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1999 – Lucio Dalla

Lucio Dalla - 1999L’Italia del boom guarda all’America, potrebbe essere altrimenti? Le spinte innovative, più o meno riuscite, più o meno consapevoli, autentiche e durature, provengono da quello sguardo che nuove leve di musicisti emerse dalle ceneri della guerra gettano al di là dell’oceano, al rock’n’roll, al sogno americano. Dalla fine degli anni ’50 c’è un fermento giovanile trasversale, un sottobosco che cresce, in alcuni casi anche in fretta portando alla ribalta accenti, ritmi e scale inedite per il bel canto dello Stivale. Tuttavia le esperienze di successo in tal senso sono legate a figure presto imbrigliate se non nate dalle maglie pesanti della cultura nazional popolare, che lasciano filtrare solo aspetti esteriori di quel mondo musicale, la cui sostanza resta nota e apprezzata in una piccola nicchia di addetti ai lavori. Non è dunque un caso che certi linguaggi vengano accolti favorevolmente da un giovane e dotato clarinettista, nato a Bologna, come tutti sanno, il 4 marzo del 1943. Lucio Dalla, oggi celebre nelle vesti di cantautore, comincia a far musica partendo dal jazz, ottenendo da subito ottimi riscontri in quell’ambito: con la sua Rheno Dixieland Band partecipa alla prima edizione del Festival di Antibes e duetta addirittura con geni del calibro di Chet Baker, Eric Dolphy, Mingus. Per la prima metà degli anni ’60 il bolognese è uno strumentista di classe che resta tale anche quando, entrato a far parte della formazione dei Flippers, comincia ad accostarsi al mondo più commerciale del Cantagiro, dove nel ’63 accompagna Edoardo Vianello e la sua I Watussi (ascoltare i fiati dell’incisione per credere!). Si accorge di lui Gino Paoli che al termine di una di quelle serate lo convince a lasciare i Flipper per intraprendere la carriera solista. Insieme lavorano a Lei (non è per me), primo 45 giri  nonché prima prova di Dalla come cantante solista su disco, ‘aveva talmente vergogna che volle tutte le luci spente e anche dei paraventi perché nessuno lo vedesse cantare‘ ricorda Paoli. Questa ed altre incisioni passano inosservate e anche la partecipazione al Cantagiro si rivela un fiasco, ma Lucio non demorde. Il 27 e il 28 Gennaio del 1966 Dalla partecipa al Festival di Sanremo con il brano Paff … Bum! abbinato ad uno dei gruppi di punta del blues revival britannico, gli Yardbirds, nelle cui fila milita all’epoca Jeff Beck, secondo guitar hero transitato nella formazione di Keith Relf, Chris Dreja, Jim McCarthy e Paul Samwell, dopo Eric ‘slowhand’ Clapton e prima di Jimmy Page. Nomi da far impallidire, ma anche totalmente decontestualizzati e ancor più penalizzati dalla scelta infelice di cantare in un italiano stentato che snatura l’anima blues della band. Poco importa, Dalla mette finalmente a segno una hit e si presenta in studio per incidere un album con una nuova band bolognese, Gli Idoli, che lo accompagneranno fino a Storie di casa mia (1971). La produzione del disco è di Sergio Bardotti, all’epoca direttore artistico della ARC, anche autore di gran parte dei testi, mentre gli arrangiamenti sono di Gian Piero Reverberi, che in questa veste darà poi un rilevante contributo all’incisione di alcuni capolavori della musica in Italia come Tutti morimmo a stento e La buona novella di De André, nonché vari album di Battisti, New Trolls e Le Orme, per citare solo i maggiori. Suo fratello Gian Franco, già esponente della ‘scuola genovese’, è invece coautore con Dalla delle parti musicali di molti brani di 1999. Un album intitolato capovolgendo le ultime due cifre dell’anno in corso come l’Orwell di 1984, racchiuso come tra due specchi con l’espediente di due intro e outro quasi identiche, brevi strumentali in cui Dalla canta in stile scat il tema di I Got You (I feel good), portata al successo da James Brown nell’ottobre del ’65, correndo sul nastro accelerato di un folle teatro dell’assurdo, dove i protagonisti si dimenano come le scimmie impazzite di un laboratorio segreto. Qui si incontrano cose strane come la marcia a suo modo antimilitarista Quando ero soldato, che attraverso richiami agli inni yankee, sostiene sia meglio la leva che la vita drammatica del protagonista, afflitto da un complesso di colpa isterico che si rispecchia nel canto istrionico e lunatico di chi affronta la propria guerra personale.
