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Racconto il paese e la voglia di riscatto: intervista a Pierpaolo Capovilla

intervista_capovilla_IMG1_201406Pierpaolo Capovilla, personaggio carismatico del panorama musicale italiano e leader indiscusso de Il teatro degli orrori, ha da poco pubblicato Obtorto Collo ovvero l’album che lo vede alle prese con un progetto solista. Artista poliedrico, che si districa tra musica rock e reading di grandi poeti come Majakowskij o Pasolini, Capovilla è un personaggio che da sempre divide il pubblico. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare questa sua nuova avventura e… il futuro a cui guarda.

Ti conosciamo come leader prima dei One Dimensional Man e poi de Il Teatro degli Orrori, due band che hanno segnato gli ultimi decenni musicali in Italia. Perché ad un certo punto hai sentito il bisogno di realizzare un disco solista? E’ stata la necessità di metterti in gioco o un qualche blocco nei progetti precedenti a spingerti in questa nuova avventura artistica?
Nessuno stop ai progetti precedenti, anche se non so bene che fine faranno One Dimensional Man. Il Teatro degli Orrori resta per me l’avventura principale della mia attività artistica. Alla fine dell’estate scorsa ho persino registrato un disco di una band nuova di zecca, che per il momento chiamiamo BUNUEL, con Xabier Iriondo alla chitarra elettrica, Francesco Valente alla batteria, io stesso al basso elettrico, e Eugene S. Robinson, il cantante degli Oxbow, alla voce. Niente male, no? … Io non riesco a fermarmi. Vivo la vita come un incessante progetto. Nei momenti di pausa, nell’ozio, nel tempo libero, mi deprimo. Questo disco solista non è un capriccio, è qualcosa che ritenevo necessario. Con esso ho potuto approfondire la mia scrittura, letteraria e musicale, verso un orizzonte artistico nuovo e diverso. Obtorto Collo è un disco “inevitabile”…

Lo scorso anno hai girato un po’ tutta Italia con spettacoli in cui proponevi letture di Pasolini e Majakovskij. Obtorto Collo è un po’ figlio anche di questa esperienza?
Ho proposto anche le Confessioni di un Teppista di Esenin, e le Poesie della Fine del Mondo di Antonio Delfini. Non c’è dubbio che tutto questo enunciare, recitare, declamare i poeti ha influito, e non poco, sul mio modo di interpretare la canzone d’autore. Perché di questo si tratta: canzone d’autore. Obtorto Collo esplora un territorio musicale molto diverso dal rock duro e puro de Il Teatro degli Orrori. È molto più vicino ad un certo Scott Walker, che ai Fugazi, per intenderci. Ne sentivo il bisogno, imperioso. Perché per me la musica è apprendimento: con la musica scopro me stesso, indago la mia vita, cerco di pormi e porre delle domande che esigono risposte. Insomma, mi prendo molto sul serio, al di là di una mia certa e conosciuta clownerie. Con la musica si cresce, si impara, si riflette, e ci si emoziona, ci si commuove. La musica è espressione della vita, della voglia di vivere, di completezza, di amore di sè e degli altri.

All’uscita del brano Dove Vai, singolo scelto per anticipare l’album, parte del pubblico ha storto parecchio il naso lanciando anche critiche feroci nei tuoi confronti. Che effetto ti ha fatto questa accoglienza? C’è stato un momento in cui hai pensato che forse questo disco solista potesse essere un azzardo?
No. Per niente. Le critiche velenose hanno un loro perché. Tutti abbiamo il diritto di dire ciò che pensiamo. Ma dei miei detrattori me ne infischio bellamente.

Parliamo ancora del brano Dove Vai: lo trovo un po’ anomalo all’interno dell’album, meno scuro rispetto agli altri pezzi. Perché è stato scelto come singolo di lancio?
Dove Vai è una canzone sfacciatamente commerciale, ma è coerente con l’economia arrangiativa e narrativa dell’album. Dove Vai è un’esca per attirare il pubblico meno avvezzo alla canzone d’autore: Obtorto Collo è la trappola.

Ascoltando Obtorto Collo, sono rimasta molto colpita dalla storia raccontata nel brano Ottantadue Ore, storia che conoscevo in parte e che ho approfondito grazie al tuo album. Ci puoi raccontare perché hai voluto puntare i riflettori su Francesco Mastrogiovanni?
Il disco narra di noi, di cosa siamo diventati, e di quanto peggiori possiamo ancora diventare. La società italiana vive e prospera, sopravvive e crepa nell’indifferenza collettiva.
intervista_capovilla_IMG2_201406Ottantadue Ore racconta l’omicidio del povero Francesco Mastrogiovanni, maestro elementare amato dagli alunni e stimato dai genitori. Era un tipo un po’ bizzarro, di cultura anarchica, amava sbeffeggiare i potenti e le divise. Fu sottoposto ad un Trattamento Sanitario Obbligatorio: costretto in un letto di contenzione, imbottito di psicofarmaci, ansiolitici, barbiturici. Non gli fu permesso di bere o mangiare. Morì crocefisso a quel letto, come disse il buon Luigi Manconi (presidente di A Buon Diritto e sanatore PD), a causa dell’indifferenza di medici e infermieri. Intollerabile. E paradigmatico, purtroppo. Manconi, che incontrai a Roma un paio di mesi fa, mi parlò di questa infermiera, che appoggiava il vitto di Francesco sul comodino: Francesco, sempre legato al letto, poteva solo guardarlo quel vitto. L’infermiera tornava, e lo portava via. È un’immagine, questa, politicamente “plastica”: si chiama tortura. Che vergogna. Vorrei anche dire: Ottantadue Ore vuol essere un grido d’accusa nei confronti dell’ideologia psichiatrica oggi imperante, e della violenza dello stato nei confronti di cittadini inermi, indifesi. Quanti morti ammazzati dobbiamo ancora accettare, prima di scendere nelle strade e dire basta? Non faremo certo la rivoluzione con le canzoni, ma possiamo almeno cercare di migliorare questo assurdo stato delle cose in cui oggi viviamo.

