Home / Recensioni / Album / La Mentirosa – Flo

La Mentirosa – Flo

FLO - La Mentirosa - Copertina

La ‘bugiarda’ del titolo non è una singola incarnazione di Flo, è la sintesi di un approccio recitativo che le consente, forte anche della sua rinnovata esperienza teatrale, di mettere in scena una galleria di personaggi, storie lontane e intime, tumultuose e delicate, di epiche eroine e sorelle innamorate, che rendono La Mentirosa una sorta di concept femminile, ma non un disco di genere, parola che non piacerebbe all’autrice. È in tal senso programmatico aver posto in apertura un brano come Babel, una piena straripante che fuoriesce dalle giungle tropicali con le percussioni carioca della Bateria Pegaonda per dilagare tra le strade di Rio come l’Orfeo Nero di Jobim. Le lingue mischiate della torre biblica diventano il simbolo antico e attuale di una visione musicale che non ammette confini, danzando sui fiati ritmici del Sud America, tra cori vitali e i pieni corposi degli accordi distorti della chitarra elettrica, una novità che annuncia un significativo cambio nella collaudata formazione che accompagna Flo. L’ingresso di Marcello Giannini nella band spiega una parte del sound della terza prova solista della musicista partenopea, già nel primo brano il chitarrista degli Slivovitz gioca con inedite sospensioni dub e si lancia in un caldo assolo finale che, pur andando in fade out appena iniziato, promette fuoco e fiamme per i live. Per di più il brano è scritto assieme a Daniele Sepe, qui in veste di musicista, autore e produttore dell’album, che mette la sua colta e variegata esperienza al servizio della visione di Flo, mescolando le carte con zampate e citazioni impreviste. Sembrano suoi i glissati di Vergine di fine agosto, immaginata seduzione saffica al centro della pista di un circo. Sotto l’occhio di bue, spalti al buio e vuoti, solo una donna illuminata di spalle, ‘bellissima’ le urla con voce interiore l’amante, mentre il parapetto si trasforma in una via parigina issata da fiati drammatici, come la tromba del solista Gianfranco Campagnoli, che accompagnano una passeggiata lenta e sinuosa, col basso in battere a scandirne il tempo e un fraseggio armonico che rimanda alla brasiliana Cibelle, anche nell’uso di certe parole accartocciate che si dispiegano come in un risveglio svogliato. Nel deserto schivato in Babel (‘Più della fatica temo il vuoto / il deserto, l’assenza di moto‘) ci si perde poi in una notte inquieta, nell’oscurità mediorientale rischiarata da una luce lunare che non basta a ritrovare una via da troppo smarrita per chi conosce Della caverna il cielo: ma quale profonda passione nei diversi accenti, nei mutevoli timbri e intonazioni della parola ‘senso’. L’accompagnamento sincopato dell’acustica fa spazio al riff tagliente di un oud che ricalca con densa sensualità la voce vestita di Kashmir, le fa da base nella scalata circolare alla vetta del minareto, in cerca di una scala per il Paradiso. Un’altra donna si erge al centro di una torrida piazza messicana per un sentito omaggio a Chavel Vargas, benché privo delle tinte roche e fumose della musicista centro americana. Con voce squillante, arrotata e gonfia come uscita da un antico grammofono, Chavela guida la riscossa (‘Chavela tenía una pistola con la que protegía su casa‘), tra chitarre di riverberi arsi, trombe mariachi e siringhe di pan. Mani levate contro il sole capeggia la sfilata svanendo all’orizzonte del sud, verso il Brasile di Ponta de areia, uno dei capolavori di Milton Nascimento, pubblicato nel 1974 assieme a Wayne Shorter, con il piano e la produzione di Herbie Hancock. Si direbbe che la cover sia stata suggerita da Sepe benché il suo assolo lirico sia più vicino alla versione distesa suonata da Nivaldo Ornelas, nell’album Minas di Nascimento, piuttosto che al sofferto cammino interiore di Shorter. Quello che ha in mente Flo è infatti un Brasile ad acquerelli immerso nella natura, ma attenzione a scambiare questo omaggio solare con la new age di una Enya qualsiasi, qui si ritrova piuttosto la musicalità raffinata di Esperanza Spalding o Ana Caram. Giocata su un dolce arpeggio acustico, raddoppiato dal piano, Fosse capace è la silenziosa dichiarazione di un amore incompreso, la luce ardente di chi si innamora e farebbe di tutto, le ombre scure dell’indifferenza (‘nun te n’accuorge ‘e me‘). Il dualismo di stati d’animo si rispecchia nella struttura armonica del brano, che pare ispirata da The fool on the hill, da quella sapiente e scanzonata capacità di comporre, di fondere con scioltezza trame leggere e dolenti, propria di McCartney. Una fanfara medievale, messa lì da Sepe, introduce le percussioni corpose e frenetiche di Michele Maione per l’entrata in scena della terribile protagonista della title-track, che si dimena come una tarantolata, omaggiando il ritmo e la musica di Antonio Infantino, storico e filologo interprete del repertorio tradizionale lucano, recentemente scomparso. E le trame percussive meridionali si tingono del fumo d’incenso di un oriente psichedelico, grazie a chitarre reverse beatlesiane, fiati che vanno in loop, vorticosi e mistici sitar. Questa capacità di fondere suggestioni diverse e distanti trova forse la sua vetta nelle complesse e irregolari trame di Lunar, imbastite con ricco assortimento di suoni e strumenti che spesso completano frasi intraprese da altre, spostando di volta in volta la prospettiva. Archi spezzati e sinistri, campane tubolari, l’oscura tromba di un Davis fumato, un contrabbasso impressionista, ruotano intorno a una voce che, pur preferendo corposità e timbro alle cime vertiginose, ricorda Antonella Ruggero e condivide l’eccentrica sperimentazione tra new wave e prog dei Matia Bazar. Passi tra la polvere di un paesino in festa in una calda giornata di sole nel mezzo del Mediterraneo, Quando verrai è una danza, lenta per la calura e la malinconia, un tradizionale hasapiko greco costantinopolitano per una Dafne tramutata in albero non per sfuggire al suo amante ma per sopportare la sua vana attesa. E dal mare blu della Grecia emerge anche Cassandra, mitico alter ego di Flo, che si ribella al fato raccontando il suo triste presagio con sbilenche dissonanze, zoppicanti inquietudini, vocalizzi iberici e distorsioni martellanti. Tra i tanti protagonisti dei brani ecco che anche l’autrice si ritaglia il suo spazio personale raccontando un commovente amore fraterno, col solo ausilio della lirica arpa di Gianluca Rovinello e la complicità di Michele Maione, inaspettato co-autore della musica: A braccia aperte – Brother’s lullaby è un sospirato e avvolgente ricordo della magia dell’infanzia, capace di trasformare la realtà in fiaba (‘uccido il mostro e resto qui vicino a te‘) e l’avventura del gioco in legame indissolubile. Un pizzicato preso in prestito alla Penguin Café Orchestra, con la sua sofisticata eleganza accompagna con soluzioni variopinte Il segno che non volevi, mentre l’oud suonato da Peppe Frana risuona come le increspature metalliche del mare aperto e la voce di Flo prende commiato come l’acqua di una pioggia graffiante che compiendo un lungo viaggio di ritorno ci lascia addosso il suo profondo segno rosso.

