Home / Recensioni / Album / Don Quìbol – Don Quìbol

Don Quìbol – Don Quìbol

Un disturbo, un’interferenza, un propagarsi obliquo d’onda, una melodia… elettricità e poi delirio acustico. Quali nuovi orizzonti impalpabili, artificiali o naturali che siano ci aspettiamo dai tanti folk di oggi? Quale nuova deriva post-malinconica ci desterà all’indomani? Perchè in molti credono che la chiave di lettura per interpretare quanto di nuovo si stia riuscendo a dire in questi anni sia proprio il folk e le sue continue metamorfosi: il vecchio cantautore si arma di ingegno, tecnologia e alienazione post-duemila per dare un volto nuovo al suono che lo lega al passato dei suoi padri. Nel belpaese fra gli esponenti psichedelici di questa new wave del folk ci troviamo i milanesi Don Quibol (usciti qualche mese fa per l’attenta e lungimirante Canebagnato Records), trio sperimentale che si stringe attorno al cantautore Paolo Saporiti (che nel 2006 ha esordito con un lavoro solista sempre per la suddetta etichetta), composto per il resto dal percussionista Lucio Sagone e dal chitarrista e sperimentatore Christian Alati. La formula proposta per questo omonimo lavoro d’esordio è un folk-rock dilatato e psichedelico che prosegue nella direzione dell’aggiornare i classici e vecchi songwriters all’era indie, e lo fa con un occhio prevalentemente esterofilo. La batteria di Lucio Sagone assume un ruolo determinante in tutto il disco, destrutturando la forma canzone e contribuendo a renderla instabile e destabilizzante. In generale tutti gli arrangiamenti hanno un ruolo principale, vestendo d’eccentricità malata e disturbante melodie e composizioni, che il più delle volte senza di essi sarebbero semplicissime canzoni, appena più alternative di quelle che da decenni escono dalla bocca di un qualsiasi cantautore britannico. Si alternano brani di impronta più acustica, come la più aperta e melodica Play e la successiva Red Eyes, a brani più elettrici, come l’incedere marziale di The World Comes Around ovvero una canzone crepuscolare, tesa e oscura che violenta la melodia sotto una tempesta di disturbi psichedelici, sfocati in un andamento ritmico tribaleggiante. God forse è il brano più riuscito ed ispirato, il tono di voce è più misurato e l’intrusione di rumore suona come un’onda anomala a travolgerti proprio mentre guardi all’orizzonte. Diversi gli episodi più vicini al post-rock, come le parti strumentali di We all, we’ll wait in the fire, dove l’arrangiamento ricorda più da vicino i Calexico e stilisticamente piacerebbe anche a Bruno Dorella e ai suoi Ronin. I threw ’em all off è il brano più sperimentale e psichedelico: si gioca su alchimie timbriche, scricchiolii, sottigliezze acustiche, sgorgare d’acqua e la melodia è contornata da continui disturbi e cacofonie. La chiusura è affidata a Prison, altro lungo brano di post-folk psichedelico, dilatato e minaccioso… come una finta serenità continuamente minacciata da imprevisti sonici e dissonanze: dai Pink floyd ai Radiohead, tutti gli adepti del psychedelic sound sono qui rimasticati con una sensibilità del tutto personale. In questo esordio c’è buona tecnica, una produzione impeccabile, tanta esperienza e un frullato di ottime idee, ma nel complesso (tanto per fare i cattivoni) il tutto forse risulta un po’ freddo e artificioso, come a dire che “pochi” ascolti non basteranno a far saltare di gioia tanto i puristi e nostalgici quanto chi nella musica non ama scavare troppo a fondo. La stoffa comunque c’è e come, e l’ascolto non possiamo che consigliarvelo.

Credits

Label: Canebagnato Records – 2006

Line-up: Paolo Saporiti (voice, standard and baritone acoustic guitars) – Lucio Sagone (drums, percussions) – Christian Alati (electric guitars, bass, piano) (batteria)

Tracklist:

  1. The World Comes Around
  2. Human Perversion
  3. Fear of Love
  4. Play
  5. Red Eyes
  6. Waitin’ on a Friend
  7. God
  8. We All, We’ll Waiting in Fire
  9. Don’t You Think
  10. I Threw ‘em All Off
  11. Did You Hit Me?
  12. Prison

Links:Sito Ufficiale,MySpace

Ti potrebbe interessare...

MartaDelGrandi Selva

Selva – Marta Del Grandi

Affila le sue armi Marta Del Grandi, due anni dopo l’esordio Until We Fossilize, scommettendo sulla …

5 commenti

  1. Recensione perfetta. Ma tutte le tue recensioni sono perfette nell’analisi e nella liricità.

  2. ..troppo buono, sono commosso:)!!

  3. Le parole sembrano farsi casa per le atmosfere e le suggestioni proprie della musica che narrano…lascerò che il disco diffonda nella stanza, senza fretta alcuna, la sua bellezza

  4. …questo va preso.

Leave a Reply