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Animati da scontri fra gli opposti: intervista a Mirko Maddaleno (Baby Blue)

Vengono da Prato. Hanno una carica live incredibile. Hanno impressionato critica e pubblico. Nel loro primo lavoro Come! ci ha messo lo zampino Paolo Benvengnù. Il secondo disco We don’t know è stato una conferma. Da una parte c’è la voce suadente e dotata di Serena Alessandra Altavilla e dall’altra una chitarra tagliente che tesse trame sghembe su una base ritmica divina. I Baby Blue sono figli di questo scontro di colori. Sono una sorta di Velvet Underground moderni. LostHighways non poteva mancare di approfondire questo progetto con il chitarrista Mirko Maddaleno. (Earthquake è in streaming autorizzato)

Come è nato il nome del vostro gruppo?
E’ nato dalla scena del documentario Don’t Look Back in cui Bob Dylan canta fra amici It’s all over now, baby blue.

Il vostro primo lavoro è stato prodotto da Paolo Benvegnù mentre il secondo è stato co-prodotto da Alessio Pepi dei Dilatazione. Quali sono state le principali differenze tra le due produzioni?
In entrambi i casi i pezzi e gli arrangiamenti erano già pronti e la maggior parte dei brani erano già stati testati più volte dal vivo. La lavorazione dei due album è stata però completamente diversa, sia dal punto di vista  tecnico che di intenzioni. Come! è stato registrato in un bellissimo studio con un grande fonico, Sergio Taglioni; in quel caso avevamo dei mezzi qualitativamente molto maggiori ma anche meno tempo a disposizione, quindi gran parte del lavoro di produzione artistica è stato fatto alle prove assieme a Paolo Benvegnù, che poi nella fase successiva alla registrazione è intervenuto in modo molto limitato.
Nel caso di We don’t know invece avevamo un budget molto più ridotto e una gran voglia di registrarlo il prima possibile: per questo ci siamo rivolti al nostro amico Alessio Pepi, bassista dei Dilatazione, con l’idea di fare un album a costo molto minore ma prendendoci tutto il tempo che volevamo, sfruttando al massimo i mezzi a disposizione e dando fondo allla nostra fantasia. Molti amici, tra i quali di nuovo Paolo Benvegnù, ci hanno dato una mano prestandoci cavi, microfoni, amplificatori e strumenti. Alessio aveva la stessa voglia nostra di mettersi alla prova come fonico e come co-produttore artistico, quindi credo sia stata la forza di volontà e l’entusiasmo generale a produrre un disco del quale siamo pienamente soddisfatti e che ci rappresenta benissimo.

Earthquake è prorompente. Come è nata?
L’ho scritta molti anni fa tra la rabbia e le tempeste ormonali dell’adolescenza: probabilmente è per questo che è così prorompente. E’ nata mettendomi a urlare, suonare e saltare da solo in casa con l’amplificatore ad alto volume. I Baby Blue non esistevano ancora e la suonavo con i Double Beat, un gruppo formato da me ed un mio amico bassista. E’ semplicemente un blues, niente di raffinato. Non era mai finito in un disco perché non avevamo trovato il giusto arrangiamento sulla parte ritmica; ce l’abbiamo fatta solo di recente, aggiustando anche la parte vocale e qualche sfumatura. Così è finito in We don’t know.

Come nascono i testi delle vostre canzoni?
Di solito sono io a scriverli, ed è molto difficile rispondere a questa domanda perché non ho un metodo preciso. I testi che scrivo sono strettamente legati alla musica: a volte nascono insieme ad essa, mentre altre volte nascono come suoni liberi che compongono la melodia vocale e che in seguito traduco in frasi di senso compiuto. Non ho mai chiarissimo ciò di cui voglio parlare, cerco piuttosto di lasciar uscire ciò che deve uscire; in questo senso l’inglese è utilissimo sia in quanto limite utile a tenerti lontano dalla razionalità (che spesso nello scrivere è ciò che ti blocca), sia a livello di malleabilità sonora.

