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April – Sun Kil Moon

Svestirsi ancora, per tornare ad essere veri. Denudarsi da ogni contorno, da ogni inutile rivestimento, presentarsi privi di pelle di fronte a quell’esigenza insopprimibile di raccontare e di raccontarsi agli altri. Mark Kozelek, il ragazzo della casa rossa in collina, ancora sovente ama palesare l’anima più spoglia e vera della sua personalità artistica, ancora con quel piglio così confidenzialmente incerto con cui si faceva cantore di meditabonde e dolci storie coi suoi Red House Painters, esperienza folk-rock cruciale degli anni ’90 americani. Lo fa scrosciando giù con sovrumana e difficile pazienza, come una pioggia d’aprile (nemmeno tanto inaspettata)e ci regala quest’ultima fatica targata Sun Kil Moon, sua personale e fragile creatura che con questo April (prodotto per l’etichetta Caldo Verde) arriva al suo terzo appuntamento (dopo il primo apprezzatissimo Ghosts of the Great Highway nel 2003 ed Tiny Cities nel 2005, un lavoro di rivisitazione di alcuni brani dei Modest Mouse). Quelle di April sono lunghe confessioni biascicate sottovoce, in favore di penombra, mentre guardando disincantati fuori da un finestrino scopriamo il mondo superarci ancora in direzione contraria. Sono versi ammuffiti nel cassettone di quel vecchio scrittoio in mansarda e che forse nessuno ha mai letto eccetto te. Versi che profumano di cose forse già dette, ma che hai ancora l’esigenza di leggere ad alta voce. Ha la penna ferma del cantautore all’antica Mark Kozelek, pur avendo ben stretta tra le mani l’esperienza dei suoi Red House Painters. Un cantautore che non ha paura di spalmare le sue composizioni a minutaggi impossibili (la durata media oscilla intorno ai 6 minuti), seppure ogni brano evolva la sua anima con compiutezza ed eleganza. Così è per la l’imponente ballata folk di apertura Lost Verses, che dispensa pillole di Neil Young per le nuove generazioni indie, o per la country-ballad The Light. La parentesi sognante di Moorestown è pura aria sospesa, una ballata sorretta da un dolcissimo arpeggio di pianoforte e accarezzata da un leggero velo d’archi. Lo stesso dicasi per i magnetismi dreamy di Tonight in Bilbao. Le chitarre elettriche della lunghissima Tonight the Sky portano alla mente ancora le scorribande folk-rock emozionali di Neil Young. Attorno a brani più luminosi gravitano una serie di ballate decisamente in minore, come nel funeral-folk di Heron Blue, asfittico rituale acustico completamente privo di luce o nell’arpeggio funereo di Lucky Man, raggio viola che filtra tra gli alberi e che bagna ulteriormente di velato intimismo i chiaroscuri del disco. Non mancano parentesi più vicine al folk pastorale come in Unlit Hallway, con tanto di intermezzo country di banjo, o nella dolcissima Like the River. La ballata cristallina Blue Orchid chiude un disco difficile e volutamente monocorde per certe scelte compositive, ma di grande spessore ed eleganza. Un disco che riconferma Mark Kozelek come uno dei cantautori più validi in circolazione.

Credits

Label: Caldo Verde – 2008

Line-up: Mark Kozelek (vocals, guitar, piano), Geoff Stanfield (bass) – Anthony Koutsos (drums) – Tim Mooney (drums) – Phil Carney (guitar) – Matt Boyer (guitar) – Alan Molina (violin) – Michi Aceret (viola)

Tracklist:

  1. Lost Verses
  2. The Light
  3. Lucky Man
  4. Unlit Hallway
  5. Heron Blue
  6. Moorestown
  7. Harper Road
  8. Tonight the Sky
  9. Like the River
  10. Tonight in Bilbao
  11. Blue Orchids

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