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Scampoli di vite narrate: Emidio Clementi e Dustin O’Halloran@Locomotiv Club (Bo) 15/11/07

Il piano è lo strumento. Lo strumento per eccellenza è il piano. Il piano suona piano e forte. Per quello si chiama pianoforte. La voce, invece, si chiama così perché c’è. Se non c’è, invece, si chiama silenzio. Ed era splendido il silenzio nel capannone appena Dustin O’Halloran si è seduto sullo sgabello mentre appoggiava, soffice, le dita sui tasti bianchi e neri. Senza spingerli. Attendavamo, in silenzio.
Poi li ha spinti. E il suono avvolgeva le pareti, che avvolgevano noi.
Dustin (ex Devics) non aveva spartiti. Era tutto nelle sue dita, mentre il corpo ondeggiava seguendole: il silenzio della non-voce del pubblico era quasi palpabile. Quasi calpestabile. Quel silenzio delle menti e delle labbra lo si poteva percuotere con la suola delle scarpe, che mai avrebbe emesso un rumore.

Mentre Dustin dipingeva colline leggere fatte di discese e lievi accelerazioni, affanni e curve infinite a forma di spirale, il silenzio cancellava le persone intorno a me. Le persone esistono quando hanno voce, quando non hanno voce c’è solo l’anima.
Per questo entra sul palco Emidio Clementi: per dare corpo, forma, carne a ciò che a modo suo, il pianista californiano aveva descritto con tocchi leggeri ed evanescenti.
Emidio (ex Massimo Volume), quando parla legge e recita, è come una scala. I suoi racconti sono spigolosi, e le sue parole, scandite ritmicamente, indicano lo sforzo dell’ascesa. Oppure la frenetica velocità della pericolosa ed affannante discesa. A volte ci si appiglia pure, ad un gelido corrimano metallico.
I brani che Emidio legge di fronte a noi, non sono mai piatti. Hanno uno sforzo insito, un dolore primordiale che poi, a volte, trova uno sfogo nel finale, nelle parole o nelle note di Dustin.
Ieri sera, al Locomotiv di Bologna, ci sono state raccontate tante storie, che entravano sempre nel personaggio fino alle viscere. I brani erano tratti dalle pubblicazioni di Emidio Clementi: romanzi, raccolte, brevi brani, scritti, poesie, canzoni, ma soprattutto ricordi.
Un uomo è in Svezia, vive là, ma è italiano. In quella terra di stagioni rigide, benessere e civiltà, tutti gli stranieri sono obbligati ad andare a corsi di lingua svedese. Il nostro uomo ci va e conosce tanti altri immigrati. Ma loro sono diversi. C’è chi fugge dalle violenze… chi vive nella povertà. Lui è l’unico ad essere in Svezia per inseguire un amore.
E’ lui il diverso. Non se ne capacita. Si sente solo, ridicolo e forse fallito.
C’era così tanta miseria in quei racconti di violenza e solitudine che, arrivato il mio turno mi vergognai di ammettere che avevo lasciato l’Italia soltanto perché avevo conosciuto Karin”.
Le emozioni sono forti: la presa di coscienza di realtà difficili, il tema del viaggio, il tradimento di Giuda, il tradimento di un amore. Questi sono solo alcuni dei dipinti di parole e note che tappezzavano, di brano in brano, tutto il locale.
Il piano diventa “forte” quando il sangue scorre veloce nelle vene del personaggio narrato.
Il piano torna “piano” quando le vene pulsano a stento. Le note diventano pesanti, quando il passo del protagonista è stanco e rassegnato.
Mio padre e la fortune non si sono mai incontrati… Mia madre dice che come lui arrivava la fortuna scappava altrove. Mente. La fortuna non è mai passata da quelle parti.
C’è sintonia, unicità, amalgama. Il prodotto è unico, ma i componenti si distinguono. Brillano in un cielo povero di stelle, ma senza far sentire la mancanza di quelle assenti.
Lo spettacolo è dolce-amaro. Anzi: amaro e poi dolce, perché l’affanno e la sofferenza, il disagio e la complessità degli scampoli di vite narrati, purificano. Chi ascolta Emidio e Dustin, lo fa per scrollarsi l’anima.
Durante l’esibizione, il pubblico è stordito dal mondo che viene creato dai due artisti. Questo è un mondo in cui non si respira aria, ma liquido. Siamo ormai rassegnati ad un mondo con un’atmosfera riempita forzatamente di aria leggera, e ogni volta che ci ritroviamo immersi in cose più pesanti e viscose, noi… non riusciamo a respirare.
E diventa difficile applaudire, è uno sforzo, perché siamo storditi. Però BISOGNA applaudire! E’ necessario applaudire, per faticoso che sia, bisogna dire grazie a Dustin O’Halloran ed Emidio Clementi.
La serata scorre incessantemente dimenticandosi completamente delle lancette dell’orologio; il tempo viene scandito dai tocchi sinuosi di Dustin nella magnifica serie di pezzi che ha proposto. Questi rimangono sospesi nel vuoto, senza mai essere in posizione dominante o sottomessa rispetto alla narrazione di Emidio, che per l’occasione, ha regalato al pubblico anche un brano tratto dal suo romanzo prossimo all’uscita.
In questo esperimento, nato da amicizia e stima professionale, tutto scorre all’unisono dimostrando le vere qualità di questi due grandi artisti che hanno anche il pregio di essere tanto vicini alla gente, e ciò li rende splendidamente veri.
Complimenti, inoltre, all’organizzazione dell’evento realizzato da Giardini di Mirò e Arci, impegnati in una rassegna ben più ampia denominata COLLATERAL: un mosaico in cui questo concerto si promette di essere tra le tessere più splendenti.

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3 commenti

  1. “Emidio (ex Massimo Volume), quando parla legge e recita, è come una scala. I suoi racconti sono spigolosi, e le sue parole, scandite ritmicamente, indicano lo sforzo dell’ascesa. Oppure la frenetica velocità della pericolosa ed affannante discesa.” Non avrei saputo trovare parole più adatte per descrivere i reading di Clementi! Emidio è una persona estremamente affascinante e ipnotica. Quando è su un palco non riesci a distogliere lo sguardo. Grazie per averci raccontato la tua serata .

  2. Emanuele, tu sei un angelo.

  3. Io ho scoperto della serata del Locomotiv la sera del 18 novembre, da mangiarsi le mani!!!
    Menomale che Emanuele ci ha regalato un report molto coinvolgente, così coinvolgente che infatti ieri sera ho ordinato “gara di resistenza” di Emidio Clementi :)

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