Personalmente vedo in voi due punti forti: la voce unica di Serena e gli eccellenti dialoghi tra chitarra e la base ritmica. Come definireste il vostro sound?
Il nostro suono secondo me deriva dall’interazione fra i due aspetti che hai individuato. Spesso probabilmente l’idea principale è che Serena tenga in piedi il pezzo da sola mentre noi cerchiamo in tutti i modi di disfarlo, di andare in altre direzioni, quasi di suonare un pezzo diverso. Se dovessi usare un’immagine sarebbe quella di due bambini che cantano nel bel mezzo di un bombardamento, ignorando caparbiamente ma anche in maniera un po’ insensata quello che gli sta accadendo attorno. Essere quei bambini la consideriamo un po’ la nostra missione.
Inoltre nell’arrangiamento i pezzi dei Baby Blue sono sempre animati da scontri fra gli opposti: in generale credo che spesso ciò a cui tendiamo sia l’annullamento, ed è anche per questo che i silenzi e le pause sono di fondamentale importanza in quello che facciamo.
Nessuna di queste caratteristiche in ogni caso è stata decisa, è semplicemente ciò che ci viene fuori.

Vi ho scoperti live e vi ho trovati perfetti, avete un’attitudine incredibile sul palco. Quanto è importante fare concerti per una band emergente?
E’ essenziale, è quasi tutto. Non si parla molto di questo, ma crediamo sia importante prendere atto del fatto che registrare un disco oggi è una cosa molto diversa da quello che poteva essere e rappresentare qualche decennio fa: nessuno ti dà i soldi per stare due mesi in studio a lavorare di fantasia con tutti i mezzi che vuoi. I dischi vanno fatti in fretta e con le idee chiare in partenza, per cercare di non rovinarsi economicamente su un’opera che sai già destinata a vendere molto poco e ad essere ascoltata per lo più su supporti che tendono ad appiattirne il suono.
Di conseguenza per una band come la nostra fare un disco serve soprattutto ad avere la possibilità di fare tanti concerti, ovvero l’opposto di quello che succedeva ai tempi d’oro, nei quali fare il tour serviva a promuovere il disco. In realtà a noi l’idea non dispiace affatto: adoriamo suonare dal vivo perché è un’attività in continuo divenire, sempre imprevedibile, che ti permette di confrontarti col pubblico in maniera diretta, di esprimerti liberamente, di metterti continuamente alla prova sia come musicista che come persona, di viaggiare e di fare un sacco di esperienze. Inoltre in concerto lasciamo ampio margine all’improvvisazione, quindi i pezzi diventano delle forme aperte che rispondono agli stimoli esterni e cambiano di conseguenza: il che è ovviamente entusiasmante e pericoloso allo stesso tempo, ma è una cosa che riesce a mantenerti sempre vivo come musicista.

Il vostro tour prevede date solo in Italia o cercherete di esportare il vostro verbo anche fuori dai confini?
Cercheremo assolutamente di uscire dai confini, anche perché le poche esperienze che abbiamo avuto finora in quell’ambito sono state bellissime.

Se doveste associare un quadro ed un film per descrivere il vostro ultimo disco?
Un autoritratto di Francis Bacon  e Synechdoche – New York di Charlie Kaufman.

Cinque band che vi hanno ispirato?
Prendo la domanda alla lettera e mi attengo strettamente alle band: Velvet Underground, Einsturzende Neubauten, The Troggs, Os Mutantes, Trio Lescano.

Avete collaborato anche con i Ka Mate Ka ora. Quanto sono importanti queste sinergie tra gruppi emergenti della stessa terra. Sembra che dalla provincia toscana stia nascendo una nuova scena, cosa ne pensate a riguardo?
Adoriamo collaborare con altri gruppi, perché è un tipo di esperienza che arricchisce in molti sensi; é anche un modo per sperimentarci in ambiti diversi, uno stimolo ad allargare la nostra visuale e quindi anche a far nascere idee nuove per gli stessi Baby Blue. I Ka Mate Ka Ora poi sono amici, e hanno voluto che suonassimo su una loro cover di un pezzo nostro: un’esperienza piuttosto singolare!
La Toscana da qualche anno è una regione molto fertile musicalmente, piena di gruppi interessanti; non parlerei di vera e propria scena, perché puoi trovare ottimi gruppi che fanno generi diversissimi fra loro, ma di sicuro c’è moltissimo movimento, collaborazione e stima reciproca fra i gruppi. Inoltre qui vivono personaggi come gli Zen Circus, Alessandro Fiori, Federico Fiumani… abbiamo anche degli ottimi esempi.

Earthquake – Preview

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