Home / Editoriali / E la musica dichiarò il suo amore: intervista a G. M. Sorace e M. Calderisi (Hollowblue)

E la musica dichiarò il suo amore: intervista a G. M. Sorace e M. Calderisi (Hollowblue)

sorace_inter001Non poche volte gli Hollowblue sono stati ospiti delle nostre pagine, e l’attenzione di Losthighways si concentra nuovamente sulla loro musica elegante e poetica. In un periodo in cui la band è al lavoro per nuovi interessantissimi progetti, è in rotazione un nuovo videoclip estratto dall’album di esordio: Stars are crashing (in my backyard) ovvero un distillato di melodie da anime erranti. Per accompagnare al meglio la nostra curiosità la band ci regala in esclusiva un brano: Forgot to say I still love you, una perla allo stato grezzo, della quale si riesce già ad immaginare il futuro candido bagliore. (Foto 1-2 by Emanuele Gessi)

Il 2008 è stato un anno raggiante per voi, ma già da un po’ è iniziato il 2009: in questo mese e poco più, lo abbiamo potuto studiare, annusare, assaggiare. Quali impressioni si sono fatti gli Hollowblue?
Gianluca: Sicuramente il 2008 è stato per noi un anno ricco di soddisfazioni. Il disco è stato accolto in un modo che non avremmo immaginato possibile. Recensioni ottime anche all’estero, e una certa attenzione da parte non solo della stampa specializzata. Siamo nel mezzo di un percorso ed è cambiato il nostro stesso modo di concepire il lavoro. L’affiatamento è aumentato in modo considerevole e quello che facciamo diventa di giorno in giorno sempre più aderente a quello che siamo come gruppo, come entità singola.
Marco: Stiamo inoltre scoprendo che il disco che abbiamo prodotto è, come dire, a “lunga scadenza”. Contrariamente a quello che succede sempre più spesso, con produzioni ed ascolti mordi e fuggi, pur facendo uscire il primo singolo a distanza di 11 mesi, stiamo vivendo un momento di rinnovato interesse nei confronti nostri e della nostra musica, questo grazie anche a Prom-O-rama, la nostra agenzia, che ci supporta con molto entusiasmo.

Se con What you left behind (2004) siete musicalmente sbocciati, solo lo scorso anno con Stars are crashing (in my backyard) siete riusciti a guadagnare l’attenzione che meritate. I vostri passi sono sempre stati saggi e misurati… non incominciate ad avere un po’ fretta?
Gianluca: Sentiamo che siamo su una buona strada. Ma questo ottimismo può essere anche molto pericoloso; al momento preferiamo concentrarci solo sulla musica tralasciando tutti gli aspetti di contorno. Suonare dal vivo e sopratutto entrare a breve in studio per il nuovo materiale sono gli obiettivi più immediati. Abbiamo fretta di avere pronto il prossimo disco e poterlo far ascoltare: riserverà qualche sorpresa ai nostri abituali ascoltatori.
Marco: Quel che conta, secondo noi, è suonare per il gusto di suonare, lasciandoci trasportare dalle nostre emozioni. Non abbiamo mai fatto calcoli o piani particolari: ci siamo sempre fidati della nostra spontaneità… e molto probabilmente continueremo su questa strada. In genere, le cose avvengono quando devono avvenire, non serve forzare la mano.

Attualmente siete impegnatissimi nella realizzazione di ben due differenti lavori discografici. L’esperienza al fianco dello scrittore americano Dan Fante vi ha spinto a scindere i due progetti della band, due facce della stessa medaglia di cui vorremmo ci parlaste.
Gianluca: In effetti abbiamo molto materiale: un album di sole canzoni, l’altro legato all’esperienza che abbiamo fatto con Dan Fante con il  quale abbiamo mescolato musica e poesia nei nostri tour per l’Italia. E’ una cosa che ha precedenti illustri e che nel panorama italiano potrà sembrare forse abbastanza inusuale e coraggioso, la vedo come il nostro personale An American Prayer dei Doors.
Marco: Due progetti, due facce, ma in effetti molto meno diversi di quanto si possa pensare. È vero che in un caso si tratterà di un “tradizionale” disco, mentre nell’altro siamo nel campo del reading e della sonorizzazione, ma l’impronta sonora è sempre la nostra. Facilmente distinguibile.

