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Solo Fiori – Paolo Benvegnù

Benvegnù solo fioriDove eravamo rimasti? Interrogativo che trova esaltante risposta già dalle prime note delle cinque tracce di questo Solo Fiori, EP che moltissimi, scrivente compreso, attendevano trepidi a distanza di oltre tre anni dall’ultimo tour vero e proprio e ad un paio dall’inizio delle sue Inutili premonizioni in doppio volume. Ed anche se frasi che hanno come incipit il “sembra ieri” vengono quasi sempre fuori tra gli sputacchi di una bocca sdentata, c’era decisamente uno spazio da riempire nello scaffale della musica d’autore, seppure in versione compressa da extended play. Solo fiori esce per l’etichetta indipendente WoodWorm Label, e porta con sé lo stesso gustoso gaudio di un canestro da tre punti sulla sirena dei supplementari, lasciando che le mani si sfreghino come pietre focaie ad accendere la fiamma della poesia. Solo fiori, non recisi ma con un velo di rugiada ad imbellettarne i petali, cinque episodi di scrittura delicatissima a cui ci ha abituato da quasi trent’anni uno degli autori ed intellettuali più coerenti e fascinosi che questo paese, tra tante storture, ci abbia regalato. Un paese per il quale la primavera in alcuni istanti sembra avere preso la rincorsa, ma che colpevolmente tarda ad arrivare, e che nel frattempo continua ad accumulare distese di polvere sotto i tappeti. In Italia pornografica che apre il disco, piovono scuri e frecce, a ricordare che, senza la magia necessaria, anche il più coriaceo amore per il paese diventa pornografia, allineata alle istanze finanziarie del capitalismo angloamericano, con il “contorno del tempo brevissimo e dell’intrattenimento stolto” a fare da pericolose pietre da inciampo. Un paese visto con sguardo orwelliano, sovraffollato da drogati di melatonina in preda ad incontrollati ed illusori deliri da effetto Dunning-Kruger, intenti a guardare il mondo dalla finestra del bagno con la stessa assenza di slancio dei gatti rapiti ad osservare la lavatrice e gli scossoni delle centrifughe senza spavento né interesse. Che alla fine il problema è solo chi racconta il problema, quando invece quella polvere di cui sopra, se proprio deve esserci, che almeno sia da sparo, usando le parole di Lucio Corsi. Un paese dove la politica non è altro che la gestione del condominio Italia (Benvegnù dixit), fatta stirando il presente per assottigliare il futuro che dovrebbe restare, dimenticando che se la folla è stupida, la gente invece è intelligente. E che, come insegna Ken Loach, la gente vuole il pane e vuole le rose, anche se chi occupa gli scranni appiccicosi ancora propone feste, forche e farina, sghignazzando sotto i baffi. Un paese dove i forum si fanno all’ombra degli ulivi di Bruno Vespa non può che essere pornografia pura, fasullo come i Milli Vanilli, neanche interessato a pulire la sua reputazione dalle scorie della vita precedente, dimentico che il fascismo è l’autobiografia di una nazione, come tuonava Gobetti un secolo fa, e che continua ad irridere chi fa la fila ed aspetta il suo turno. Arriva acidamente Our love song, che si tende come un elastico, di quelli doppi, per colpire la pelle fino ad allora carezzata, lasciando un segno bruciante. Aspra come un bicchiere di succo di limone in cui hai scordato volontariamente di mettere lo zucchero, con un’alterigia da bavero alzato, sfidando e tagliando a fette le comfort zone in cui decidiamo di sprofondare. Ad imprimere musica sulle costole come ai tempi del Club del Cane d’Oro, quando nell’Unione Sovietica post bellica i dischi venivano incisi su fogli di pellicole da radiografia, tra ossa ed organi sconosciuti in un rischioso baccanale dal sapore carbonaro. Una canzone d’amore nell’accezione meno melliflua pensabile e che dà l’avvio alla fase due dell’ EP, che messa la riga dopo l’invettiva iniziale, vira verso la linea più intimista, a fotografare un sentimento duale, di ricerca continua dell’altro quasi ad occhi bendati ma con le mani intrecciate, in stanze in cui sembra di ascoltare vivide le onomatopee emotive che rendono gli spigoli nuove terre emerse, dove “l’impossibile travolge e rende sovrani“. Dove l’imperativo è continuare a desiderare abbastanza insieme. Il pezzo che ha anticipato l’uscita del nuovo lavoro è Non esiste altro, che vede l’inconfondibile