 

Credits

Label: SoundFly Records – 2018

Line-up: Paolo Forlini (batteria) – Michele Maione (percussioni) – Bateria PegaOnda (percussioni in Babel) – Davide Afzal (basso elettrico) – Aldo Vigorito (contrabbasso) – Marcello Giannini (chitarra acustica, chitarra 12 corde, chitarra elettrica) – Tommy de Paola (pianoforte e tastiere) – Daniele Sepe (Flauto, flauto basso, sassofono tenore, sassofono soprano, tastiere, orchestrazioni) – Alessandro De Carolis (flauto) – Francesco Citera (fisarmonica) – Salvatore delle Vecchia (mandolino) – Gianfranco Campagnoli (tromba, flicorno) – Alessandro Tedesco (trombone) – Alexander Cerdà (bassotuba) – Carmine Scialla (chitarra classica e bouzouki) – Roberto Trenca (chitarra classica e charango) – Franco Paolo Perreca (clarinetto) – Luca Martingano (corno) – Peppe Frana (oud) – Gianluca Rovinello (arpa) – Marco Gesualdi (sitar) – Ondanueve String Quartet (archi: violini Paolo Sasso e Andrea Esposito, viola Luigi Tufano, violoncello Marco Pescosolido) – Mario Ciro Sorrentino (siku) – Enzo Pinelli (batteria in Babel) – Fulvio Di Nocera (contrabbasso in Il segno che non volevi e Lunar) – Marco di Palo (violoncello in Lunar) – Sharon Amato, Pamina Chauveau, Valentina Di Clemente, Giorgia Ragosta, Savoia, Nana Tsirikashvili (Coro femminile) – Roberto Colella, Marco Di Palo, Alex Mafia, Michele Maione, Fabrizio Piccolo, Andrea Tartaglia (Coro maschile)

 Tracklist:

  1. Babel
  2. Vergine di fine agosto
  3. Della caverna il cielo
  4. Chavela
  5. Ponta de Areia
  6. Fosse capace
  7. La Mentirosa (ded to Antonio Infantino)
  8. Lunar
  9. Quando verrai
  10. Cassandra
  11. A braccia aperte – Brother’s lullaby
  12. Il segno che non volevi

Link: Sito Ufficiale Facebook

La mentirosa – Streaming

Vergine di fine Agosto Video

Ti potrebbe interessare...

IMG_5040

Sprecato – James Jonathan Clancy

La notte dell’anima non ha confini. Il castello del nostro Io più profondo non potrà …

Leave a Reply