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Capitan Capitone e I parenti della sposa – Daniele Sepe

Capitan Capitone e i parenti della sposa“Là dove il mare del Chiatamone è più tempestoso, spumando contro le nere rocce, che sono le inattaccabili fondamenta del Castello dell’Ovo, dove lo sguardo malinconico del pensatore scopre un paesaggio triste che gli fa gelare il cuore, era altre volte, nel tempo dei tempi […] una isola larga e fiorita che veniva chiamata Megaride o “Megara”, che significa grande, nell’idioma di Grecia. […] Nelle notti estive dall’isola partivano lievi concerti e sotto il raggio della luna, pareva che le ninfe marine, ombre leggere danzassero una forza sacra ed inebriante; onde il passante della riva, colpito dal rispetto alla divinità, torceva gli occhi allontanandosi, e le coppie di amanti cui era bello errare abbracciati sulla spiaggia, davano un saluto all’isola e chinavano lo sguardo per non turbare la sacra danza”. (Matilde Serao, Megaride. Leggende napoletane).
Nel primo capitolo della saga del Capitone Le Range Fellon partiva dallo scoglio della Gaiola per esplorare Napoli e i suoi dintorni scoprendo una civiltà allo sfascio. Non è dunque un caso che la sposa del Capitano si chiami Megaride, come lo scoglio su cui sorge il Castel dell’Ovo, un tempo sede della villa di Lucullo, celebre per i suoi fastosi banchetti. Quale scenario migliore per accogliere l’immaginario e simbolico matrimonio di Sepe, nonché il grottesco pranzo di nozze cui partecipa controvoglia una ciurma scalmanata e rinfoltita per la festosa occasione?
Trattandosi di Sepe e di un vero e proprio collettivo di musicisti, fratelli della costa partenopea, che da un paio d’anni condividono palchi, sale d’incisione e trattorie, lo sposalizio con una ragazza della Napoli ‘bene’ è il pretesto per una satira pungente quanto godereccia e senza peli sulla lingua. Lo scontro tra mondi contrapposti: il conformismo sprezzante di chi ha i soldi, a dispetto del credo politico, contro l’anarchia piratesca della ciurma.
Il ‘film’ del matrimonio parte con il coro beatlesiano di Ah bello che introduce al colorito frasario quotidiano del Capitone. Un motivo leggero che fa il pari con l’Inno alla gioia di Marziano e la sfrontatezza degli Squallor, portando il capitano a confessare alla ciurma le imminenti nozze e poi quel che gli costa la relazione con Megaride attraverso lo spumeggiante samba di È preciso muito amor, che aggiunge ritmo e allegra coralità all’originale di Chico da Silvas, con la voce irriverente di Robertinho Bastos e l’energia percussiva dei Galera de Rua. Canta Napoli e la risposta delusa della ciurma è affidata alla macchietta ironica di Dario Sansone che in Battiamo le mani invita tutti a far festa, a dispetto delle scarse risorse per omaggiare gli sposi e del nuovo, drastico giudizio sul capitano. Intanto Gino Fastidio scende dalla coffa ma è Lost in Miano in cerca del suo prezioso ‘gas’, prima di una serie di peripezie a suon di punk rock, e così perde l’attacco di fiati balcanico della Marcia nuziale in apertura di una cerimonia strampalata, celebrata dal sindaco in persona, che potrebbe essere quella gitana e surreale di Gatto nero, gatto bianco.
Al ricevimento il cibo, come già per In vino veritas del 2013, diventa metafora delle divisioni verticali della nostra società, tra molto ricchi e molto poveri, tra un avido mondo di lustrini e finzioni e uno di pance genuine, tra Sushi & Friarielli. Qui é la voce cristallina e briosa di Tommaso Primo, la cui produzione è schiettamente costellata di immagini culinarie, a interpretare, al ritmo festoso di un leggero calypso, il ruolo del cuoco di bordo che ha preparato per l’occasione un robusto menù casareccio (‘nu puparuol’ assaje ‘mbuttunat, arravugliate dint’a ‘nu filo che è cchiù ‘na corda, e sul’ si ‘o guarde miette tre chili) contrapposto alle ricette ‘di classe’ dello chef preferito dei parenti della sposa. Una spocchia annullata dalla cruda massima finale, che ridimensiona le velleità dei parenti come La livella di Totò.