voce di Malika Ayane dare corpo ad una traccia insospettabilmente adeguata ad indossare lo smoking del singolo, termine questo che l’autore probabilmente riterrebbe fastidioso come gli infradito indossati con i calzini. Quasi una penisola rigogliosa che collega, senza infrastrutture, pietre angolari come Nel silenzio e Cerchi nell’acqua, dove l’amore è l’intercettare la follia dell’altro senza saziarsene mai, dove gli echi del cuore sono voci doppie, assordanti, che non hanno effetto solo sui cuori e i timpani devitalizzati. Perfetta ad accompagnare l’incedere di una sposa attraverso una lunga navata in stile gotico, così accorta a non inciampare nel velo, così curiosa di annullare la distanza dall’altare, senza timore della nostalgia per la controfacciata lasciata alle spalle. Anche la successiva 27/12 parla di camminate crostacee, fatte per sentire i rumori dei propri passi, dolenti come un flamenco al crepuscolo, idolatrando a fasi alterne stelle cadenti per i desideri e stelle polari per le direzioni, nel continuo incontrarsi all’interno di un sogno solido, da affettare con una spada da samurai in due parti uguali, e da custodire gelosamente assieme al “desiderio di non essere soli“. Proprio mentre la vita continua a scorrere di fianco, incessante come pioggerellina british, e tu vorresti solo che ti si attorcigliasse tra le dita come capelli lunghi che fanno giri interminabili attorno ai polpastrelli, fino a renderli viola per la stretta. Fino a farli pulsare nuovamente. Per “credere di nuovo all’impossibile”, come poter imparare a suonare il piano passandoci le dita sopra. Chiedendosi con Langston Hughes che fine facciano poi i sogni rimandati, quelli incompiuti, sempre in bilico tra l’appassire come uva e scomparire come una ferita sanata. Tulipani parte con una soffice intro strumentale, su cui si innesta un testo che fa quasi nuotare nell’erba, scivolando nel conforto impagabile dell’avere sempre a disposizione una nuova prima volta ed un medico che seppure talvolta non guarisce, di certo neppure stavolta ti lascerà morire, permettendoti di non svegliarti dalla parte sbagliata del prato. Anime destinate ad aspettarsi nel perpetuo, nonostante tutta l’acqua passata sotto i ponti, inquieti come licantropi assediati dal plenilunio, sbagliando per continuare a disimparare, dribblando sui pattini gli staliniani elenchi degli inaffidabili in cui finire segnati a matita, in attesa di inchiostri indelebili o cancellature. Solo fiori sono “cinque brani come ginnastica dell’anima”, per usare le parole dell’autore; donare fiori come gesto di adesione, di amore senza soluzione e pertanto sovversivo come la faccia di Vera Caslavska girata a non incontrare la bandiera nemica, in una antistorica e commovente fierezza. Se è vero che “la poesia è un mucchietto di neve in un mondo con il sale in mano” in una calzante immagine di Franco Arminio, con questo lavoro Benvegnù si conferma capace di lirismi deliziosi come un caffè di Tommaso Starace nel centro sportivo del Calcio Napoli il giorno dopo un trionfo di Coppa. E ci conferma che per fare poesia non serve chi mette in giro il troppo ma chi sa usare il raro rendendolo vitalizzante, tellurico. Dando vita ad un viaggio che può essere terapia, basta non scambiarlo per una fuga. In quel caso durerebbe il tempo del ritorno. Qui non si dispensa dai fiori, anzi. Questi fiori, dunque, vanno invece piantati in piena terra, accarezzati ed annusati in un rituale arcaico ed in disuso come l’accento circonflesso. E seppur sia vero che la legge di natura ed, ahimè, anche quella del mercato si asserve più all’efficienza (spesso intesa come ferale combo tra abuso criminale di incapacità ed autotune) che all’eleganza, Benvegnù, dall’alto di una torretta di difesa ben corazzata, stoicamente si guadagna ancora una volta sorte diversa da quella dello smilodonte, regalando un acquerello di indiscutibile valore.

Credits

Label: Solo Fiori- Woodworm Label -2023

Line-up: Paolo Benvegnù (Voce e Chitarra) – Luca Baldini (Basso Elettrico) – Daniele Berioli (Batteria) – Gabriele Berioli (Chitarra Elettrica) – Saverio Zacchei (Sintetizzatori) – Tazio Aprile (Pianoforte)

Tracklist:

  1. Italia Pornografica
  2. Our Love Song
  3. Non Esiste Altro
  4. 27/12
  5. Tulipani


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