sua mente: il rimpianto, il senso di colpa, la paura, l’amore, la morte. Esterna poco, pochissimo. Il tuo stile di scrittura, che ha delineato anche la scelta del titolo del romanzo, è una dichiarazione ben precisa, intellettuale e sociale…
Io sono fatto così. Lascio che il mio lavoro parli per me. Non dichiaro intenzioni artistiche, cerco di affermarle con il mio lavoro. Non critico chi lavora in modo diverso dal mio (quanta tristezza e imbarazzo quando leggo sui social le critiche di cantanti contro cantanti, etichette contro etichette, scrittori contro scrittori: usate meglio il vostro tempo, cercate di produrre opere che affermino la vostra visione invece di sprecare minuti preziosi per criticare il lavoro degli altri). La scelta della lingua in Katana è stata una non-scelta, è come se la materia e il taglio che volevo dare alla storia richiedessero quello stile asciutto, secco, netto – sul quale ho lavorato tantissimo, continuando a togliere, togliere, nel tentativo di lasciare solamente l’osso della scrittura. Gran parte della vicenda si svolge nella testa di Michele, è vero, ma ciò accade solo perché lui non è in grado di decifrare ciò che significa la realtà intorno a lui. è spaesato, alienato, inetto e inadatto: ci vuole una forza enorme per vivere e in Michele il vuoto al posto della forza è uno dei caratteri predominanti.

Certa letteratura americana contemporanea respira uno stile analogo. Asciutto, diretto, direi quasi feroce. Quanto devi a certi maestri?
Moltissimo. Mi sono abbeverato alla cultura americana del Novecento per tantissimi anni: libri, dischi, film, fotografia. Spesso in essi ho trovato una forma entro la quale poter canalizzare ciò che sentivo e ciò che sento tuttora. Un paesaggio non solo esteriore (palazzi, strade, macchine sono sempre stati presenti nelle mie canzoni, anche perché Milano da quel punto di vista è un fondale fantastico), ma anche interiore, con l’idea dell’affermazione di sé e l’idea del fallimento, che nella cultura americana sono i due pilastri entro i quali si colloca l’intera realtà. Devo tantissimo all’espressione che usava Raymond Carver per definire i suoi personaggi: “il proletariato della psiche”, cioè un mondo di inadatti, di inetti, di incapaci di adeguarsi alla realtà e di lasciarsi vivere secondo le regole accettate comunemente. La chiudo qui, altrimento scrivo sei pagine su questo argomento…

La solitudine arriva al paradosso nel finale del romanzo. Non parlo della morte, parlo dell’oblio. Parlo di un figlio e di nessun senso di appartenenza…
Quello è uno dei temi centrali del romanzo – l’altro è che le nostre vite sono governate dal caso: che senso ha vivere se nulla resterà di te dopo la morte? Nel caso di Michele è ancora peggio: lui lascia qualcosa dietro di sé, ma nessuno sa che ciò che lascia deve essere ricondotto a lui. Una beffa, il vedersi sottratto anche ciò che aveva realizzato contro la sua stessa volontà. Personalmente l’idea della morte mi spaventa molto. Più ancora mi spaventa l’idea di spendere il tempo che mi sarà concesso senza lasciare qualcosa dietro di me – dei figli, un disco o un romanzo davvero di grande valore, un’idea…

Un uomo che non sceglie di avere un figlio. Un figlio che non saprà mai di suo padre. La filiazione dovrebbe lasciarci una delle poche certezze: il senso di appartenenza, come dicevo prima. Katana la nega. Inoltre una madre ripara al dolore personale con una menzogna. Tutto crolla. In questa odierna società anche un figlio è una violenza…
Ovviamente la storia di Katana è solo una delle storie possibili e non vuole essere, come dire, un commento generale alla società odierna. L’idea era di rappresentare lo scontro tra i desideri dell’uomo e la realtà esterna, sulla quale nessuno ha alcun controllo. è chiaro che è una storia al limite, ed è una storia attuale nel senso che oggi un essere umano del mondo occidentale ha la possibilità di desiderare molto di più rispetto alle generazioni precedenti. L’altro lato della medaglia è che l’innalzamento della soglia delle possibilità innalza naturalmente anche quella della frustrazione. Ciò che è “possibile” è appunto “possibile”, nient’altro, non è sicuro che accada. E quando il possibile, che talvolta viene dato per scontato, non diventa reale, nelle menti dei più deboli (torniamo al proletariato della psiche di cui sopra) si possono attivare meccanismi atroci. Molti dei personaggi di Katana sono proprio così. Qualcuno riesce a salvarsi, altri restano vittime di loro stessi. Ma mi piace pensare che, a suo modo, il romanzo si chiuda con un lieto fine, non in senso classico, ma lascia pur sempre una speranza – malridotta, basata sull’inganno, dolorosa, ma comunque luminosa.

Hai dato a Katana un formato digitale e uno cartaceo in cento copie. Hai altri progetti per questo romanzo?
Le prime cento copie del cartaceo sono praticamente esaurite (ne restano una manciata in vendita sul mio sito) e in questo momento è in produzione la ristampa, di altre duecento copie. Da marzo farò un giro di concerti con i quali saluterò il mio ultimo disco, Waterloo, e ne approfitterò anche per presentare Katana, affiancato a ogni tappa da un giornalista locale. Quando ho deciso di fare da solo per Katana, dopo aver ottenuto parere negativo da alcuni case editrici, ma anche interesse da parte di altre (Rizzoli, per esempio, mi aveva chiesto delle modifiche alla trama, che potevano anche avere senso: ho provato a seguire il loro consiglio, ma il risultato non mi convinceva per niente, così ho lasciato perdere quella strada), sapevo che sarebbe stato un necessario un lavoro lungo e difficile per portarlo all’attenzione del pubblico. Avere esaurito la prima tiratura in un paio di mesi è molto incoraggiante, se pensi che il libro è in vendita solo sul mio sito. Credo che ci vorrà almeno un anno per provare a ottenere il riscontro che mi piacerebbe ottenere. Senza fretta però. In ogni caso, il secondo romanzo è praticamente finito.

**Fabrizio Coppola è nato a Milano nel 1974 da una famiglia di origini salernitane.
Diplomato al Civico Liceo Linguistico A. Manzoni, ha abbandonato gli studi in Storia presso l’Università Statale di Milano per concentrarsi sull’attività di cantautore. Da allora ha pubblicato diversi dischi (La superficie delle cose, 2003; Una vita nuova, 2005; Live alla Casa 139, 2006; La stupidità Ep, 2009; The Junkyards, Last Light on Earth, 2011; Waterloo, 2011) e tenuto concerti in tutta Italia. Collabora come editor, traduttore e redattore con alcune case editrici italiane. Da sempre appassionato di scrittura, Katana è il suo primo romanzo.
Katana, (142 pagine, copertina morbida a cura di Antonella Paulon), ha avuto un’elegante tiratura limitata e numerata a mano di 100 copie ed è disponbile in versione ebook sul sito fabrizio-coppola.net e su tutti gli e-Book store del mondo.

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