Home / Editoriali / La verità è che dobbiamo dirci la verità: Bombay Tapes @ Boretto (RE) 26/07/2007

La verità è che dobbiamo dirci la verità: Bombay Tapes @ Boretto (RE) 26/07/2007

Ore 21.00 circa di un giovedì di fine luglio. Il sole sta tramontando sul Po. Il cielo cambia i suoi colori e i gabbiani vi disegnano i loro voli. Si è immersi in un sogno che è solo il presagio di quello che sta per accadere.
Siamo a Boretto, un paese in provincia di Reggio Emilia che vive grazie al Po, e più precisamente siamo nel cantiere navale dismesso dell’ARNI (l’ente per la navigazione sul Po), ora trasformato in museo. Sulle rive del fiume c’è un palco: una poltrona marrone, un tavolino con una bottiglia di spumante e qualche bicchiere, una valigetta nera appoggiata su un supporto e sopra una chitarra rossa fiammante, due leggii, due microfoni e in fondo un megaschermo sul quale regna la scritta Bombay Tapes.

Di fianco al palco è posizionata una draga del 1933 con gli oblò illuminati, come se fossero tanti occhi messi lì a testimoniare la magia che si sta per compiere. Appaiono tre uomini: uno è vestito di nero e si va a posizionare in fondo al palco mentre gli altri due, vestiti di bianco, si sistemano davanti ai rispettivi microfoni. Sono Emidio Clementi e Manuel Agnelli, che indossa un kaftano. Vanno in scena le emozioni, quelle più intime, quelle che sgorgano dalle viscere e a regalarle, a rendere partecipi di tutto questo sono due artisti unici e meravigliosi, ma soprattutto due persone VERE.
Parte il viaggio. Un viaggio fatto di parole scritte su due diari, lette come un botta e risposta tra i due. Un viaggio accompagnato dalle immagini girate da una telecamera amatoriale (quella della fidanzata di Clementi) e trasmesse sul megaschermo che permette di immergersi completamente nell’atmosfera di quei giorni. Partono come amici e tornano come due persone che non si rivolgono neanche più la parola e vogliono mettersi a nudo davanti al pubblico presente, mostrare le loro anime, dimostrare come un semplice viaggio possa mutare nell’esperienza più sconvolgente della propria vita.
La cosa meravigliosa è il silenzio irreale. Tutti ammutoliti, in viaggio tra le emozioni, quelle dei due protagonisti. Tutti nel 2000, in quelle stanze dove due uomini scrivono dei loro sentimenti che stanno mutando. Tutti su quella barca che domina nel video alle loro spalle, per quelle strade piene di colori e bambini, davanti a quei tramonti, immersi in quel fiume.
I diari sono interrotti solo da tre letture di Clementi (una è Fermati qui degli El Murina) e da Manuel che canta Simbiosi e Varanasi Baby degli Afterhours (i brividi che sento non sono causati dall’umidità, ma dalla commozione). Mentre Mimì ci racconta di Manuel che, a suo dire, sta diventando paranoico (“Manuel vede complotti ovunque…”), lui se ne sta seduto su una poltrona, con il calice di spumante in mano e lo guarda come a dirgli: “Sei tu il pazzo a non accorgerti di tutto questo”. Si rialza per raccontare di come si sia sentito quando, dopo una partita di calcio, si è ritrovato solo, su una spiaggia, con un dito del piede rotto, mentre Clementi si accende una sigaretta, beve un sorso di spumante e si muove sul palco, quasi a non volersi curare delle parole dell’amico… “Non mi sono mai sentito così solo…”. Ormai l’amicizia si è tramutata in indifferenza, quasi disprezzo nei confronti dell’altro. A questo punto Manuel imbraccia la sua chitarra, Emidio il basso e partono le note di Bye Bye Bombay. Ammetto che sentirla così, senza il resto degli Afterhours e, soprattutto, senza la gente che mi urla nelle orecchie “Io non tremo” ha un qualcosa di veramente magico, di unico.
Manuel riparte con la lettura: “Caro Mimì…”. E’ il momento finale e anche il più emozionante della serata: Manuel ed Emidio leggono le lettere che si sono scritti a vicenda una volta tornati. Le leggono contemporaneamente, in modo che si riesca a captare solo qualche parola, ma il forte turbamento di quel momento esce tutto dalle loro espressioni, dal loro modo di guardarsi, di rivolgersi l’uno all’altro anche con i gesti. L’unica cosa che permettono di ascoltare è il finale. Silenzio. “La verità è che dobbiamo dirci la verità”… Manuel lo sputa in faccia ad Emidio, glielo ripete e poi lo ripete altre due volte, rivolto verso il pubblico e scende dal palco.
Rimane solo, Mimì. Ci legge una lettera scritta a Manuel tre anni dopo il viaggio. Parla di come sia stato difficile per lui mantenere l’impegno di scrivergli e di come non ci sia riuscito, di quando si sono rivisti, di come le loro vite siano cambiate e di come sia felice per lui. L’India ormai è lontana e con essa anche l’inquietudine che ha causato…però l’amicizia è ritornata a fiorire. Il silenzio che ha regnato per tutta la serata si trasforma in un applauso scrosciante. Il pubblico si risveglia dal sogno e si rende conto di non essere in India, ma sempre a Boretto e di non avere davanti il Gange ma il Po. L’emozione è ancora forte e per un attimo rimango smarrita a guardare il palco, a guardare l’ombra di due uomini che si abbracciano a suggellare ancora una volta il sentimento eccezionale che li unisce e che ha fatto arrivare anche ad altri tutta questa magia.

Bye Bye Bombay.
Bye Bye Mimì.
Bye Bye Manuel.

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2 commenti

  1. Bellissima recensione, che come giusto che sia, non si dimentica delle emozioni VERE che si sono vissute.

    Io ero in prima fila quel giorno, ed è stato molto bello. Avevo una poltrona marrone uguale nella mia vecchia casa da bambino…è stato strano vederci seduto Manuel.

    Aspettavo da tanto di poter assistere ad una esibizione degli Agnelli Clementi, e quel giorno lo avevo atteso in un modo veramente esasperato.
    Sono andato via da Boretto, quasi deluso. Mi aspettavo di più.

    Mi aspettavo qualcosa di più “incredibile” perchè avevo “mitizzato” l’evento. Forse mi aspettavo lo spettacolo con la “esse” maiuscola. E così non è stato.

    Poi, con il tempo, mi sono reso conto che quello che avevo visto ed udito era qualcosa di ENORME.
    Ho VISSUTO i loro sentimenti, le loro emozioni. Mi sono trovato di fronte a “uomini” e non “macchine” che mi hanno sbattuto in faccia le loro debolezze…le loro confidenze.
    I loro sentimenti. Le sensazioni.

    E’ stata una grande esperienza artistico-emotiva…perchè quello era: scambio di emozioni pure. Senza suppellettili. Solo emozioni.

    La voce e la musica facevano solo da tramite, ma il contatto da sotto a sopra il palco, era diretto. Come mai mi era capitato di vivere.

    Grazie alla redazione di Highways per avermi dato l’occasione di rivivere quelle emozioni, leggendo, ricordando e commentando.

    In bocca al lupo per il resto dell’avventura!

  2. Questo racconto DOVEVA aver voce.
    Il reading e la musica che sa scivolare sulle parole e sulla de-codifica della vita sono argomenti da svelare, da amare

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