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Una chitarra per viaggiare nel subconscio: intervista a Paolo Spaccamonti

Creare strutture emozionali attraverso l’esplorazione dell’universo chitarra. Uso oculato dell’elettronica e arrangiamenti ambient mai barocchi, questo ed altro nei due dischi Buone notizie e Undici Pezzi Facili dell’emergente talento torinese Paolo Spaccamonti. Ha collaborato con Julia Kent e Marco Milanesio. Ha aperto Anna Calvi e strega con una sola chitarra. All’estero l’avrebbero già osannato, per il momento di lui parla bene solo la critica ed ultimamente. Perchè i fenomeni in Italia devono solo uscire dalla TV a basso livello? A noi piace scommettere sulla musica che ti fa “vedere”, come quella di Paolo Spaccamonti.

Quando hai realizzato che la chitarra poteva essere lo strumento perfetto per esplorare la tua creatività?
In realtà sono sempre stato attratto dagli strumenti, in generale. La chitarra è stato il modo più semplice ed economico per avvicinarmi alla musica. La tipica chitarra classica da “battaglia”. Il video  di Thunderstruck ha fatto il resto.

Comporre brani strumentali è una sorta di viaggio nel proprio subconscio e contemporaneamente nella propria immaginazione?
Di solito sì. Adoro perdermi nei suoni, che reputo una forma di meditazione tutta mia. Anche da ascoltatore, esistono musiche che mi mandano letteralmente in trance, e a volte ne ho proprio bisogno. Se poi riesco a  tramutare quel frastuono in “brano”  ancora meglio.

I titoli di alcuni brani di Buone notizie sono evocativi di tue situazioni biografiche o semplici associazioni di atmosfere?
Entrambe le cose. In qualche caso si riferiscono a persone a me vicine (Deh, Claude) o situazioni biografiche (Ossamiche, Fine Della Fiera), piccoli eventi quotidiani che  mi tornano alla mente durante la composizione.  Altre volte sono semplicemente titoli che mi suonano bene e che da provvisori diventano definitivi.

Quali sono le principali differenze di Buone Notizie rispetto al precedente Undici Pezzi Facili?
La composizione e il mood credo siano le stesse. Rispetto al primo, ho faticato meno nel levigare i brani. L’esperienza precedente mi ha aiutato a fissare determinate suggestioni senza perder troppo tempo. E la presenza di ospiti, che in Buone Notizie si è fatta più massiccia, ha reso il lavoro più completo. Inoltre, a differenza del primo, la registrazione è avvenuta tutta nello stesso studio e periodo.  Reputo Buone Notizie il fratello maggiore e meno dispettoso di Undici Pezzi Facili.

In alcuni momenti del disco mi è sembrato di sentire passaggi post-rock. E’ una suggestione o è stato un approccio desiderato?
Di sicuro non è un approccio desiderato. Il post-rock è un genere che ho ascoltato insieme ad altre miriadi di cose, ma ti assicuro che non è il mio genere preferito, anzi. A dirla tutta, ascolto soprattutto musica “cantata”.

Possiamo approfondire le collaborazioni con Julia Kent e Ramon Moro?
Julia Kent è tra le mie artiste preferite in assoluto, sia da solista che come arrangiatrice. Potrei ascoltarla all’infinito e commuovermi ogni volta.  Tempo fa si trovava a Torino e grazie ad un amico comune (Fabrizio Modonese Palumbo) ha avuto modo di assistere ad un mio concerto, apprezzandolo molto. Siamo poi rimasti in contatto e quando mesi dopo le ho proposto di partecipare al disco ha accettato subito. Spero in futuro di ampliare la collaborazione, sarebbe fantastico.
Ramon Moro è un trombettista pazzesco e totalmente atipico. Adoro chi non ha bisogno di spalmare note ovunque per stenderti, e lui è esattamente quel tipo di musicista. Suona principalmente nei 3quietmen e da solista con il suo progetto Magma. Che dire? Quando si ha la fortuna di collaborare con artisti così sensibili e competenti, il resto del lavoro non può che essere in discesa.