Un altro brano particolare è Quando, dove ti sei calato nei panni di una donna che subisce violenze da parte del marito. Hai avuto difficoltà nell’entrare nell’animo della protagonista della tua storia?
Non direi. La trovo una cosa naturale. Amo le donne. Sono parte di me.

Qualche giorno fa hai presentato Un Sogno a Colori, brano che è stato escluso dalla tracklist di Obtorto Collo. Ci puoi parlare di questo pezzo? Perché è stato tenuto fuori dall’album?
Non è l’unica canzone esclusa dal disco. Volevo un album snello, non troppo lungo. Un Sogno a Colori è stata esclusa nella consapevolezza che sarebbe stata comunque pubblicata.

Le collaborazioni con Taketo Gohara e Paki Zennaro quanto hanno contato nella stesura dell’album?
Enormemente. Il Maestro Zennaro viene dalla…  danza! È un compositore e arrangiatore di Carolyn Carlson. Proviene dunque da un territorio musicale molto lontano dal rock. Taketo Gohara è un produttore straordinario. Ha coinvolto ben venti musicisti, tutti di grande valore. Il loro entusiasmo, l’amorevolezza, e naturalmente la loro competenza hanno reso possibile questo sforzo discografico. Senza di loro sarebbe stato impossibile. Come sempre, la musica la si fa insieme. E’ questo il bello.

Hai già avuto modo di presentare il tuo album dal vivo: come si presenta la formazione live e come ha risposto il pubblico?
Abbiamo debuttato a MiAmi Festival, a Milano. Abbiamo sorpreso tutti. La band è composta da Stefano Giust, proveniente dall’avanguardia, alla batteria; Francesco Lobina, jazzista che ha sempre suonato negli USA, al basso; Alberto Turra, noto chitarrista milanese, alla chitarra elettrica; il fido Kole Laca, già tastierista de Il Teatro degli Orrori e Two Pigeons, all’elettronica; e Guglielmo Pagnozzi, di VoodooFunClub e Corleone, al sax alto, elettronica, percussioni.

Consideri Obtorto Collo una parentesi nella tua carriera o pensi avrà un seguito? Hai progetti anche per Il Teatro degli Orrori?
Il Teatro degli Orrori sta già lavorando ad un nuovo repertorio. Vogliamo fare un disco pazzesco, e ci proveremo. Sarà una botta rock tremenda! Non so se il mio disco solista avrà un seguito. Certamente non nel futuro più prossimo. Per il momento, mi accontento di suonarlo dal vivo…

intervista_capovilla_IMG3_201406Che cosa vorresti che la gente pensasse dopo aver ascoltato Obtorto Collo? C’è un messaggio preciso che vuoi lanciare?
Io racconto la mia vita… Obtorto Collo è quanto di più autobiografico abbia concepito fino ad oggi. Ma la mia vita la esperisco insieme agli altri, in questa società, in questo momento storico. Racconto quindi il Paese in cui vivo, le sue contraddizioni, le prevaricazioni, le ingiustizie, le solitudini. Ma anche la voglia di riscatto ed emancipazione. Non c’è un “messaggio” univoco, ma una pluralità di riflessioni sull’esistere oggi, qui, adesso.

Ti chiedo infine se puoi indicarci 5 brani che pensi abbiano influito sul tuo ultimo lavoro, proponendo ulteriori chiavi di lettura per Obtorto Collo.
Domanda bizzarra! Ma perché no?
Farmer in the City, letteralmente “un contadino in città”, che il raffinatissimo Scott Walker dedicò a Pasolini.
Awful Sound degli Arcade Fire: non smetto di ascoltarla da mesi. Testo mozzafiato. Io dedico sempre un’attenzione rigorosa ai testi delle canzoni.
A Box for Black Paul del Nick Cave di From Her to Eternity, il mio disco preferito di sempre.
Ballad of Hollis Brown di Bob Dylan. Ce l’ho nel cuore. Narra di un pover’uomo senza lavoro, disperato, che uccide tutta la sua famiglia, e poi se stesso, per non vederla più soffrire la fame. Canzone immensa. Dolorosissima. Ineludibile.
Gracias a la Vida di Violeta Parra. Che mi fa piangere ad ogni ascolto. Anzi, mi basta pronunciarne il titolo, che già mi commuovo.

Foto di Mauro Lovisetto | Eramaxima

Playlist – Spotify


Nota: purtroppo non abbiamo trovato su Spotify la versione originale di Violeta Parra del brano Gracias a la Vida ; abbiamo scelto quindi di inserire nella playlist il brano reinterpretato dalla figlia Isabel, ma invitiamo tutti a seguire l’indicazione di Pierpaolo e cercare la versione originale.

Dove vai – video

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