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Il cuore rimane un mistero: intervista a Barzin

barzin_inter01Bisogna trovarsi ad un concerto di Barzin Hosseini e guardarlo mentre suona e canta per capire realmente cosa sia la sincerità. Quella sincerità che si mostra negli occhi e nel cuore di chi sceglie una chitarra acustica per scavare a fondo dentro sé, per esternare i sentimenti, per mostrare la propria essenza. Per un attimo ti assale la malinconia di tempi andati, la testa tra le mani che viaggia districandosi tra le immagini molteplici e confuse. Tra nostalgia, rimpianto e consapevolezza di crescita. Oltre il dolore, oltre la delusione, oltre la sofferenza. Notes to an absent lover, terzo lavoro per l’artista canadese dalla origini iraniane, sceglie sempre la delicatezza per mostrare tutte le facce di un sentimento che commuove nel suo romantico fantasticare tra il rammarico per ciò che non è più e la speranza per ciò che potrà essere. Barzin possiede il dono raro della calma e la luminosità soffusa della pacatezza. E le vedi scintillare in lontananza come puntini luminosi, tra le sensibilità spoglie del violino, del violoncello, del clarinetto, della steel guitar, del vibrafono. E pian piano l’anima si svela come perla in un piccolo scrigno di verità e riflessione che sa coinvolgere emotivamente con le sue melodie capaci di far risuonare le stanze più intime e solitarie dell’animo umano. Lentamente. Sottovoce. LostHighways sceglie di perdersi nella malinconia trasognante della musica e nelle parole donateci dalla splendida disponibilità di Barzin. (When it falls apart è in streaming autorizzato)

Notes to an Absent Lover è il tuo terzo album. Tra nostalgia, rimpianto e consapevolezza di crescita, il dolore sembra essere una tappa fondamentale per guardare il passato con distanza e maturità, provando a ricavarne il lato positivo…
Il dolore può lasciare un segno profondo nella mente e sul cuore. È quella cicatrice nascosta che molti di noi portano in giro. E sebbene avere esperienza del dolore possa essere terribile, a volte è proprio ciò che ci forza a cambiare e a crescere come esseri umani. Perciò può avere dei benefici. Ovviamente è difficile vedere i benefici di un’esperienza dolorosa mentre la stai attraversando, ma col tempo, puoi lentamente impararne una lezione. Quando stavo scrivendo questo album… lo stavo facendo principalmente per tenermi occupato. A quel tempo passavo i miei giorni per lo più pensando, leggendo o scrivendo il mio diario. Non è che stessi facendo molta musica. La scrittura dell’album mi ha dato l’opportunità di uscire dai miei stessi pensieri. Davvero non avevo idea di cosa volessi dire, e perciò ho soltanto iniziato a scrivere e lasciare che le cose parlassero da sé. Così non ho provato ad imporre una struttura ai sentimenti che stavo traducendo. L’unico imperativo che mi ripetevo era: “Non voglio giudicare”. Volevo essere il più distaccato possibile, come se stessi scrivendo di qualche evento a cui non avevo mai partecipato. È stato un lavoro difficile e io non sono sicuro di essere totalmente riuscito nella scrittura senza nessun sentimento, ma è quello che mi ero proposto. C’è sempre il pericolo di pensare che i tuoi sentimenti siano molto più importanti di quanto lo siano in realtà. Distaccandomi, ho sperato di mantenere una prospettiva salutare per quello che stavo scrivendo.

Oltre la chitarra acustica e la voce ci sono molti strumenti che ornano gli arrangiamenti e rendono ogni tua canzone unica. Penso al violiono, violoncello, clarinetto, vibrafono, Rhodes e anche alla voce femminile. Tutti strumenti che spesso è difficile portare nei tuoi concerti dal vivo…
Sì, è piuttosto difficile viaggiare con molti musicisti. È molto costoso. È per questo che quando vado in tour viaggio soltanto con un set up di base, chitarra, basso e batteria. Ho avuto la fortuna tuttavia di portare con me un vibrafonista. E questo è uno strumento grosso e rende il viaggio molto difficoltoso, ma amo il suo suono per la dimensione live. Spero, per il futuro, di poter portare un numero piùnutrito di musicisti con me in tour.

barzin_inter03Le tue canzoni spesso parlano di se stesse, sono autoreferenziali. Delle “meta-canzoni” oserei dire. Credi che sia vero?
Sì, è vero. Amo scrivere in maniera autoriflessiva, dove le canzoni fanno riferimento all’atto stesso dello scrivere. Sono molto attratto da questo stile di scrittura perché sono molto affascinato dal processo creativo. È molto usato nella poesia e nella stesura di romanzi. Mi chiedo sempre perché la gente crei arte. Questo argomento mi ha sempre interessato. Nel profondo di me so che la risposta a questo rimarrà sempre un mistero. La gente crea arte per molte ragioni differenti. Se chiedi a dieci artisti perché creano, riceverai dieci risposte diverse. Ed è questo quello che è affascinante.

