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Partire con l’intento di perdersi: intervista a La Bestia Carenne

intervista_labestiacarenne_IMG1_201411Arrivano dalla Campania e sono attivi dal 2011: parliamo de La Bestia Carenne. Il quartetto sta per pubblicare l’album d’esordio, Catacatassc’ che uscirà l’11 di novembre per l’etichetta BulbArtWorks.
Li abbiamo incontrati per farci raccontare da dove arrivano e come nasce la loro musica.

Partiamo con la più classica delle domande: chi è La Bestia Carenne? Da dove arriva?
Carenne è un carpentiere, un gigante dalla forza disumana. Grande bevitore con le mani di pietra e dall’aspetto mostruoso. Potrebbe battere chiunque a braccio di ferro, col minimo sforzo mentre ingolla una Peroni. I bimbi piangono, le donne svengono, gli uomini pulsano di vene al collo, ma basta lasciarlo passare. Arriva dall’estremo o dal profondo di qualcosa, poco rilevante se non per questioni anagrafiche. In ogni caso, chi più e chi meno, li ha cresciuti Napoli: Giuseppe Di Taranto, Antonello Orlando, Paolo Montella e Giuseppe Pisano sono la storia della bestia.

Siete attivi dal 2011, anno in cui avete prodotto il vostro Ep Ponte. Qual è il percorso che vi ha portato al 2014, ad incidere Catacatassc’?
Non ricordiamo proprio tutte le strade che abbiamo percorso. Senza contare che, in principio, siamo partiti proprio con l’intento di perderci. E ci si perde solo per tre motivi: se non si sa come arrivare, se non si sa dove andare e se si incontra una donna.
Questa è una risposta a effetto. Ce ne deve essere sempre una in ogni intervista.

Il vostro album ha un sound particolare, pieno di contaminazioni e, a tratti, con un sapore vintage. Quali sono le vostre fonti d’ispirazione dal punto di vista musicale?
intervista_labestiacarenne_IMG2_201411Facciamo ascolti molto eterogenei tra loro, non abbiamo un vero e proprio guru ispiratore. Non abbiamo idoli, questo è sicuro.
Troviamo molte difficolta anche a inquadrarci in un genere musicale. In Catacatassc’ cambiano ritmi, intenzioni e contaminazioni di brano in brano. La matrice, il macro-genere d’appartenenza resta comunque quello pop.
Il sapore vintage sarà sicuramente dovuto al modo in cui registriamo. Facciamo tutto da noi, in economia e con una strumentazione non molto all’avanguardia. Il risultato però ci piace molto e ci dà soddisfazione. Senza contare che il senso dell’indipendenza dovrebbe essere anche quello di poter dilazionare nel tempo (nel rispetto dei propri ritmi) ciò che non riesci a riprodurre una tantum coi soldi (se non tieni soldi e se non vuoi darne conto a nessuno). Questo sì che è vintage!
Il sound è studiato per bene. Crediamo sia proprio quello a dare corpo a un lavoro eterogeneo come Catacatassc’. Non è stato facile saltare dalla milonga, al country, al rock’n’roll mantenendo la stessa anima e il nostro carattere.

Il titolo del vostro album vuol dire “lucciole”. In che modo le suggestioni regalate dalle luci intermittenti di questi insetti hanno influenzato il vostro disco?
Eravamo a Ponte, in provincia di Benevento. Lì, dove sono terminate le registrazioni del nostro primo Ep e dove sono cominciate quelle di Catacatassc’. Luci spente. Dai monitor in studio suonavano i Kraftwerk. Una lucciola scappata dal prato s’era posata sul soffitto e incredibilmente si illuminava ritmicamente a tempo con la musica.
Le castacatasce sono quelle duemila lucciole che vedevamo ogni notte illuminarsi nel boschetto vicino casa. Sono il tempo, il tempo della notte, la sua manifestazione naturale (una natura molto più artificiale di quanto si possa credere). Proviamo a rispettare quanto più possibile il tempo delle cose bilanciando in un soddisfacente equilibrio le nostre volontà, le possibilità, le nostre capacità e i nostri bisogni.
Le lucciole insomma, sono il nostro percorso.

Se doveste descrivere Catacatassc’ con un quadro quale scegliereste e perché?
Sulla copertina del disco c’è un’opera di Adriana Caccioppoli che s’intitola per l’appunto “catacatassc’”. Se non quel quadro, non sapremmo cosa rispondere.

Parlateci del video di Una macchina trasversale: guardandolo è inevitabile che torni alla mente il cinema di Sergio Leone, dei famosi spaghetti western. Da dove è nata l’idea?
intervista_labestiacarenne_IMG3_201411Durante le prime registrazioni, su Una macchina trasversale gli arrangiamenti hanno involontariamente preso un taglio molto western. Quando poi l’influenza diventò palese (alle nostre orecchie oltre che alla nostra pancia) cominciammo a prenderci gusto: riff e chitarre alla Morricone, cori polifonici a bocca chiusa, scacciapensieri e colpi di fucile. La situazione ci sfuggì di mano e ci divertimmo parecchio. Lì è nata l’idea di girare un western in bicicletta. Col passare dei giorni la canzone ha assunto un aspetto meno in stile e si è accomodata su arrangiamenti meno wild. L’idea del video è però rimasta e dopo un paio di mesi, finite le registrazioni di Catacatassc’ (era un caldo mese di dicembre), abbiamo deciso di realizzarlo. Simone Montella, Gennaro Visciano e Pasquale Daniele l’hanno poi messo in opera.

Il 25 ottobre avete iniziato a presentare Catacatassc’ anche dal vivo: cosa ci dobbiamo aspettare dai vostri live?
Il nostro è live molto punk. Ci abbiamo pensato parecchio e questa è la conclusione: è un live punk! E’ sporco, feroce, energico e molto promiscuo. Distorsioni a parte.
Ai nostri concerti finirete per baciarvi con la persona che vi sta accanto. Consigliamo in genere un abbigliamento adeguato, ai nostri concerti ci si deve poter spogliare molto facilmente.

Una macchina trasversale – video

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