C’è qualcosa di epico nello sforzo della band di cucirsi addosso alla poesia di Dan Fante, e nella volontà delle parole di voler indossare le vostre note. Come sempre, quando ci si addentra in un campo “altrui” si è più vulnerabili, chi pensate sia più esposto tra Dan e la band?
Marco: Credo che noi siamo più lontani dal nostro habitat di quanto lo sia Dan rispetto al suo. Per noi si tratta di uscire dal consueto schema mentale che ti porta a legare testi e musica in strutture tipiche, senza considerare anche il fatto che, in questo caso, la voce è recitata.
Gianluca: Dan aveva fatto esperienze del genere in passato ma non in un modo così stretto. Abbiamo la fortuna di avere con noi un artista con un grande senso musicale e del ritmo che non si limita a considerarsi “lo scrittore” ma, a tutti gli effetti, un componente del gruppo.

A differenza dei grandi big musical-commerciali, la musica indipendente sembra avere “l’occhio lungo”. Internet in generale, MySpace, webzine, download audio digitale, community che offrono video, notizie e possibilità di dialogo. Secondo voi la tecnologia è veramente democratica?
Gianluca: Sicuramente internet ha permesso di arrivare con facilità alle persone e costruirsi delle occasioni promozionali che prima erano appannaggio solo di chi aveva alle spalle grossi investimenti. Questo non vuol dire però che non sia necessario fare un grande lavoro continuo e creativo. C’è più spazio per le idee, ma queste devono comunque essere supportate da una vera passione e dedizione.
Marco: Diciamo che ora, rispetto a prima, il punto di partenza e gli strumenti a disposizione sono diversi e per certi versi, comunicare è più facile. In ogni caso si torna sempre al solito concetto: quello che conta è il contenuto.

calderisi_inter002Dopo First avenue (da poco in onda su All Music dopo un anno di permanenza nella rete) ora riappaiono i vostri volti nel videoclip di This Summer. Com’è nato l’incontro con l’artista videomaker Luca Marchettoni?
Gianluca: Luca è un caro amico con il quale ho lavorato per un paio di anni nel campo della grafica e, vista la stima, reciproca è stato naturale collaborare: così è stato per la copertina di Stars are crashing (in my backyard) per cui ha ridipinto digitalmente pezzetto per pezzetto una propria fotografia, per il nostro logo e ora per il video. Lui ha un approccio sperimentale in qualsiasi cosa faccia e questo mi piace particolarmente.

Il video di This Summer è un incantevole e mostruoso racconto che, per mezzo di immagini e colori particolarmente evocativi, mette a nudo la fragilità umana. Riesco a distinguere tre principali soggetti in conflitto: natura, uomo, tecnologia. Dico bene?
Gianluca: La canzone parla di un confitto più terreno, più intimo, tra due persone. Lui lo ha portato ad un altro livello mettendo in gioco abitanti di un altro pianeta che incontrano se stessi sulla terra. Non è così esplicito, certo. Ma questo per quanto mi riguarda non è un limite. Ci sono riferimenti a L’uomo che cadde sulla terra di Nicolas Roeg e ad un vecchio episodio di Spazio 1999, Un altro tempo un altro luogo.

Ritornando ai vostri progetti musicali, nelle passate produzioni abbiamo visto partecipazioni di altri artisti come Anthony Reynolds e la “nostra” Lara Martelli. Le nuove canzoni  stanno prendendo forma anche grazie all’ispirazione di terzi?
Marco: Abbiamo in cantiere una collaborazione con Sukie Smith, la cantante del gruppo londinese Madam. Appena avuta l’occasione di conoscerci quest’estate ad Experimenta (Alberobello), è nata l’amicizia e abbiamo scritto un pezzo per ospitarne la voce.
Gianluca: C’è in ballo anche un’altra collaborazione molto interessante ma aspettiamo che si concretizzi definitivamente prima di parlarne.

Allo stesso tempo,  anche voi collaborate a produzioni di altri amici/musicisti: ultima in ordine cronologico è la partecipazione di Gianluca al brano Treat me bad dei Lovers of ’69, progetto semi-solista di Federico Moi (attuale batterista Hollowblue),  e il disco (“Superhero” – 2008) è stato prodotto dalla vostra A cup in the garden. Potete parlarmi di queste collaborazioni e dell’etichetta?
Gianluca: Federico da anni scrive e registra canzoni proprie, suonando tutti gli strumenti e ha sempre avuto una grande forma di pudore e timidezza nel promuovere i propri progetti: io sono un suo grande fan. Una cosa che come etichetta vorremmo fare è ripubblicare tutto quanto di buono ha fatto sotto i vari pseudonimi e portarlo all’attenzione delle persone. Io poi, in effetti… nonostante Hollowblue sia la mia priorità, mi divido su altri progetti: The Jodiefosters con Anthony Reynolds, HelenaRussell con Franco Volpi e Giampiero Sanzari, e Cordigitale (che è anche il nome della mia agenzia di grafica) con Alessandro Graffeo.
Marco: A cup in the garden era un’idea che, pur non acquisendo una forma definitiva, mi girava nella testa da tempo: volevo che divenisse il contenitore delle mie “espressioni artistiche”. Non solo musica quindi ma anche fotografia, letteratura, grafica… finalmente, unendo il mio desiderio di renderla una cosa viva alla nostra volontà di camminare musicalmente con proprie gambe, ecco che abbiamo concretizzato l’idea. Per ora siamo io e Gianluca ma la nostra intenzione è di tenerla assolutamente aperta anche agli altri ragazzi del gruppo (e dei gruppi che magari in futuro ne faranno parte). Diversi sono i progetti in cantiere, tra cui due lavori fotografici, uno incentrato sulla figura di Federico Moi ed uno sulla poesia dei palchi vuoti e sulla tensione che precede il momento del concerto, e la ristampa di qualcuno dei nostri lavori iniziali dei quali farà parte il mio primo progetto solista di tanti anni fa: Eco.

