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C’è tutta un’aria misteriosa: intervista a Alberto Muffato (Artemoltobuffa)

La scatola magica dell’Artemoltobuffa ha liberato la meraviglia de L’aria Misteriosa per l’Aiuola Dischi, un’etichetta “piccola ma curata” che produce dischi pop. Quel pop che ha il sapore della poesia, l’odore della semplicità che è immune dalla banalità e sa rimare con la cura degli incastri verbali e della precisione degli arrangiamenti. Quel pop che centra il cuore senza volteggiare nei ritornelli di ipnotica vacuità.
La band veneziana colora il proprio nome dopo aver giocato d’anagramma… così Alberto Muffato inventa i girotondi sull’amore, sui ricordi, sulla naturalezza dei sentimenti, sulla meraviglia delle invenzioni perché a ricamare dolcezza sono in pochi, a far rumore… troppi.

Come si fa a respirare L’aria misteriosa? Cosa occorre per poterci riuscire? La mia mente corre d’istinto a Se un giorno e là s’annida il mio punto di riferimento sul senso dell’album…“Non fidarti ti prego della gente senza errori/di chi vuol dare risposte anche ai fatti misteriosi
di chi vuol veder le cose misurate, messe in ordine/perchè l’ordine è la fine, è un principio già di morte”

Io soffro d’asma. E’ davvero una malattia misteriosa, perché ti coglie nei momenti più inaspettati. Però non vorrei che il titolo venisse interpretato alla lettera. In molte circostanze capita di incontrare persone che si danno arie di mistero. Anche i rapporti sentimentali e d’amicizia si legano a sensazioni che è difficile spiegare razionalmente. Così accade anche nei sogni e nei ricordi. Il titolo del disco allude alla difficoltà ed al piacere di decifrare questi momenti.

La semplicità, la dolcezza compongono le parole dei testi quasi incastrandole fino a formare dei microracconti del cuore che non necessitano di decodifiche. Chi riesce a far entrare in circolo L’aria misteriosa comincia il viaggio di recupero di un sentire senza difese, senza scorze. E… paradossalmente aprirsi al gioco dell’innocenza ri-trovata può far male, mette nella condizione di dover fare i conti con ciò che la “velocità sentimentale” quotidiana ci fa diventare…
Per scrivere le ultime canzoni mi sono dato il compito di parlare di cose che conosco bene. In realtà questa ricerca di semplicità per me è piuttosto difficoltosa. Quando scrivevo le prime canzoni, anni fa, pensavo che la ricercatezza letteraria fosse un presupposto necessario alla scrittura. Col tempo mi sono convinto invece che la forma-canzone necessiti di una sorta di “sprezzatura”, che cioè sia da affrontare un lavoro faticoso, che serve paradossalmente a rendere le cose evidenti. Credo che questo lavoro debba necessariamente restare invisibile all’ascoltatore. Così i testi più semplici e diretti sono quelli che mi sono costati più fatica. E se qualcuno li vede come sciatti… beh, io lo prendo come un complimento!

“Mio padre in cantina costruisce una panca/immerso in un’ombra profonda/mio zio dietro casa dà il veleno alla vite/il cane più in là si lecca le ferite/avrò cinque sei anni ed in mezzo al giardino/sono immerso fino al collo dentro a un catino/penso l’estate sia questa/stare in mezzo alla cose immersi fino alla testa”. Ecco, l’Estate dei ricordi. Ecco una sintassi disarmante della visione che da piccoli si ha del mondo immenso e che smarriamo. Raccontami questa canzone bellissima…
Secondo me è una delle canzoni più riuscite del disco. Sono molto soddisfatto del risultato, anche perché se non ricordo male è l’ultima che ho scritto… quindi in un certo senso è la premessa ai prossimi brani. La filastrocca del testo mi inseguiva da un paio d’anni. Volevo ricordare le estati di quand’ero bambino. E’ il ricordo di un’infanzia del tutto normale, senza grossi avvenimenti né fatti di rilievo. In qualche modo completa un brano del vecchio disco,
In canale: intrico d’alghe, dove racconto di un mio leggendario tonfo in canale, all’età di tre anni. Non mi sottraggo alle accuse di infantilismo… però prometto che in futuro cercherò di dar prova di tutta la mia precoce senilità.
(Da qualche parte ho letto una parodia molto divertente del testo di
Estate, in cui si fa cenno alla preparazione di una pasta con le cozze!)