Queen Jane sembra una sorta di musa. Provi a chiederle un’ispirazione che non vuole arrivare. Ma, paradossalmente, l’ispirazione deve essere arrivata perché Queen Jane è uno dei brani più belli del disco…
Grazie per il tuo complimento. Sono felice ti piaccia il brano. Credo che il miglior modo per me di rispondere a questa domanda sia di parlare del mio processo di scrittura. Scrivere una canzone è un processo molto lento. Mi prende mesi tirar fuori una melodia, una progressione di accordi, delle parole. Niente arriva mai già bello e impacchettato. Per questo durante il tempo nel quale stavo lavorando a questa canzone a volte sembrava come se non riuscissi a trovare l’accordo o la nota successivi per la melodia; ed è come se sentissi realmente di non poter finire la canzone. Come se l’ispirazione mi avesse lasciato in quel momento. L’ispirazione è una cosa strana. Può donarti parte di una canzone o metà canzone, e poi può lasciarti. E tu sei seduto nella tua stanza di scrittura che aspetti e aspetti e aspetti. Sì, ho dovuto chiedere insistentemente a Queen Jane di venire in mio aiuto per finire la canzone. Sono felice che Lei infine sia arrivata. Ma ha preso un sacco di ferie mentre stavo scrivendo!

Credi che a volte dobbiamo riconoscere i  nostri limiti con ironia e autocritica?
Credo sia importante guardare a se stessi il più onestamente possibile. Molte persone preferiscono non vedere le parti di sé che non gli piacciono o non gli stanno bene. Per cambiare bisogna essere consapevoli delle abitudini, motivi che ci trattengono dall’andare in avanti. Ma c’è anche un pericolo per la troppa autocritica. Troppa consapevolezza e autocritica ti paralizzano, ti allontanano dall’essere spontaneo. Per questo credo che la soluzione migliore sia trovare una via di mezzo.

Ti senti in qualche modo legato alle origini iraniane insite nel tuo nome? Se sì, come questo può influenzare il tuo modo di fare e sentire la musica?
Sono vissuto per la maggior parte della mia vita in Canada. Ed essendo un giovane ragazzo che viveva in una nazione nuova, mi sono sforzato di diventare parte della cultura canadese. Volevo essere come tutti i bambini, perciò ho fatto tutto il necessario per provare ad allontanarmi dalla cultura iraniana. Solamente ora, dopo parecchi anni, sto tornando sui miei passi e sto provando a ritrovare le mie vere radici. È una delle culture più ricche della storia delle civiltà, ed ha molto da offrire. Sfortunatamente, dopo la rivoluzione iraniana, il paese è sotto il controllo di un gruppo di fanatici religiosi che hanno dirottato il paese, facendolo regredire fino a trasformarlo in un posto dove l’ignoranza e l’ottusità religiosa governano ovunque.

Durante i tuoi concerti c’è sempre u’atmosfera incredibilmente intima e delicata. Ho avuto modo di vederti di recente a Roma e sono stato colpito dal fatto che tu ringrazi le persone per la capacità di ascoltare e per il silenzio. Cosa provi quando suoni live?
Ricordo lo show di Roma molto bene. È stato davvero un pubblico fantastico; sono stati silenziosi e rispettosi. Sono sempre commosso quando incontro un pubblico come questo. E sento di dover ringraziare. Devo dire che mi sento piuttosto lacerato per quanto riguarda le esibizioni live. C’è sempre qualcosa di davvero celebrativo e festoso durante i concerti. La gente si prende il tempo di uscire, stanno con amici, o vedono amici che non hanno visto per un po’ di tempo. E io sento sempre come se l’umore della mia musica non si prestasse a queste occasioni. L’umore della mia musica è davvero introspettivo, malinconico. E spesso mi sento come una persona che è andata ad un party e ha rovinato l’atmosfera allegra. Questo, alcune volte, rende difficile per me l’esibirmi.

Ho notato una passione e una cura per la fotografia sia per l’artwork dei tuoi dischi che per il layout del tuo sito. Non è così?
Sì, sono sempre stato attratto dalla fotografia. Trovo che sia un modo davvero emozionale e poetico di esprimere se stessi. Ho sempre voluto chiamare il mio stesso progetto musicale Lost Photograph a dimostrazione di quanto io ami la fotografia.

barzin_inter02Gli amanti sono estranei (cit. Look what love has turned us into, ndr)?
L’idea degli amanti come estranei viene da un libro scritto dallo psicologo Stephen Mitchell, che non usa proprio l’espressione “Lovers are strangers”, ma credo che sia il modo in cui ho iniziato a vedere le cose dopo averlo letto. Quando le persone si innamorano e lentamente iniziano a formare una relazione a lungo termine cominciano a pensare e a credere di conoscere davvero l’altro. Col tempo che passa gli amanti diventano prevedibili nei loro comportamenti verso l’altro, e una certa stabilità e sicurezza si sviluppa nella relazione. Ma questa sicurezza e stabilità è proprio un’illusione; è creata perché gli umani non sanno vivere con “l’ignoto”. Noi come umani abbiamo bisogno di credere di conoscere la persona con cui condividiamo la vita. Forziamo noi stessi nel credere come prevedibile e sicuro chi amiamo. Invece le persone sono complicarte, hanno molte facce, molti lati nascosti. E spesso in una relazione, si rivelano soltanto dei lati, e così tanti desideri restano nascosti e chiusi a chiave.
Ci illudiamo di conoscere qualcuno, ma il cuore rimane un mistero.

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