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Uncool – Betty Ford Center

Fuori piove. Io sono in macchina e torno da lavoro. L’acqua cade sull’asfalto e si mischia all’olio e alla sporcizia che ristagna ai bordi dei marciapiedi della mia città. Le luci dei lampioni si riflettono nelle pozzanghere come lampi liquidi. Hanno il loro sporco fascino. Dallo stereo una musica sporca come queste pozzanghere nero petrolio mi dice che sono vivo. Mi dice che sono vivo perché è talmente velenosa che mi fa sentire il sapore del fiele e della rabbia. Il sapore di spore velenose.
E’ quello che mi aspettavo mesi fa dai Betty Ford Center.
Abbiamo aspettato, abbiamo saltato sui loro vecchi brani, abbiamo cercato notizie su questa formazione di Frosinone che cammina come un treno merci in corsa e alla fine il loro secondo prodotto è giunto con la forza che ci si aspettava.
Perché, diciamolo chiaramente, le aspettative non sono state deluse. Il loro EP Uncool è un lavoro di un impatto disarmante, il sudore che cola non è da meno di quello che trasudava da Enjoy The Rehab. E’ l’energia che serve per spaccare il modo e, per spaccare il mondo, serve energia a vagonate. I Betty Ford Center hanno quest’energia e hanno anche di più. Muscoli, sangue rosso, ironia e rabbia neanche mascherata. Massacrante, cattiva, sporca.
Allora, direte voi, un buon disco. Un disco da cui si riceve ciò che ci si aspetta.
Se ci si ferma al disco, beh, sì. Un buon lavoro.
I Betty Ford Center sembrano camminare con gambe proprie e, pur se legati alla loro musica, al loro sound, riescono con solo cinque canzoni a rivedere alcuni punti.
Riescono a stemperare degli angoli vivi del precedente Enjoy The rehab, che erano comunque pochi. Riescono a smussare i bordi, pur rimanendo sensuali e riottosi.
Il muro sonoro prodotto da Pet’s Fight è potenza che spacca i timpani. Il basso di Max (che nel booklet si firma Pornomax) è decisamente una delle cose più dirette che mi sia capitata “per le orecchie” ultimamente. Appena la voce di Lucia iniza a gridare “piss someone els off” capisci che non ci sono pupazzi in questa canzone. E te ne rendi ancora di più conto quando lo stesso Tiziano attacca un controcanto indimenticabile
E chi ne ha bisogno, del resto?
I pupazzi lasciamoli a MTV. Qui vogliamo carne, sangue, sudore, sesso, rabbia. Vogliamo rock vero, insomma.
Il viaggio in macchina prosegue con Jill The Ripper dove la chitarra spara accordi in rapida successione. Un brano breve e incisivo, di quelli di una volta che, prima della scarica finale, cala un poco il livello di potenza, quasi a suggerire una ricerca di stile che diventa interessante.
Sembra scorrere tutto perfettamente ma ecco arrivare una versione di Miss Borderline che mi spiazza. Il brano, tratto direttamente dal loro precedente lavoro, gira molto più lento. Qui le parole si sentono e si riesce anche a cogliere una vena che, secondo me, rasenta l’ironia della vocalist. Mi piace immaginarla che sorride, serpe pericolosa, mentre canta “I’m unfine! Not fine!”.
Devo confessare che questa versione mi ha spiazzato e, mentre accelero mi spiazza ancora di più la traccia che chiude l’album, Silly Pop Song. Non sembrano loro a suonare. Sembra che suoni un gruppo del garage di Seattle dei primi anni ’90. Uno stemperare le rabbie in una sana cattiveria musicale. Il ritornello si fa cantare, ti resta in testa, Tiziano picchia sulle pelli come un buttafuori picchierebbe sulla faccia di un cliente fastidioso. Lucia grida e suona e il basso di Massimo accompagna la sezione ritmica con fare martellante ma mai spinto.
Ed ecco che il disco finisce. Ma come? Erano cinque tracce e hai parlato solo di quattro brani, direte voi.
Sì. Del resto ho anche detto che non ci si deve fermare al disco in sè.
Il primo brano, quello che apre l’album, si chiama Indie Die. Più che un titolo, è una dichiarazione d’intenti. Una dichiarazione di guerra. Se avete una mezza idea delle mode che diventano martellamento mediatico e, soprattutto, se avete una mezza idea della musica come necessità, andatevelo ad ascoltare.
Non abbiamo bisogno di cravatte firmate e pantaloni a sigaretta su stivaletti di pelle per fare rock.
Basta “non essere puliti, non essere buoni, non essere dio e non essere te”.

Credits

Label: Autoprodotto – 2008

Line-up: Lucia (Voce) – Tiziano (Batteria) – Max (Basso)

Tracklist:

  1. Indie Die
  2. Pet’s Fight
  3. Jill The Ripper
  4. Miss Borderline
  5. Silly Pop Song

Links:Sito Ufficiale,MySpace

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Un solo commento

  1. peccato…sto disco dura troppo poco…
    menomale che hanno un sound retroattivo…nel senso che riescono a restarti in testa per giorni e giorni…bello bello davvero…
    menomale va…qualcuno che non delude le aspettative c’è ….
    Evviva i Betty ford c. …
    Con la loro cattiva “intimità” mi hanno conquistata!!!
    grazie a loro e anche a te Cris!
    D.

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