Invenzioni ha un testo che racconta l’amore attraverso la possibilità di fare dei desideri un gioco d’immagini: “Inventerei un aspirapolvere al contrario/per inventare il vento ogni volta che t’incontro/inventerei una nuova specie di vernice/per cancellare l’ombra, ed ogni cicatrice”
Le rughe sulla fronte
invece dissolve lo spettro delle paure, sempre destrutturandole usando il gioco, il volo della fantasia più delicata e protettiva: “C’è molto buio in giro/ma tu non devi avere paur/arrivo io aggiusto tutte/le lucciole questa sera/Le allineo sull’erba/col cacciavite/le aggiusto ad una ad una”.
Questi sono brani legati a vicende molto personali. E’ certo comunque che quando si è innamorati, si riescono ad osservare con gli occhi della fantasia anche gli oggetti più comuni. O per lo meno io ci casco sempre.

La delicatezza e l’intensità dei testi scivolano su arrangiamenti che cadono senza troppi fronzoli, in modo assolutamente naturale…
Il disco è prodotto da Fabio De Min, che ne ha composto gli arrangiamenti strumentali. Sono felice di aver lavorato con lui, credo abbia interpretato con grande acume le intenzioni dei brani. A lui va gran parte del merito. Speriamo di poter collaborare ancora, perché ne è nata un’amicizia preziosa.

Tu, sei un architetto. Come si concilia questo ruolo con la musica? Tempo al tempo ha una chiave di lettura specifica?
Dunque. Io sono architetto e dottore di ricerca in storia dell’architettura. Da persona che studia, ed è immersa in questioni parrucconesche, provo talvolta una certa insofferenza verso il mio “lavoro”. Però il testo non è riferito necessariamente a me. Debbo ammettere comunque che questo brano mi imbarazza un po’, quindi in qualche modo credo che costituisca una sorta di nervo scoperto. Non so se abbia ottenuto il risultato che volevo… vale a dire spiegare l’impotenza (e l’ignavia) che a volte sperimentiamo di fronte ai grandi problemi… Comunque non la suono mai in concerto. Non me la sento di “fossateggiare”.

Cosa inventerà l’Artemoltobuffa in futuro?
Artemoltobuffa è in continuo divenire. Che sarà di noi? Dipende da tanti fattori. Dai soldi (che non abbiamo), dal tempo (che è sempre meno). La voglia di scriver canzoni resta, ed è il motivo per cui non molliamo. Devo confessare di provare una certa disillusione verso l’ambiente musicale, e verso la “scena” in generale.Ora vorrei fare un disco tutto diverso dai primi due. Un po’ più rock. Magari coinvolgendo qualcuno che viene da esperienze musicalmente molto diverse dalla mia. Dopotutto io vengo dal grunge anni 90, e non voglio rinnegare nulla di ciò che ho fatto prima di diventare un cantautore “delicato ed intimista”.

La poesia de L’aria misteriosa come circola in internet? I nuovi canali web di diffusione possono davvero costituire un’alternativa alla lentezza delle dinamiche tradizionali? In primis è possibile aggirare così i limiti dei gusti che il sistema definisce offendendo le reali esigenze delle persone?
I nuovi canali sono la nostra croce e delizia. Delizia perchè ci permettono di raggiungere molte persone. Croce perché questa popolarità è teorica, passeggera, non appoggiata (economicamente e realmente) su basi solide. Vendiamo più magliette che dischi. Facciamo fatica a suonare in giro…
Ci scrivono molte persone per ringranziarci… e questo è davvero l’aspetto più gratificante di tutta questa faccenda.
Ma di soli attestati di stima non si campa!

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