Home / Editoriali / Ogni resistenza è un atto d’amore: intervista a Massimo Conte (Katsushiro Perso Nel Bosco)

Ogni resistenza è un atto d’amore: intervista a Massimo Conte (Katsushiro Perso Nel Bosco)

KPNB_inter01LostHighways vuole presentarvi il disco d’esordio dei Katsushiro perso nel bosco e non c’è modo migliore per descrivere un album che condividerne impressioni e idee con gli autori. In particolare in questa occasione è Massimo Conte, leader della band, a raccontarci come è nato questo lavoro.
Ringraziando i Katsushiro per la disponibilità, lasciamo che la densità delle loro parole vi facciamo venire voglia di ascoltare questo disco che vi anticipiamo con l’anteprima streaming di Tifiamo rivolta, primo singolo estratto.

Tifiamo rivolta è il brano che apre il vostro disco. E posso dirvelo? Non poteva che essere così. Ho percepito fin dal primo ascolto che questa canzone rappresenta una sorta di manifesto della vostra idea di musica. Non solo qualcosa che si può ascoltare in solitudine ma sopratutto un mezzo di aggregazione. Tifiamo rivolta mi è sembrata un invito a smetterla di trovare giustificazioni e a mettersi finalmente ad urlare, a ribellarsi ad uno stato di cose che ci vuole sempre più chiusi nel nostro orticello. È così?
In buona sostanza è così. La nostra generazione ha vissuto la disillusione di quelle precedenti e non ha saputo trovare strade e modi per reagire a quella che a me appare come una sconfitta cocente. Per chi, come noi, ha avuto il sogno e il desiderio di un futuro diverso dal presente che viviamo l’amarezza nasce anche per l’eredità che lasciamo ai nostri figli. Ci siamo talmente ripiegati nei nostri piccoli mondi privati che abbiamo costruito una società frammentata, atomizzata. Sopportiamo male i piagnistei di chi cerca sempre giustificazioni o ha sempre bisogno di rintracciare le responsabilità di qualcun altro. Il brano parla di questo, dell’esigenza di assumersi nuovamente la responsabilità della rivolta politica, certamente, ma ancora prima esistenziale. Se vuoi, ci sono più Camus, con il suo uomo in rivolta, o Fanon, con l’analisi del dominio, che non la retorica del ’77.

Sia in questo primo brano sia in Considerazioni sulla crisi contemporanea, accanto alla lucidissima analisi della situazione attuale c’è sempre una grande speranza. La consapevolezza del presente non diventa mai sterile critica, ma è piuttosto il punto di partenza per una rinascita. Da cosa si può ripartire per ricostruire un futuro migliore?
Non credo di avere una risposta vera, non ho un manifesto da lanciare per sostituire le parole d’ordine che non funzionano più. Credo, però, che occorra ricominciare a costruire legami tra le persone, ridare valore all’idea di fare parte di comunità fondate sul riconoscimento reciproco. Occorre questo e occorre tornare a dare valore al conflitto. Mi fa paura la nostra società perché è, in larga parte, pacificata verso lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e ha normalizzato l’ingiustizia sociale. Una delle frasi che stiamo usando per promuovere il disco è “ogni resistenza è un gesto di amore”. Tifiamo rivolta e Considerazioni provano a dire che occorre riprendere a resistere e a confliggere per l’umanissima esigenza di affermare pienamente la nostra umanità. Ecco, io credo che occorra ripartire da questo. Come diciamo al termine dei concerti: ama la vita e odia il fascismo. Fascismo inteso non solo come una realtà storica, ma come ogni forma di dominio sull’uomo.

Nel testo di Katsushiro perso nel bosco avete inserito dialoghi tratti da I sette samurai, uno dei film più famosi di Akira Kurosawa. Questo mi ha fatto venire in mente una serie di domande… la prima è abbastanza scontata: perché proprio Kurosawa e perchè I sette samurai?
I sette samurai a me appare come un meraviglioso romanzo di formazione. La storia di Katsushiro, una delle tante raccontate nel film, è questa. Katsushiro si unisce a Kambei per diventare un samurai, un uomo di armi che si mette a disposizione del potere e di una scala di valori che esalta la gerarchia. Incontrando i contadini del villaggio, che chiedono la protezione dai banditi, e incontrando l’amore di Shino scopre sentimenti e valori diversi che lo portano a schierarsi dalla parte della liberazione e non del dominio. Io non sono uno studioso di cinema, quando guardo un film ragiono molto con la pancia. C’è questa scena che precede l’incontro tra Katsushiro e Shino in cui Katsushiro si lascia cadere a terra, in un bosco bellissimo: ecco ho sempre invidiato quella scena perché vorrei provare anch’io quella sensazione di casa, sereno e in pace con me stesso.

La seconda domanda è invece più tecnica. Come è nata l’idea di creare un testo con parti dialogiche di un film?
Di getto. Ero su un treno Roma-Milano e guardavo il film. Mi sono fermato e mi sono detto che volevo mettere insieme una band, che l’avrei voluta chiamare Katsushiro perso nel bosco e che questa sarebbe stata la nostra prima canzone. Così mi sono messo a trascrivere pezzi di dialogo per trovare una struttura narrativa. In realtà nella canzone c’è molto più di questo. Io lavoro nel sociale e in quel periodo con i colleghi della mia cooperativa ci stavamo occupando di bande latinoamericane, di giovani che vivono la strada con la rabbia e la violenza che la contraddistingue. Le frasi iniziali della canzone parlano di questo, trovando nella metafora cinematografica un modo per rendere universale la mia esperienza. Una parte del testo, la strofa che recita “Eppure conviene restare senza dolore, pronti a soffrire la fame e ogni altro tormento, bisogna fare tacere pure anche il cuore di madre” è un libero adattamento di E per la strada, un canto di lotta dei primi del ