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Vivere a piedi nudi: intervista a Nina

Vivere a piedi nudi è una scelta. È sicuramente un punto di arrivo. È un’attitudine e una filosofia fatta di osservazione e gesti. Non significa non avere limiti, né tanto meno superarli. Significa soltanto avere consapevolezza di sé per non farsi ingabbiare. Nina lascia che i suoi piedi siano solleticati dall’erba fresca, senza rinunciare alle bruciature della lava fiammante. Questa concezione inquadra il confronto che LostHighways ha instaurato con l’artista, attraverso la sua carriera e il suo pensiero. Perché dove non arrivano le parole tracciate, fa capolino una voce capace di guardarti al di là degli occhi.

Voglio addentrarmi subito nel disco. The Black Mill. Il titolo sembra evocare un’atmosfera cupa e confusa. Invece i tuoi pezzi fin dal primo ascolto appaiono molto lucidi, limpidi. Ad ogni sensazione fai sempre corrispondere un colore ben definito. Dove sta il compromesso?
In realtà non esiste compromesso ma puro principio di trasformazione. La possibilità tradotta in abilità, propria dell’essere umano, di attivare, in ogni istante, la consapevolezza di avere in sé una parte in luce e una in oscurità. Abbracciare incondizionatamente, osservare e utilizzare ogni singolo aspetto, superando il senso di colpa e il giudizio che inevitabilmente sorgono dal non sentirsi perfetti, fa sì che la “vita dentro” e la “vita fuori” pulsino all’unisono nel creare una sorta di terza identità integrata in cui tutto esprime il proprio massimo valore. Disattivando il potere deviante del concetto di perfezione, vita e suono acquistano nitidezza e colore poiché vivono di libertà incondizionata. In termini di esistenza, che differenza fa se un evento è gioioso o carico di sofferenza? Ritengo sia importante come lo viviamo e cosa decidiamo di farci: lo sforzo nella creazione di valore nonostante le difficoltà. In questo senso The Black Mill, con i suoi dieci mondi, è la proiezione sonora della mia vita e del suo esistere in relazione; con se stessa, il mondo delle idee, delle emozioni, della materia. Come dire:”… solo dal caos può nascere una stella danzante“.

La tua voce è stata definita amniotica. È un aggettivo che mi piace molto e lo trovo decisamente pertinente. Me lo spieghi? Sapresti contestualizzarlo, magari decifrandomi le immagini che leghi a questa definizione?
Voce amniotica… mi porta d’istinto ad una sorta di ventre della mente, dove la relazione vita-morte-vita si esplica in cruda poesia, parla in una lingua antica e sconosciuta… eppure comprensibile. Vedi l’ultima strofa di The Erased: “violated small pure drop of essence etc…

La tua formazione è in primo luogo lirica. Come si è tradotta questa esperienza nei successivi approcci al blues, al jazz, fino alla tua nascita come cantante solista?
Autodisciplina, forte tendenza alla puntigliosa ricerca di verità e coerenza nella connessione tra emozione, parola e suono. “E’ assurdo recitare, vai e trovati dentro, dichiarati senza pudore attraverso il suono“… le parole del mio Maestro risuonano sempre nella mente.

Ti sei avvicinata prestissimo al canto lirico. Cosa rappresenta per te il canto? È una vocazione? È pura passione? Cos’altro?
Strumento. Vita che cerca, offre se stessa e si esprime sperimentando tutte le infinite possibilità; vive con passione, cade e si rialza, abbandona pezzi di sé con gioia per autorigenerarsi. E’ un mezzo. Quello che mi rende immensamente felice.

Si dice che l’incontro tra te e Max Zanotti, produttore artistico di The Black Mill, sia avvenuto in un backstage. Come si passa dalla casualità di un incontro all’esigenza di un progetto insieme? Cosa vi ha legati subito?
Parto dalla seconda domanda… probabilmente, sin dall’inizio, la connessione è avvenuta sul piano delle differenze e delle differenze si nutre, sia in termini relazionali che in quelli più strettamente musicali. Siamo entrambi fortemente autonomi ma con un forte spirito di ricerca ed evidentemente questo ci ha avvicinati ogni volta con naturalezza e curiosità. In seguito ci siamo conosciuti meglio lavorando insieme sulle nostre voci, ascoltandoci invece che parlare. Poi sono arrivati gli accordi, gli effetti di questa sorta di dialogo morbido e spigoloso al contempo. The Black Mill è stato partorito mentre vivevo e trasformavo un evento fortemente doloroso della mia vita. Max c’era. Il nostro lavoro è assolutamente frutto della gioia di lottare per la vita.

