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È questo il crollo della civiltà occidentale?: intervista a John Murry

Tutta la stampa che conta si è espressa unanime: l’esordio solista di John Murry ha tutte le carte per diventare un classico. Anche noi siamo stati folgorati da The Graceless Age, un lavoro cantautorale tanto intenso quanto onesto nel descrivere un uomo e la società americana del sud di questi ultimi anni. Il suo sguardo è quello di un Bob Dylan tormentato alla Mark Lanegan. Vi proponiamo un’intervista lunga e preziosa con dei passaggi veramente belli che John Murry ha voluto regalare in esclusiva a LostHighways, perché dalle domande lui stesso si è sentito compreso e si è aperto. Si tratta di un antistar alla Kurt Cobain, alla Elliot Smith. Sente il peso del vivere e non ha paura di esprimerlo. Orgogliosi di averlo intervistato.

Perchè hai scelto The Graceless Age come titolo del disco?
Un primo significato è enigmatico! L’altro significato è semplice: viviamo in un’epoca che esiste solo per gettare false immagini davanti ai nostri occhi per costringerci a credere che la nostra caduta collettiva dalla grazia non sia “reale”. Ed invece lo è. Tutti noi siamo caduti. Non perché non abbiamo osservato i comandamenti di Dio o perché addirittura non ci frega più di niente, ma perché nella nostra disperata arroganza di inseguire la giustizia abbiamo ingoiato il Kool-Aid e ora stiamo chiedendo ancora di più! Grazia, la dignità, la fede? Queste sono tutte morte. Tutto ciò mi irrita. Quando ero bambino mi aspettavo qualcosa di diverso, un mondo in cui la mia parola sarebbe stata onorata come lo era stata quella di mio padre, un mondo in cui mio figlio non avrebbe messo in dubbio l’esistenza di Dio, perché semplicemente scopre la violenza economica e fisica scatenata contro noi stessi e contro il mondo naturale che ci circonda. Siamo arrabbiati con papà o qualcosa del genere? Pisciamo sopra  l’idea di Dio a causa della nostra frustrazione per  una scienza che non è riuscita a superare la morte e continuerà a riuscirci? È questo il crollo della civiltà occidentale? Spero di sì. Tutti avevamo bisogno di toccare il fondo! Cominciamo un’altra rinascita, Vlad! Quando è cominciato veramente questo calvario? Forse quando l’umanità considerò l’incubo hegeliano che, in verità, non c’è? Non ci muoviamo verso una migliore estremità. Non c’è fine. Non importa se Dio è “l’Alfa e l’Omega” oppure no. Non c’è nessuna diga da costruire per far smettere l’eterno ciclo che si conclude con le nostre ossa in polvere. Mi sbaglio? Non penso. Allora, perché non accettiamo le nostre morti e ci abbandoniamo a questo vivere confuso che ci si presenta davanti ogni giorno? Perché non accettare le chiamate di Camus presenti nel mito di Sisifo? Perché non agire per quelli che siamo? Di cosa abbiamo paura? Ridicolo… Ho avuto la mia parte. Fallimento? Noi siamo fatti per fallire. Abbiamo paura di noi stessi e del nostro vero potenziale. Arte – e ora che il rock and roll è grande arte (ah!) – siamo terrorizzati delle ombre splendidamente repulsive di noi stessi. Quelle ombre sono un ricordo che siamo vivi. Dobbiamo fare ciò che siamo destinati a fare. Chi sta chiamando? Non ne ho idea. Ho bisogno di sapere? No. Non lo farò. Nessuno di noi lo farà. Non adesso.

“I told the truth in songs. Isn’t that enough? Yes: I overdosed and died for several minutes in front of the Eula on 16th…”  Quanto è importante realizzare un album perfetto dicendo la verità sule proprie esperienze personali?
Non saprei. Non ho mai fatto un album perfetto. Nessuno lo riesce a fare.  Ma un ragazzo, che mi è stato vicino per un sacco di tempo, mi ha detto che tutte la verità nel mondo sommate fra loro darebbero luogo ad una grossa  bugia e non sono in disaccordo. Prima di quest’album ho fatto dischi che non avevano niente a che vedere con me nel modo in cui l’ultimo lavoro racconta un periodo della mia vita, e cerca di farlo onestamente. Francamente, ho un problema: i miei amici, mia moglie, mio figlio e gli altri mi vedono come un moralista, in qualche modo, e io lo sono. Ho fatto tutte le cose che ho scritto. Sono semplicemente grato di essere stato perdonato. L’album è stato registrato successivamente, su un altro ci sto lavorando proprio ora. La verità che racconta questo disco è in un senso molto più grande, e spero che si percepisca…

Come è nata Little Colored Balloons?
L’ho scritta una sera in studio e il giorno dopo Michael Mullen ci ha suonato una volta. Ha fatto la parte di organi successivamente. Anche i cori femminili e gli archi sono stati aggiunti poi. Ho ricantato le parti vocali. Ma quella canzone portava una magia con sè, come se qualcosa fosse arrivato attraverso il lucernario. È successo proprio cosi. Mi ricordo che tutto fuoriusciva dalla penna. Mi ricordo di Michael che suonava. È stato troppo facile. Questo pezzo mi fa paura per questo motivo. È successo proprio cosi.

