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Carrie & Lowell – Sufjan Stevens

recensione_sufjanstevens-carrie&lowell_IMG_201505Lo dico subito: Carrie & Lowell è l’album più intimamente bello di Sufjan Stevens! Un album profondamente, dolcemente, tristemente, dolorosamente, intensamente suo. E bisogna iniziare proprio dal titolo e da quei due volti in copertina, Carrie e Lowell, per capire che ciò che Sufjan sta condividendo con noi è quanto di più personale e prezioso possa esistere.
Carrie. La madre che è venuta a mancare nel Dicembre del 2012 per un cancro allo stomaco dopo un travaglio in ospedale che se l’è portata via piuttosto velocemente. La madre che gli ha dato la vita . La madre che, quando Sufjan aveva soltanto un anno, abbandona i suoi figli con i quali avrà poi contatti sporadici per tutto il resto della sua vita. La madre che soffre di depressione, schizofrenia e alcolismo. E nonostante tutto, pur sempre la madre. E Lowell. Marito di Carrie per cinque anni, figura di riferimento per Sufjan e attuale direttore della sua etichetta indipendente Asthmatic Kitty.
Come si fa ad affrontare una perdita del genere? “Spirit of my silence I can hear you\But I’m afraid to be near you\And I don’t know where to begin“(Death With Dignity). Carrie & Lowell allora diventa l’animo nel tentativo di affrontare la perdita; Carrie & Lowell diventa Sufjan.
A partire da quel momento immediato di sofferenza e spaesamento nel quale non sai nemmeno da dove iniziare, abbandoni le tue forze completamente e ti senti perduto. Passando per i mille dubbi che tornano insistentemente, lo sconforto e le domande che ti poni di continuo “How did this happen? What did I do to deserve this?” (Drawn To The Blood); i lampi di amara accettazione rassegnata della scomparsa perché “every road leads to an end” (Death With Dignity) e, dopotutto, “we’re all gonna die” (Fourth of July); il dolore nel travaglio prima della morte e la disperazione senza via d’uscita dopo: “How do I live with your ghost?/Should I tear my eyes out now?/Everything I see returns to you somehow/Should I tear my heart out now? Everything I feel returns to you somehow” (The Only Thing); lo sconforto nella realizzazione della complessità del rapporto con la madre e, nonostante ciò, il costante bisogno di lei: “Raise your right hand/Tell me you want me in your life/Or raise your red flag/Just when I want you in my life” (Blue Bucket of Gold); i rari momenti di positività in cui realizzi che il passato non può esser cambiato, meglio piuttosto attaccarsi alla bellezza e alla luminosità del presente come la figlia avuta da tuo fratello (Should Have Known Better).
Carrie & Lowell non è una dichiarazione d’amore nella perdita. In questo disco, insieme ad immagini dalla Bibbia, dalla mitologia greca, dalle favole americane c’è tutto il dolore, la confusione sentimentale e soprattutto i postumi che l’evento della scomparsa della madre porta con sé: “There’s only a shadow of me/in a manner of speaking I’m dead” (John My Beloved). Ci sono i pensieri suicidi, il rifiuto, la violenza, le ombre, l’ospedale. Carrie & Lowell è una richiesta d’amore quasi disperata, un processo di accettazione e appropriazione, attraverso la sofferenza ed il ricordo, di quell’amore incondizionato e struggente che un figlio può provare per una madre nonostante tutto, di quel bisogno di lei, da bambino e da adulto, racchiuso in un semplice verso di Eugene: “I just wanted to be near you“.
Il ricordo. Con tutta la bellezza e la dolcezza che si porta dietro. Una miriade di frammenti, sparsi per tutto l’album con riferimenti precisi; gli eventi e i sentimenti che non è mai riuscito ad esprimere e, immancabile, quel bisogno di lei: “Oh be my rest, be my fantasy” (Should Haven Known Better) e All of me wants all of you. Così, attraverso gli occhi del bimbo Sufjan vediamo l’abbandono, le tre estati spese in Oregon con Carrie e Lowell, il maestro di nuoto che non riusciva a ricordarsi il suo nome e lo chiamava Subaru fino alla personificazione della mamma premurosa che chiama il figlio con nomignoli affettuosi (Fourth of July).
E se abbiamo capito la centralità della figura della madre Carrie, è significativo notare come, nonostante tra gli undici brani del disco ce ne sia uno solo che nomini esplicitamente Lowell, Sufjan decida comunque di affiancare il suo nome e la sua figura a quella di Carrie in copertina d’album. Anche se non nominato, Lowell è stato sempre lì, in ogni ricordo che Sufjan ha della madre dopo l’abbandono, tra gli incoraggiamenti musicali e non, anche dopo la fine della storia con Carrie e ancora oggi.
A livello musicale questo è di sicuro il lavoro più scarno ed essenziale mai realizzato da Sufjan Stevens. Undici brani semplicissimi, basati su pure intuizioni melodiche bellissime. Gli arrangiamenti sono misurati, basati perlopiù su chitarra o banjo arpeggiati, piano e voci. Non c’è traccia di basso e percussioni di alcun genere. Qualche sequencer minimale quà e là a gestire le dinamiche. Molto interessante l’utilizzo dei riverberi e gli effetti vocali a ricreare la memoria. Nella produzione, contrariamente al suo solito, si è fatto aiutare dall’amico Thomas Bartlett, forse proprio per l’incapacità di trattare da solo materiale così fortemente personale.  L’eterno ragazzo di Detroit ci ha dimostrato ripetutamente cosa è in grado di fare, a livello di arrangiamenti, composizione, orchestrazione. Ma qui va oltre e come il più grande dei songwriter vecchia scuola ci mostra se stesso, la sua vita, nella sua parte più fragile, dunque più vera, dunque più condivisibile.

Credits

Label: Asthmatic Kitty – 2015

Line-up: Sufjan Stevens, Casey Foubert, Laura Veirs, Nedelle Torrisi, Sean Carey, Ben Lester, Thomas Bartlett

Tracklist:

  1. Death With Dignity
  2. Should Have Known Better
  3. All Of Me Wants All Of You
  4. Drawn To The Blood
  5. Eugene
  6. Fourth Of July
  7. The Only Thing
  8. Carrie & Lowell
  9. John My Beloved
  10. No Shade In The Shadow Of The Cross
  11. Blue Bucket Of Gold

Link: Sito Ufficiale

Carrie & Lowell – YouTube

Carrie & Lowell – Spotify

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