Ancora una volta c’è lo zampino di Marco Milanesio…
Sì. Marco era la persona perfetta per questo disco. Conosco bene le sue produzioni  e le ho sempre trovate affini al mio modo di intendere la musica. Molte delle proposte torinesi (e non) più interessanti degli ultimi venti anni sono passate dalle sue mani. Inoltre a lui piace ciò che faccio per cui mi è venuto naturale bussare alla sua porta. Nel frattempo siamo pure diventati ottimi amici. Perfetto.

Hai aperto il concerto di Anna Calvi, come ti è sembrata quest’esperienza?
Positiva, senza dubbio. Al di là della Calvi (che apprezzo), la possibilità di suonare su un palco di quella portata è sempre una soddisfazione enorme. E poi reputo lo Spaziale tra i festival italiani più interessanti. Luoghi come  Spazio 211 andrebbero preservati tanto quanto le foreste o l’acqua pubblica.
Chiaro, devi fare bella figura, la gente è lì principalmente per un altro, ma questo credo sia un motivo in più per accettare la sfida. Comunque  mi sembra sia andata molto bene, il pubblico era numeroso, attento e caloroso. Non posso chiedere di più.

Quanto è difficile portare live musica strumentale come la tua in Italia?
Molto. A parte quei casi in cui il locale è conosciuto e vanta una clientela informata e attenta, quando ti allontani dalla tua città ogni volta è come se fosse la prima volta. Purtroppo per imporsi è necessario lavorare parecchio ed esser disposti a suonare (quasi) sempre, dovunque e comunque. E mettere in conto locali deserti, impianti improbabili e altre belle cose. Sono fermamente convinto che esista tantissima gente potenzialmente interessata a questo tipo di suoni. E non parlo della solita nicchia. Ma non è per nulla semplice coinvolgerla. Un bel casino. E purtroppo locali e musicisti non possono vivere di sola passione. Quando però ti ritrovi a suonare in luoghi dimenticati da Dio e all’improvviso arriva dal pubblico una richiesta  di ”quel” brano come bis, capisci che forse non tutto è perduto. Detto questo, è la “forma canzone” a farla da padrone in Italia, non se ne esce. E forse va bene così.

La tua musica si presta ad essere una perfetta colonna sonora di un film. Cosa pensi a riguardo?
Per me è un enorme complimento, grazie. Lo credo e spero anch’io, essendo strumentale ben si presta a quell’accostamento. Proprio l’anno scorso mi è stata commissionata la  sonorizzazione dal vivo di un film muto del 1929 (Rotaie) dal Museo Nazionale del Cinema, esperienza che ad oggi reputo tra le più alte e emozionanti del mio percorso artistico. Sono quindi molto interessato a quel tipo di lavoro. E poi sin da bambino ho sempre nutrito una genuina passione per il cinema, dal vecchio horror alla commedia italiana degli anni ’60 (inarrivabile) fino a certo cosiddetto “cinema d’autore”. Ad ogni modo, mi auguro che anche senza immagini riesca a brillare di luce propria.

Perché Tex ritorna nei tuoi brani?
Mi piacciono i “sequel” nei dischi, e trovavo l’atmosfera di Tex 2  molto vicina a quella del primo episodio.

Mi è piaciuto il remix dubstep di Tex realizzato da Epitome. Cosa pensi del dubstep, soprattutto rispetto a certe soluzioni che hanno scelto anche gruppi celebri come i Radiohead scatenando le furie dei loro più accaniti sostenitori?
Grazie, anche a me è piaciuto un bel po’.Gli Epitome sono (e sono stati) bravissimi. In realtà conosco poco il dubstep, tutto ciò che ho avuto modo e piacere di ascoltare proviene dalla loro crew No.Mad. Però l’idea di mischiare le carte in tavola mi ha sempre affascinato. Prendere un brano altrui, disintegrarlo e vedere quello che accade. Penso ai Röyksopp alle prese con i Kings of Convenience qualche anno fa, o alla Warp che remixa la Warp etc. Ma anche alle contaminazioni con certo hip hop, vedi il progetto Blakroc dei Black Keys. Personalmente non ho mai capito le polemiche a cui ti riferisci, per quale motivo un fan dovrebbe infuriarsi? Se i Radiohead non si fossero mai “sporcati le mani” non esisterebbero autentici gioielli come Kid A .

Tre dischi degli ultimi mesi che consiglieresti al tuo migliore amico?
Julia Kent – Green and grey, Serengeti – Family and friends, Pj Harvey – Let England shake.

Buone Notizie – Preview

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