Perchè hai scelto di includere degli interludi noise nell’album? C’è stata una ragione in particolare?
L’album  è destinato a mantenere la sua continuità da canzone a canzone e a stare da solo come un disco e non  come un insieme di canzoni. Mi è stato permesso di registrare bozzetti di vita reale usandone i rumori e le sfumature. Forse il Lou Reed di New York mi ha influenzato molto quando ero pre-adolescente in un campo estivo. Ogni cosa di valore sembra esistere in una sorta di spazio negativo. Non volevo fare un altro disco che cadesse tra i sedili dell’auto. Ho voluto creare qualcosa in cui riuscire a  sentirsi. Per pensare, certo. Ma soprattutto per sentire, appunto. Così mi sono convinto che io non sono davvero da solo. Ho provato a me stesso che mi sbagliavo.

A quale songwriter del passato ti senti più vicino e perchè?
Mi sento come Mark Linkous (Sparklehorse, n.d.r.), come lui e nessun altro. Mi sento molto vicino a lui. Non sono mai riuscito ad incontrarlo e sarà sempre un rammarico. Sento una vicinanza emotiva con altri, ma le parole, la musica e la visione di Mark mi hanno toccato in un modo diverso, unico Avrei tanto voluto dirglielo di persona. Avrei voluto raccontargli tutta l’empatia che sentivo verso di lui.

Come descriveresti The Graceless Age sound in poche parole?
Suoni allucinanti e parole sovrapposte l’una sull’altra per costruire una capsula del tempo senza tempo, con stampate su di essa due scritte:  “da essere aperta” e “speranza”.

Le tue canzoni sono come una raccolta di racconti sulla vita americana di oggi, in particolare quella del sud.  Un grande songwriter è un grande osservatore, giusto?
Cosa c’è da scrivere se non ciò che scorre nei vostri occhi aperti sul mondo, proprio quando battono forte le palpebre? Proprio quando il sole sta bruciando le cornee? Niente. E poi c’è, esiste anche ciò che i tuoi occhi non riescono a vedere, ciò che puoi però sentire anche se li chiudi. C’è poesia dappertutto perché anche quando sto fermo l’esistenza rotola. Ciò che percepiamo è la nostra versione nevrotica di ciò che effettivamente vediamo. Sì, mi sforzo di osservare la vita in ogni luogo, in ogni volto, nei lampioni, al buio, nella luce, in tutte le domande senza risposta e nei tentativi di risposta, nella rabbia e nella paura, e in tutto quello che non sappiamo dare in amore. Fa male, suppongo. Affrontare la realtà, non è qualcosa che io consiglierei a chiunque. È più di osservare. Io vedo le cose attraverso lenti colorate dalla mia esistenza, da quando nessuno sapeva il mio nome a dopo che lo avranno dimenticato, queste lenti saranno ancora mie. Come sarà la “verità”? Tutto quello che posso vedere è quello che cerco. Ma io guardo. Sì. Cerco di guardare a ciò che è lontano dalla nostra vista. Credo ancora che il rock and roll possa salvare il mondo. Forse non sono altro che un idiota romantico.

The Graceless Age è stato pubblicato al momento giusto o pensi che sarebbe dovuto uscire anni prima?
È venuto fuori al momento giusto, ma il momento giusto si è presentato da solo.  Questo disco si è guadagnato l’attenzione da solo. Nick West e Del Day mi hanno costretto a vedere il valore di questo disco. L’attenzione inizialmente non è arrivata dalla stampa classica, dove sappiamo come funzionano le cose, tutto a base di denaro e politica dei rapporti. L’attenzione sul disco inizialmente è giunta da persone comuni che hanno sentito l’esigenza di scriverne. Quindi non avevo altra scelta che accettare il valore che gli altri avevano visto , provando la paura di essere compreso. Io faccio musica fuori dal tempo. Non è che il disco avrebbe dovuto veder la luce anni fa,  forse sono io che avrei doveuto vederla prima della mia data di nascita nel 1979.

Ti aspettavi tutte queste belle recensioni sul tuo disco?
Da questa intervista ho capito che hai compreso le mie parole ed hai ascoltato veramente il mio disco, questo significa molto per me e mi permette di rispondere a questa domanda con sincerità. Questo tuo modo di approcciare il disco non è comune nei giornalisti di oggi.  Non mettono tanta cura in quello che chiedono, perché non sanno cosa chiedeer, perché non ascoltano. Tu mi ha colpito e ti sono grato. Ritornando alla domanda, no… non mi aspettavo tutta questa attenzione e questo mi terrorizza. La gente ora mi vede come una persona diversa, gli amici mi guardano in modo diverso. Sono probabilmente diventato un po’ recluso a causa di tutto questo. Fanculo! Mia moglie dice che ora sono come un eremita. Forse lo sono. “Dietro ogni cosa bella, c’è sempre un po’ di dolore”.  Sto aspettando ancora qualche lettera, ma non credo arrivino più, non quelle di condivisione umana che mi aspetto. Io resterò sempre scettico sul fatto che questo disco possa diventare un “classico” o qualcosa che possa sopravvivere alla morte. Non posso accettare i riconoscimenti. Io sono quello di un anno fa. Ho qualche obbligo da rispettare in più. Solo questo è cambiato. Ho la convinzione che rimarrò così, non voglio diventare come quei cazzoni arroganti che scrivono canzoni che disprezzo. Io resto un padre ed un marito prima di tutto. Questi commenti, queste parole dei recensori mi hanno sopraffatto, ma ho il terrore di quello che mi aspetta sulla strada che le loro parole hanno creato. Io sono solo un uomo con problemi di vista, che cerca luce nelle fessure di ciò che viene calpestato. Sono una canzone e l’uomo della danza. E alla fine del gioco torniamo tutti nella stessa scatola. Re o Pegno. Giusto?

Link: Sito ufficiale

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