Poi l’amore si tinge di occhi neri come il mare di notte, nelle parole che Alessio Sollo ha scritto per la voce delicata di Gnut che in Stella ‘e mare veste gli abiti eleganti del crooner, con un fraseggio morbido che pare ricalcato sulle scale del sassofono di Sepe, accompagnato da un’orchestra di fiati leggeri e briosi come nei colorati esordi dei Chicago o dei Blood, Sweet & Tears. La formazione si riduce a un trio per l’assolo centrale di piano eseguito da un pirata d’eccezione, Stefano Bollani, giocando sulla pacata modulazione del semplice fraseggio iniziale, con l’essenzialità di Monk e il tocco virtuoso di Art Tatum. Si torna al trio anche per il solo finale di Sepe, a metà tra l’espressività vocale di Rollins e la fresca sinuosità di Stan Getz. Ma è un matrimonio decisamente sopra le righe, Bitch (!), l’ex di Megaride irrompe alla festa con Sollo e The Collettivo urlando la sua contrarietà con angoscia distopica protopunk che viene dal Diamond dogs di Bowie. Ci pensa Sara Megaride Sgueglia in persona, con la complicità di uno spunto di Nelson, a portare la calma sulle note di un piano dei Platters e ribadire al suo amato Ti amerò più forte, con la sensuale cadenza del soul, contro ipocrisie, convenzioni e pregiudizi. Quelli paterni. Più di ogni altro. La canzone del padre è un momento cruciale dell’album, affidato alla straordinaria versatilità di Roberto Colella, qui cantautore nostrano che ricorda, voce e chitarra, la gioventù della figlia, cresciuta a suon di cortei, amore nei boschi, Bakunin e Chomsky. Campionario di modi, saperi e culture ormai svuotate di significato, patina da esibire ‘in società’. Un velo di falsità che si infrange drammaticamente rivelando un animo nazional popolare, corrotto e meschino in un ritornello alla Gigi D’Alessio in cui il padre dichiara apertamente le sue reali aspirazioni per la figlia. Uno spunto fintamente neomelodico, chiuso da una frase carica di riverbero che affonda le radici nel miglior pop anni ’80. Una schiera esilarante di cantautori, tutti fedelmente imitati dalla ciurma, interviene in suo aiuto sciorinando esperienze internazionali e cosmopolite, da Bennato iscritto a un master sul pachino a Vasco Rossi studente di clarinetto, passando per Albano, Guccini ed Enzo Avitabile, che chiama l’attacco del ritornello ‘scassate ngopp’ ‘o groove’. E mentre i pensieri presaghi del genitore afflitto si perdono tra le note della coda strumentale, ecco partire il Valzer dei telefonini, ennesimo Girolimoni, colonna sonora alle immagini di un disarmante film di fantascienza i cui protagonisti sono ormai soggiogati dai propri display, vicini quanto isolati dagli altri, tecnologicamente soli.
Chiacchierando come i protagonisti de Il mondo visto dalla panchina, parenti della sposa e ciurma si disprezzano a distanza mentre Albano ‘Colella’ Carrisi allieta la sala intonando Ma che felicità con la sua voce possente, complice del furto imminente che i pirati hanno organizzato nella dimora del ricco suocero del Capitone. Il gruppo si introduce di soppiatto per l’esproprio, contrabasso, dita schioccanti e voci basse come in una commedia di Monicelli. La banda, supportata da una chitarra tagliente, dedica un coro marinaresco alla sua missione rivoluzionaria, spiegata nei sui risvolti filosofici dalla voce ritmica di Andrea Tartaglia ‘voi rubate del tempo alla fretta, a noi il mare ci impone lentezza’. Nell’euforia del momento ecco entrare in scena persino il fratello sudamericano del Range Fellon, El cangrego peluso, con voce sbronza e l’elettrica di Santana, per fuggire tutti insieme col bottino mentre risuona la versione scozzese del ritornello. È forse l’album più ‘verbale’ mai inciso da Sepe che in Camerieri coinvolge un plotone di rapper partenopei, Speaker Cenzou, Shaone, Marcello Coleman, Pepp-Oh, che declinano ciascuno a suo modo il lento funky che li accompagna. La chitarra dei Funkadelic e i fiati degli Earth Wind & Fire, Mal ‘e fank è un groove perfetto per l’ingresso sul palco del James Brown anni ’70, e invece a bussare alla porta è James ‘Colella’ Senese, con colorita metafora e grandi consigli (piglia stu sassofono e auselo pe nfurnà ‘e pizze), ma l’ultima parola è ancora dei camerieri: chi sta ‘ngoppa se l’adda aspettà ‘o spago miez’ ‘e dient. Resta solo, ingrato, Il saluto degli sposi, pronti a lasciare la truppa per riparare nella Puglia bucolica de La saltarella del Capitone e ballare spensierati al suon delle zampogne.

