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I migliori dischi stranieri del 2020

Anche per questo 2020 LostHighways ha stilato le sue classifiche.
Di seguito la classifica dei nostri venti migliori dischi stranieri!

20. Forever, Ya Girl – KeiyaA

KeiyaA_Forever_Ya_Girl

Debutto da brividi per la cantante e produttrice Chakeiya Richmond in arte KeiyaA, di stanza a New York, nelle elegantissime introspezioni di questo suo Forever, Ya Girl, che versa colate di minimal electro a picco su sontuosità neo soul vividissime. Ed è un universo sonoro etereo e mai troppo accessibile, che vive di cut&paste e beat ipnotici, che sogna forse gli anni ’90 ma restando sempre contemporaneo. Raccontare i propri fantasmi con una tale disinvoltura, è cosa solo per chi di classe ne ha davvero tanta.

19. The Slow Rush – Tame Impala

TI_slowrushContinua l’avventura del polistrumentista australiano Kevin Parker in quel mare gommoso di onde synth-pop e folate di vento disco-funky. Prosegue quella ricerca di equilibrio tra attitudine pschedelica-prog e ritmica-groove dance-pop magistralmente iniziata nel precedente lavoro Currents. Quello che riesce ai Tame Impala è ricavare bellezza sonica nel miscelare elementi apparentemente kitsch… come  affiancare congas o bongos accanto ad un piano elettrico house e un flauto synth.

18. We’re New Again – Makaya McCraven

Makaya McCravenMcCraven ha accettato l’ardua sfida di reinterpretare il lascito di Scott Heron, dando corpo a We’re New Again – A Reimagining by Makaya McCraven. Già, immaginare. Attraversare un’opera compiuta in una dimensione onirica, inventando liberamente scenari e soluzioni come nelle architetture degli strati profondi del subconscio di Inception. Una riscrittura che plasma e ricontestualizza parti originali, principalmente quelle vocali e insostituibili del poeta, che si caricano così di nuovi connotati e sfumature.

17. The All is One – Motorpsycho

Motorpsycho - The all is oneDovevano andare oltre la formula base del trio i Motorpsycho per la lunghissima chiusura della trilogia di Gullvåg, dal nome dell’artista autore delle copertine degli ultimi tre album della band norvegese. A dispetto dei suoi 84 minuti che sono una sfida alla soglia di attenzione anche del più attento degli ascoltatori, Snah e soci mettono a segno un altro centro. Come giudicare diversamente musica ambiziosa che rinnova un genere di ricerca come il progressive, senza scadere nella tronfia magniloquenza, nel tecnicismo sterile o nell’inutile copia anastatica? Senza celare le influenze che ne costituiscono l’ampio bagaglio culturale i musicisti riescono nell’ardua impresa di comporre musica del tutto personale e riconoscibile fin dalle prime note, qualità ormai sempre più rara in un’epoca in cui i successi si confezionano coi preset delle app.

16. Songs – Adrianne Lenker

Adrianne Lenker – SongsUn nastro, un walkman e poche sovraincisioni, nido spoglio come un cuore d’inverno che sogna sollievo. Adrianne Lenker (reduce dai Big Thief) ci regala un canzoniere invernale, un lento declivio intimo a cui basta poco per concedere tepore. Tra folle di neo folksinger d’oltreoceano, ci si dinstingue solo con un canto libero e una penna come la sua, che traghetta Joni Michell in una capanna sulle montagne del Western Massachussets, una canzone per ogni bagno al torrente, una carezza per ogni lacrima versata.

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