Mi è stato concesso l’onore di ascoltare alcuni dei vostri brani in via di sviluppo; nell’ascolto ho notato a volte nuove e più ariose sfumature. Quali sono i fattori che riescono ad offrire all’artista input  tali da fornire ispirazioni nuove?
Marco: La vita di tutti i giorni: emozioni, rabbia, frustrazioni, amore. E non ultima la voglia di suonare insieme. I brani nascono in modo collettivo. Si può partire da una linea di Gianluca, come da un’idea nata estemporaneamente in sala prove.
Gianluca: Non premeditiamo nulla. Non decidiamo… questa volta sarà un disco triste oppure questa volta allegro… e così via. Semplicemente lasciamo che tutto fluisca fuori in modo naturale. Ci tengo però a dire che questo, al tempo stesso, non significa assolutamente essere degli inconsapevoli nel processo di creazione.

hollvideo_inter003Per ultimo vi chiedo di presentarci il brano che gentilmente avete donato in anteprima esclusiva a LostHighways: Forgot to say I still love you nasconde una sorta di paradosso già nel titolo… si può amare e dimenticare di urlare il proprio amore al mondo?
Gianluca: Adoro Chet Baker e quel suo modo di cantare i sentimenti più intimi in modo puro, nostalgico e struggente. Il titolo nasce da queste sensazioni. Rispetto ai dischi precedenti ho cominciato a guardare fuori da me, a porre l’accento su emozioni e storie che non fossero necessariamente autobiografiche… l’ultima canzone del precedente disco annunciava questo nuovo percorso nella scrittura dei testi. In questo caso ho immaginato che, al termine di una relazione sofferta, uno dei due guardasse indietro rendendosi conto di non aver mai detto quanto fosse importante l’altro… e di non aver più la possibilità di rimediare.

Alla Musica, invece, come si dichiara il proprio amore?
Gianluca: Lo stiamo facendo, dedicandoci ai nostri impegni con grande dedizione e passione. Senza perdere mai l’entusiasmo anche quando le difficoltà, e penso alla scena italiana, sono evidenti. Personalmente dico sempre che è come una malattia che mi consuma. Ma è un bel consumarsi.
Marco: Io sono troppo timido per dichiararmi, perciò mi limito a viverci dentro… tanto ci capiamo al volo!

Forgot to say I still love you– Preview

This Summer – Video

Ti potrebbe interessare...

Benvegnù intervista

In fuga dalla carovana dei cortigiani, intervista a Paolo Benvegnù

Le conversazioni, quelle belle. Le occasioni commoventi di incontrare, tangendole, le curve perfette della personalità …

Un solo commento

  1. Una volta ancora, il piccolo mondo musicale si rivela più intelligente del grande mercato universale, che ci vorrebbe ascoltatori-amatori-compratori di una musica che dovremmo gettar via poco dopo, per adorarne un’altra.
    Fa piacere scoprire che le fatiche di questi artisti, di tante persone che spesso suonano e lavorano anche senza compenso, vengono ripagate sulla lunga distanza.
    Se è vero che il web rende tutto ancora più veloce e globale (e a volte dà spazio a voci e opinioni poco credibili), resta comunque magnifica la possibilità che dà a noi utenti di appassionarci a qualcosa potendola seguire costantemente. E’ bello sapere che a volte la passione a suo modo vince le regole pubblicitarie. Speriamo si possa continuare su questa strada, nonostante gli intoppi.

    Progetti come gli Hollowblue, come tanti altri che LostHighways ama e segue, sono fortunatamente più accessibili. E anche le sinergie, le collaborazioni, gli esperimenti creativi che ne risultano, hanno un grandissimo valore.

    (Ottima intervista, splendidi artisti)

Leave a Reply