Una delle similitudini che personalmente trovo tra te e Max è una forte attenzione verso quelle piccolezze capaci di rendere un testo poesia e di rendere un’immagine un affresco. È solo questione di sensibilità? Cosa sono per te i dettagli?
Non immagini quanto sia felice di questa tua percezione… L’attenzione, la cura e il rispetto profondo per la preziosità di ogni singolo battito di vita. Non credo sia solo una questione di sensibilità. Si può anche essere “sensibili” ma negativamente egocentrici e non riconoscere quell’attimo. Per ciò che mi riguarda si tratta proprio di attivare “l’azione locale” all’interno di uno “sguardo globale”.

Di questa cura ne è prova ad esempio il brano Don’t Forget m.l.a.t.r. in cui dici: “take care of seed in this human/who cares to be men or women”. In linea generale, trovi che quella di genere sia una differenza non così essenziale?
In Don’t Forget m.l.a.t.r. uso l’aggettivo “male” come espediente per identificare immediatamente la tematica dell’abuso sessuale e di qui parto ancora per disegnare le diramazioni e le deviazioni ad esse connesso. Frustrazione, necessità di controllo, ansia di esercitare una qualsiasi forma di “potere” sono purtroppo realtà emotive che, dal micro al macro, si manifestano al di là delle differenze di genere. Che siano ancora le donne e i bambini a pagare in misura sproporzionatamente maggiore è un dato di fatto indiscutibile ma il problema rimane nell’assenza di educazione al rispetto dovuto all’essenza, al seme, alla sacralità della vita. Possiamo nascere maschi o femmine, essere uomini o donne ma penso che “umani” ci si possa solo diventare. Per scelta.

Traslando questo discorso nel mondo della musica, si può parlare di pari opportunità per un cantante, donna o uomo che sia?
Pari opportunità nel mondo della musica… alle donne vengono richiesti molti più requisiti che non sempre hanno a che fare con le capacità. Se solo osserviamo la percentuale delle donne in parlamento abbiamo già una chiara visione di quanto il nostro paese sia in odor di emancipazione… Il problema necessiterebbe di una trattazione a parte, potrei, come minimo, partire dalla caccia alle streghe.

A Un Solo Passo è il primo singolo estratto dal disco. Come mai la scelta è ricaduta sull’unico brano in lingua italiana?
Una prima scelta, volutamente non troppo cavalcata ma sicuramente un brano che apre, a suo modo, la lingua italiana, ad un genere nato altrove. Una sorta di omaggio.

Damn You è il pezzo che in assoluto preferisco. Testo acido e pungente. Ricco in parole e sfumature. Su tutti, amo i versi: “I’m shaking your veins / let your violence / be sanctified/ with the wine of your blood, now / and clean your face / I lost my way”. Un cantato morbido, il tuo, che si intreccia con il cantato via via più violento di Max. Decisamente d’effetto. Me ne parli?
Damn you filma la lotta interiore consapevole all’interno della dinamica dei veleni che offuscano la visione evolutiva della vita in una sorta di corpo a corpo tra la parte in luce e la fame rabbiosa di potere. Il duetto dà voce a due tipi di esperienza: la mia voce esprime la leggerezza imperturbabile e penetrante del “potere morbido” mentre la voce di Max è l’urlo, l’atto di ribellione puro e sanguigno ma mai violento… è il rifiuto stesso del veleno che scuote le vene del demon hound e lo smaschera. Nelle battute finali le voci si incontrano fondendosi… il demone prega in ginocchio di potersene andare…

Il teatro. La tua carriera ti ha vista e continua a vederti protagonista sul palcoscenico, sempre in opere legate strettamente alla musica. Quanto l’impostazione teatrale si ripercuote sulla tua musica e quanto, viceversa, la libertà d’espressione musicale influenza la resa scenica?
Vivo la voce come realtà materica, corpo che suona. L’esperienza teatrale ti rende consapevole del corpo come strumento espressivo non necessariamente legato alla voce; approfondire l’effetto dell’emozione in atto e focalizzarla anche soltanto nel movimento di una mano scarnisce e al contempo esalta l’azione. Chi riceve l’immagine ha l’essenza. La voce e la libertà di espressione musicale fanno parte di questo processo e, per quanto mi riguarda, tutto ciò va a contribuire al fine ultimo. Dialogare con chi ascolta, offrire.

Per restare in argomento, quando sarà possibile vederti e ascoltare The Black Mill live?
Si stanno chiudendo date da fine settembre in poi. Per iniziare probabilmente Roma e Napoli, con dirette in radio. Ti terrò aggiornata, ci sarà qualche sorpresa a Milano.

Per concludere, una curiosità. Qual è il disco della tua vita? Quello che non può mancare tra gli ascolti di un appassionato di musica?
Ho almeno dieci dischi della mia vita! Te ne dico cinque: Billie Holiday con M. Waldron & P. Knight Orch., A love supreme di John Coltrane, Bitches brew di Miles Davis, Blue Lines dei Massive Attack, Grace di Jeff Buckley. Se poi parliamo di voci… non la smetto più!!!

Grazie infinite per la tua disponibilità.
Grazie a te, Valentina. Ogni incontro è fortemente stimolante. Sei preziosa.

Let the rain fall – Preview

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