Lei (non è per me) rielabora una melodia proveniente dal repertorio folk blues statunitense, incisa per la prima volta da un anonimo musicista nel 1911 e poi da Bessie Smith che nel ’25 la portò al successo, al punto da diventare uno standard interpretato da jazzisti, bluesman e da padri del rock’n’roll e del soul come Fats Domino e Ray Charles. Nella versione in italiano Dalla mostra una notevole padronanza del panorama musicale statunitense del Novecento, benché la sua interpretazione vocale, modulata sull’accompagnamento jazzato degli Idoli, prediliga il trasporto di un coro gospel con una voce che si colora grazie al tremulo vibrato e sembra caduta in un’ampolla piena d’acqua dalla quale fuoriesce come bolle di sapone, sospinte da un organo allucinato e magico. Priva dei fiati dell’originale la cover di I got you (I feel good) perde un po’ del suo mordente strumentale, ma il finto inglese di Dalla, sei anni prima della Prisencolinensinainciusol di Celentano, è davvero strepitoso. La melodia italica fa invece capolino col suo melodramma nell’impianto soul de L’ora di piangere, con inserti vocali dei 4 + 4 di Nora Orlandi e schiocchi delle dita alla Buscaglione. Ma il nodo cruciale è L.S.D. con la sua intro esotica, ironica e divertita che precipita vorticosamente attraverso una strofa r’n’b fin dentro una stanza surreale dove le luci sembrano nere e la realtà scivola via, verso la notte col suo passo lento e inquietante, dove tutto si anima e comincia a ruotare per magia, a pestare tamburi e scagliare via tutto. Una insospettabile cultura lisergica, in anticipo addirittura sulla celebre Lucy in the sky with diamonds dei Beatles, il cui titolo è stato sin da subito ridotto allo stesso acronimo suscitando ben altro scalpore e costringendo gli autori a negare ogni riferimento agli allucinogeni.
Mondo di uomini è la versione italiana di It’s a Man’s Man’s Man’s World di James Brown, incisa a febbraio del ’66. Qui l’organo sostituisce i fiati e gli archi dell’introduzione, scelta estetica dettata anche dal piccolo budget a disposizione, e il basso corposo si contrappone alle puntate jazz del piano e della chitarra. A dispetto di un’atmosfera molto distante dalla sua espressività sofferta la traduzione del brano è di Luigi Tenco, amico di Dalla, che si mantiene fedele all’originale aggiungendo però una significativa variante che rende il brano una canzone di protesta: ‘l’uomo fa il denaro e compra gli altri uomini‘ in luogo di ‘to buy from other man‘, l’uomo benefattore diventa un padrone, due anni prima del ’68. 1999 è un crescendo ossessivo e claustrofobico costruito sull’intreccio e la sovrapposizione di bassi, tom e timpani, con due note che si rincorrono inquiete e oscure, un anno prima del trionfante Cuore matto di Little Tony, verso un disarmante smarrimento ‘Cosa farò? Non lo so. Cosa vorrò? Niente‘. Ma un attimo dopo l’apertura solare di un’epoca risuona con forza nel ritornello passionale di Tutto il male del mondo, sostenuta da una batteria corposa e martellante che non c’entra niente col beat, una grande prova di Giorgio Lecardi. Ed è grande il senso melodico del brano, ma che distanza dal classicismo rassicurante de La fisarmonica di Gianni Morandi, che vanta il primato tra le hit nell’Italia del 1966, o dalle ingenuità spensierate del beat pop dell’Equipe 84 e dei Rokes.
Il battito del cuore quando ci si innamora fa Pafff…bum! ed è facile esser colti da La paura, un inquietante noir, ma anche l’ironia fumettistica di Diabolik per un arrangiamento strumentale che unisce jazz stralunato, avanguardia, beat e psichedelia con quegli stacchi di due note di basso che sembrano la sigla minimalista di Roger Waters (ma in Italia nel 1966 chi poteva averne sentito anche solo parlare?). La melodia ritorna in Io non ci sarò, malinconica dolcezza orchestrale alla Burt Bacharach, con aperture r’n’b e i cori dei Cantori moderni di Alessandroni, e crea la giusta premessa alla partenza lenta di Le cose che vuoi che si trasforma subito in un trascinante rithm’n’blues con accenti jazz, urla alla James Brown, modulate con varietà di registri, e follie sperimentali che culminano nel Finale fricchettone, ennesima bizzara ripresa accelerata di I got you (I feel good). E ci sentiamo bene anche noi.

Credits

Label: ARC -1966

Line-up: Lucio Dalla (voce, pianoforte, sax) – Beppe Barlozzari (chitarra, voce) – Giorgio Lecardi (chitarra, batteria) – Bruno Cabassi (organo, tastiere) – Emanuele Ardemagni (basso) – Renzo Fontanella (violino, flauto, basso)

Tracklist:

  1. Intro
  2. Quando ero soldato
  3. Lei (non è per me)
  4. I got you
  5. L’ora di piangere
  6. L.S.D.
  7. Mondo di uomini
  8. 1999
  9. Tutto il male del mondo
  10. Pafff…bum!
  11. La paura
  12. Io non ci sarò
  13. Le cose che vuoi
  14. Finale


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