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See where all my folly’s led: The Decemberists @ Hammersmith Apollo (London) 16/03/11

L’assenza di date italiane all’interno del tour dei Decemberists costringe a dover espatriare per assistere ad un loro attesissimo show. Siamo a Londra, la grande capitale europea della musica indipendente e la cornice è lo storico teatro Hammersmith Apollo. Fa un certo effetto anche soltanto a vederlo dall’esterno, con l’insegna luminosa vecchio stile con il nome della band che viene cambiato di giorno in giorno. La gente prende posto, il locale emoziona già di suo e nessuno si stupisce nel vederlo stracolmo nei suoi oltre 8000 posti di capienza poiché, mi spiegano, a Londra i concerti vanno quasi sempre sold out. Sono soltanto le 20 e la serata inizia con l’esibizione dei Blind Pilot, band di Portland, concittadina dei Decemberists, che si era già fatta apprezzare per quel 3 Rounds and a Sound uscito nel 2009 e che aveva spopolato nelle vendite on line. Il combo americano ci presenta alcuni dei suoi brani intimamente legati a quelle atmosfere tipiche del folk, con qualche piccola tinta che ammicca al sound d’oltremanica. Gli ingredienti sono sempre gli stessi: chitarra acustica a guidare, contrabasso e batteria a sorreggere, un banjo a dare colore e le voci maschile e femminile a chiudere il cerchio. Brani quali 3 Rounds and a Sound, the Story I Heard e Oviedo spiccano particolarmente sugli altri per le melodie e l’intensità. Tutto sommato l’esibizione è piacevole, il pubblico londinese gradisce, ascolta con attenzione, applaude e alla fine dell’esibizione qualcuno si precipita al merchandising a compare il disco. Il cambio palco sembra quasi l’intervallo tra il primo e il secondo atto di uno spettacolo teatrale, tutti nell’attesa che la parte più emozionante debba ancora arrivare. Alle 21:30 circa le luci si spengono e una voce narrante dispiega un’introduzione davvero bizzarra che suscita ilarità e sorrisi tra il pubblico, prima di presentare la band. I Decemberists capitanati dall’intramontabile Colin Meloy entrano in scena con Shiny, tratta dall’ep 5 songs per poi lanciare come secondo brano Down by the Water, il singolo tratto dall’ultimo The King is Dead che già infiamma il pubblico. Seguono Calamity song e Rise To Me sempre dall’ultimo lavoro in studio. Sembrano davvero in forma i ragazzi di Portland, la sezione ritmica è perfetta, la chitarra slide risuona espandendosi tra le magnifiche pareti dell’Apollo, le voci creano intrecci timbrici davvero molto apprezzabili. Il fatto che il loro sound sia molto simile a quello che è possibile ascoltare sui dischi è il simbolo lampante della sincerità della loro musica che non ha bisogno di particolari artifici per emozionare e coinvolgere. La scelta della scaletta è interessante e ben studiata e tocca tutti i periodi della loro discografia ad esclusione dei primi due album. Picaresque si mostra con la bellisima We Both Go Down Togheter sulla quale il violino la fa da padrone, segue la progressiva The Bagman’s Gambit che comincia piano, cresce e si smorza mostrando sempre più elementi. L’atmosera si scalda con le chitarre elettriche di Won’t Want for Love da The Hazards of Love che è interamente e magistralmente cantata da Sara Watkins (violino, voce e chitarra per questo tour). Ma un primo picco è destinato ad arrivare con la suite di The Crane Wife che diventa un unico brano dalla durata di 15 minuti. L’emozione si sente già dall’inizio, Colin Meloy canta solo accompagnandosi alla chitarra prima che violino e organo, basso e batteria poi, inizino a sviluppare il tutto. Il pubblico è davvero in delirio e sul finale della terza parte scoppia in un tripudio impressionante. Sembra di essere quasi allo stadio. I ritmi più rudi e tipicamente caratteristici di The Hazards of Love tornano con The Rake’s Song che spezza e introduce un’altra tripletta tratta dal nuovo album e composta da Don’t Carry it All, Rox in the Box e la trascinante This is Why We Fight. Sixteen Military Wives conclude la prima parte di questo magnifico show con tutto il pubblico (e dico tutto!) che canta la melodia istruito da Meloy. Restiamo completamente catturati dalle melodie e dalle atmosfere di questi ragazzi americani. È davvero difficile poter descrivere l’entusiasmo scoppiato all’interno del teatro per richiamare sul palco la band per i bis, una baldoria di fronte la quale nessuna band al mondo si sarebbe potuta mai rifiutare di suonare ancora, a costo di dover riproporre la scaletta da capo. Ma i Decemberists di pezzi ne hanno molti ed eccoli tornare tra le urla e gli applausi per lanciarsi in un finale di concerto ancora più coinvolgente del primo. L’atmosfera raccolta e intima di The Hazards of Love pt.4 (The Drowned), dove le voci e la chitarra slide emozionano che quasi fanno venire le lacrime, anticipa soltanto un finale incandescente con gli oltre otto minuti di The Mariner’s Revenge Song. Il suo tempo di valzer scandito dalla fisarmonica ci conduce in una danza totale su ritmi che si estraniano dalla tradizione celtica per farsi più vicini a sensazioni balcaniche. Di nuovo sembra essere giunti alla fine. Dopo uno scroscio interminabile di applausi la gente si avvia verso le uscite completamente soddisfatta da uno show del genere. Ma incredibilmente Meloy rientra da solo con la sua chitarra acustica e la sua armonica per regalarci ancora un brano. Si tratta della bellissima The June Hymn, tra gli episodi più intimi dell’ultimo The King is Dead. Il tempo di eseguire la strofa ed entrano anche Sara Watkins per i cori e Jenny Conlee alla fisarmonica. Restiamo tutti lì in piedi a goderci quest’ultimo afflato geniale ed emozionante. Un ultimo regalo prima di lasciare il teatro ancora più rapiti.
I Decemberists dal vivo sono davvero fantastici, in grado di mostrare tutta la sincerità di una musica sempre emozionante perché sempre sincera.  Meloy è un grande leader e anche un piacevole intrattenitore, non parla moltissimo ma riesce a scherzare sempre con gusto e a far sorridere il suo pubblico. Un’esperienza da vivere assolutamente in prima persona. Un particolare occhio di riguardo al pubblico di Londra, rispettosissimo oltre che sempre coinvolto al massimo, sempre pronto a cogliere le emozioni trasmesse, disposto ad emozionarsi e a divertirsi, a condividere la bellezza. Ci sarebbe da imparare.

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