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Dirty White King – Captain Mantell

recensione_CaptainMantell-DirtyWhiteKing_IMG_201703Conosciamo bene il Capitano Mantelli e la sua ciurma: sono una band che ci ha incuriosito sin dagli esordi e che abbiamo sempre seguito con interesse.
Partiti con un sound che puntava soprattutto sull’elettronica, negli album più recenti hanno evidenziato una virata verso suoni più abrasivi, tendenza confermata dal nuovo album, Dirty White King, che uscirà il 20 marzo e che é possibile ascoltare da oggi in esclusiva per Losthighways.
L’LP è stato registrato e prodotto da Tommaso Mantelli e Sergio Pomante nei propri studi di registrazione (Groove Studio, Noise Lab e Cà Rudere). L’artwork, che rappresenta l’oscurità del disco, è affidato a Seals Of Blackening (Michele Carnielli). L’album vede due collaborazioni, quella di Francesco Chimenti alla voce e ai violoncelli su Inner Forest e quella di Nicola Manzan agli archi su The Invisible Wall, Livor Mortis e Let It Down.
Dirty White King è il sesto album dei Captain Mantell e racconta una storia di ribellione estrema che conduce ad estreme conseguenze. Quella di una persona qualunque che prende una decisione, la porta a compimento e ne paga il prezzo.
L’album è un concentrato di suoni abrasivi e scuri, che riportano alla mente i gruppi grunge degli anni novanta.
L’apertura è affidata alla title track, che parte con un riff di chitarra acustica per poi svilupparsi attorno a sassofono e batteria ed esplodere in un ritornello potente, dove la voce di Tommaso Mantelli arriva a graffiare le orecchie di chi ascolta. The Invisible Wall si apre con un dialogo tra batteria e sax ed è uno dei brani meno scuri dell’album, quello che riporta più alla mente i dischi precedenti dei Captain Mantell. Stuck in The Middle Ages apre la strada ad un sound più doom, sonorità che raggiungono l’apice nella successiva Worst Case Scenario. Un tappeto scuro fa da sfondo alla lettura della poesia Alone di Edgar Allan Poe, intervallata da colpi violenti di chitarra. Con Blood Freezing facciamo un tuffo negli anni novanta, nel periodo del grunge più sporco e arrabbiato. Si arriva a Livor Mortis, episodio strumentale dove il suono ossessivo del sax la fa da padrone, alternandosi con l’intercedere potente della batteria. I suoni partono scuri per poi aprirsi verso la fine, come quando si trova una sorta di luce in fondo a un tunnel. Let It Down è il pezzo scelto come primo singolo, un mix perfetto tra il sound a cui il Capitano e la sua ciurma ci hanno abituati e le sonorità più potenti del nuovo corso. Ancora suoni scuri, stranianti per Inner Forrest, brano ipnotico e coinvolgente, con un finale dove la voce arriva arrabbiata, quasi disperata. Days of Doom è uno dei pezzi più cupi del disco. In the Dog Graveyard gioca sull’alternanza tra il suono scuro della strofa e l’esplosione del ritornello, mentre nella seguente Even Dead ritroviamo sonorità più rockeggianti. Il finale è affidato a And Nothing More To Come… Maybe, brano che si destreggia, ancora una volta, sul dialogo tra ombra e luce, tra doom e rock, e che presenta una lunga coda dal sapore pinkfloydiano.
Dirty White King è un disco energico, potente, sporco. Un lavoro che conquista brano dopo brano con i suoi riff potenti, che colpisce duro con le sue sferzate di batteria, che stranisce con i suoi suoni scuri. D’impatto, coinvolgente. Uno di quei dischi che, una volta entrato nello stereo, se ne impossessa per non lasciarlo più.

Credits

Label: Overdrive/Dischi Bervisti/Sotterranei/Cave Canem – 2017

Line-up: Tommaso Mantelli (chitarra, voce) – Sergio Pomate (sassofono) – Mauro Franceschini (batteria)

Tracklist:

  1. Dirty White King
  2. The Invisible Wall
  3. Stuck In The Middle Ages
  4. Worst Case Scenario/Alone
  5. Blood Freezing
  6. Livor Mortis
  7. Let It Down
  8. Inner Forest
  9. Days Of Doom
  10. In The Dog Graveyard
  11. Even Dead
  12. And Nothing More To Come… Maybe

Links: FacebookSito Ufficiale

Dirty White King – streaming [ANTEPRIMA ESCLUSIVA]

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