In quanti modi può vivere una storia?
E’ il 1992. Chris McCandless, neolaureato proveniente da una buona famiglia, fugge da un destino preconfezionato in cerca di un’esistenza diversa e autentica: decide infatti di vagare da solo tra i monti dell’Alaska, rinunciando a tutte le comodità cui era abituato per confrontarsi con una natura difficile e inospitale quanto sublime, e soprattutto con sè stesso, fino a un tragico epilogo. L’episodio reale diventa prima un libro, con il romanzo di Jon Krakauer, e poi un film per la regia di Sean Penn, di cui l’omonimo album Into the wild è la colonna sonora. In attesa della pellicola, che approderà nelle sale italiane tra un anno, possiamo goderci questa prima prova da solista di Eddie Vedder, leader dei Pearl Jam, già avvezzo alla realizzazione di soundtracks (basti ricordare Dead Man Walking dello stesso Sean Penn o Big Fish di Tim Burton) ma sempre con brani singoli e mai attraverso un lavoro articolato e compiuto come in questo caso, interamente prodotto, scritto, suonato e cantato da lui, eccezion fatta per Hard sun, cover di un semisconosciuto musicista di Seattle, Gordon Peterson e che vede la partecipazine di Corin Tucker delle Sleater-Kinney, e Society, scritto da Jerry Hannan che interviene anche alla chitarra e nei cori. Un album molto personale quindi: strano, denso, tutto racchiuso in circa trenta minuti di musica, composto da brani brevissimi, ognuno dei quali sembra raccogliere qualcosa dal precedente per consegnarlo a quello successivo, come un’energia che circola senza spezzarsi… se è vero che ci sono fili invisibili che collegano tutte le cose, sembra che sia proprio il caso di questa piccola perla, in cui ogni tassello è parte di un corpo organico, eppure rende perfettamente la sensazione di un racconto che si dispiega. McCandless ci parla attraverso la voce di Vedder, dal timbro inconfondibile, che non necessita di artifici sonori: basta un banjo, un ukulele, una chitarra acustica ed ecco la suggestione dei paesaggi del nord, l’intensità e la forza, la fragilità e la paura dell’uomo al suo cospetto. C’è il senso di una disperata e necessaria ricerca di libertà che percorre ogni brano, ed esplode nella sopraccitata Society (“Pensi di volere più di quello di cui hai bisogno/finchè non hai tutto non sarai libero/società, sei una razza folle/spero che tu non sia sola senza di me”) e in Guaranteed, che chiude il disco prima della ghost track (“Tutti quelli che incontro, in gabbie che hanno comprato/pensano a me e al mio girovagare, ma io non sono mai quello che pensavano/ho la mia indignazione, ma sono puro in tutti i miei pensieri/sono vivo… lascia che mi occupi io di trovare un modo di essere/considerami un satellite, in orbita per sempre/conoscevo tutte le regole, ma le regole non mi conoscevano/garantito”). Non è solo una questione di parole, tant’è che in The wolf Eddie ulula letteralmente, eppure dice tutto quello che c’è da sapere: è come se l’anima del personaggio avesse trovato un viatico per concretizzarsi nella forma d’arte più immateriale di tutte, la musica. Scarno, ruvido, essenziale, intenso, viscerale: questo è Into the wild.
Credits
Label: J. Records – 2007
Line-up: Eddie Vedder
Tracklist:
- Setting Forth
- No Ceiling
- Far Behind
- Rise
- Long Nights
- Tuolumne
- Hard Sun
- The Wolf
- End of the Road
- Society
- Guaranteed
Links:Sito Ufficiale,MySpace
La voce di questo uomo è la voce dei miei anni migliori e tu hai portato la luce su questa sua ultima fatica. Grande Anna Maria!
davvero una bella recensione… lo ascolterò.;-)