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Dalla Norvegia ad Acitrezza, tra folk e blues: intervista a Terje Nordgarden

Eccoci ancora ad incontrare il vichingo buono che ama scrivere canzoni e tuffarsi nel mare siciliano. Terje Nordgarden ha maturato sempre più un modo personalissimo di intendere il folk, immergendolo nel blues e nel soul. Il suo quarto lavoro You gotta get ready è in equilibrio perfetto tra queste sue attitudini.

Il tuo nuovo lavoro sembra, a differenza dei precedenti tre, veramente in pieno equilibrio tra tutte le tue principali attitudini artistiche: il folk, il blues ed il soul. E’ solo una mia impressione?
Penso che il mio nuovo disco sia in equilibrio perchè sono riuscito ad esprimere il mio stile in modo molto soggettivo, lasciandolo scorrere allo stesso tempo ricco e fresco. Ho cercato di rimanere su una strada principale, quella strada americana, on the road con lo spirito libero e pronto per combattere per la propria indipendenza e sopravivenza. Sono oramai abbastanza cosciente dello mio stile naturale che ha radici profonde, legate alla mia infanzia, a quel tempo in cui il mio papà metteva su vinili di musica country, lui era un grande fan dello stile western.

Nelle liriche di questo disco emerge una duplicità spirituale: da una parte una componente  nostalgico-riflessivo e dall’altra uno spirito combattivo-reattivo. Per scrivere belle canzoni bisogna avere questa visione della vita?
Non c´è nessuna regola. Ognuno trova quello che funziona per se stesso. Alcuni possono fumarsi un bel cannone e funzionano benissimo dal punta di vista produttivo e creativo. Io no, preferisco una bella nuotata nel mare siciliano. Faccio delle cose fisiche che mi fanno sentire vivo, sia suonare concerti che fare viaggi, cose che mi tirano su. Peró penso che tutti e due i punti che hai menzionato sono fattori e fonti molto importanti per scrivere e esprimersi con la musica, sia il riflessivo che il reattivo, si guarda al passato per imparare come migliorare il futuro.

Keep It Shining on the Inside è tra le mie preferite. Come è nata?
Stavo camminando in giro per Berlino, sicuramente post sbronzo, stanco e depresso. Faceva molto freddo fuori, tipo meno 20 gradi e c’era uno strato di nuvole, grigio e pesante, sospeso sopra la città. Ad un certo punto ho iniziato a canticchiare sulla prima strofa “You hear people talking of the weather”, attraversando Victoria Park in Kreuzberg è venuto fuori il ritornello. Arrivato  a casa ho preso la chitarra e ho finito la canzone in una mezz’oretta. È una delle canzoni che mi è venuta piu spontanea. Forse è anche per questo che è abbastanza immediata come canzone.

Hai collaborato con Paolo Benvegnù nel primo disco. Poi hai scelto la strada dell’autoproduzione artistica per questo nuovo lavoro. Quali sono gli aspetti positivi e negativi del famoso approccio DIY (Do it yourself)? Ti piacerebbe essere di  nuovo diretto da qualcuno? Se sì, chi sceglieresti?
Anche nei miei altri dischi ho avuto co-produttori, i norvegesi Arvid Solvang su A Brighter Kind of Blue e Audun Borrmann su The Path of Love. Questo disco è il primo in cui faccio tutto da solo.
Il positivo del DIY è che esce fuori quello che hai in mente tu, è un prodotto al 100 %, non 70% tu e 30% qualche produttore. Poi sei sicuro che il lavoro viene fatto effettivamente come desideri e poi ovviamente spendi molto meno soldi, unaspetto essenziale oggi col calo estremo di vendità di dischi e di cachet dei concerti.
Il negativo è che è facile perdersi nel proprio lavoro e non capire più dove stai andando o che cosa vuoi fare con le canzoni. Si rischia anche di lavorare per tempi troppo lunghi esaurendo energie e pensieri. Un giorno mi piacerebbe fare un disco con Haakon Gebhardt, l´ex-batterista dei Motorpsycho, che sta diventando un gran produttore, ha un ottimo gusto e deriva da una scuola molto simile alla mia, segue la direzione americana.

Il tuo talento è indiscutibile. Pensi di aver raccolto tutto quello che meritavi dalla musica? Hai qualche rimpianto?

Grazie. Si cerca sempre di far crescere il proprio progetto e la propria carriera. Devo dire che certamente non penso di aver raccolto tutto quello che merito. Però continuo a combattere e a spaccarmi la schiena, continuo a credere nel merito. Ci sono sicuramente tante cose che avrei potuto fare diversamente, però non rimpiango niente, ho vissuto la vita al massimo e mi ha portato dove sono oggi. Sto ancora andando avant, con la testa, con la forza e con lo spirito.

Hai scelto di andare a vivere ad Acitrezza in Sicilia. Ci spieghi come mai un vichingo come te matura una scelta del genere?
È l´amore che sposta montagne, l´amore per una donna siciliana e l´amore per una terra fantastica.
Poi, oramai ho 33 anni, non sono più quel ventenne disperato in cerca di successo o di vita notturna e festa. Acitrezza è un posto meraviglioso dove si possono ricaricare le pile e riprendere le forze per ritrovare la serenità. E comunque continuo a viaggiare per quasi 150 giorni all´anno, vedo tante città e assorbo molto cultura.
Ti dico la verità, non ho piu bisogno di stare nel mezzo alla confusione. Apprezzo piu la pace e la tranquillità.

Gli ultimi cinque dischi che hai acquistato e ti sono piaciuti?
Devo ammettere che non me ne ricordo tutti e cinque! Solo quello di Bruce Springsteen, Wrecking Ball. È un disco che cresce molto, ad ogni ascolto. Un disco pieno di forza, spirito e voglia di andare avanti. Non vedo l´ora di rivedere il Boss a San Siro 7 giugno.

Cos’è il viaggio per te?
Il viaggio è la vita. La vita è il viaggio. La mia paura più grande è questa: se uno smette di viaggiare muore. Magari non si muore fisicamente, ma lo spirito perde la vitalità che procura il viaggio. Il viaggio è la voglia di sapere e imparare e vivere fino alla morte.

Leaving – Preview

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