Credits

Label: MVM/Goodfellas – 2017

Line-up: Dario Sansone (voce) – Andrea Tartaglia (voce) – Marcello Coleman (voce) – Roberto Colella (voce) – Tommaso Primo (voce) – Sara Sgueglia (voce) – Robertinho Bastos (voce) – Claudio “Gnut” Domestico (voce) – Alessio Sollo (voce) – Shaone (voce) – Speaker Cenzou (voce) – Pepp-Oh (voce) – Mariano “Grifo” (voce) – Gino Fastidio (voce) – Daniele “Don Pasta” de Michele (voce) – Enzo Graganiello (“Bell”) – Adriano Marino “Mandriano” (patente e libretto) – Nero Nelson (voce) -Stefano Piro (voce) – Marianna Fiorillo (voce) – Gabriella Cascella (voce) – Salvatore Lampitelli (voce) – Enrichetta Stellato (voce) – Raffaele Giglio (voce) – Paolo Licastro (voce) – Enrico Del Gaudio (voce) – Francesco grosso (voce) – Federico Palomba (voce) – Alessandro Morlando (chitarra, chitarra elettrica) – Gianluca Capurro (chitarra elettrica) – Franco Giacoia (chitarra elettrica) – Giuseppe Spinelli (chitarra) – Lorenzo Campese (piano, hammond, tastiere) – Stefano Bollani (pianoforte) – Luca Casbarro (fisarmonica e zampogna) – Davide Afzal (basso) – Dario Franco (basso) – Davide Costagliola (basso) – Sergio Di Leo (basso, piriti e voce) – Luigi Castiello basso) – Aldo Vigorito (contrabasso) – Marcello Smigliante Gentile (mandolino) – Alessandro De Carolis (flauto) – Umberto D’angelo (oboe) – Gaetano Falzarano (clarinetto) – Antonello Capone (fagotto) – Giuseppe Giroffi (sax baritono) – Gianfranco Campagnoli (tromba e flicorno) – Alessantro Tedesco (trombone) – Fabio Malfi (batteria) – Mario Insenga (batteria) – Alessandro Perrone (batteria) – Enzo Pinelli (batteria) – Claudio Marino (batteria) – Antonio Esposito (batteria) – Pasquale Bardaro (percussioni orchestrali) – Antonello Iannotta (tamburello e vettovaglie) – Martina De Falco (nacchere, scetavajasse e triccabballacche) – Massimo Ferrante (marranzano) – Antonio Iuliano (rebolo e voce) – Martina Lombardi (tamborim e voce) – Toni Coos Marshall (pandeiro e cori) – Nello Arzanese (chitarra e cori) – Foffo Fuser (cuica) – Gianluca Presta (surdo) – Dario De Simone (repiqe de mao e reco reco) – Rino Gargiulo (caixa) – Pasquale Del Solio (cavaquinho e cori) – Daniele Sepe (sax tenore, flauto, ocarina, flauto dolce, flauto a coulisse, chitarra, chitarra elettrica, tastiere, voce).

Tracklist:

  1. Ah bello
  2. È preciso muito amor
  3. Battiamo le mani
  4. Los in Miano 1
  5. Marcia nuziale
  6. Sushi & Friarielli
  7. Stella ‘e mare
  8. Bitch
  9. Ti amerò più forte
  10. Lost in Miano 2
  11. La canzone del padre
  12. Valzer dei telefonini
  13. Ma che felicità
  14. El cangrego peluso
  15. Lost in Miano 3
  16. Camerieri
  17. Mal’ ‘e fank
  18. Lost in Miano 4
  19. I saluti degli sposi
  20. La saltarella del Capitone

Link: Sito Ufficiale, Facebook

La canzone del padre – Video

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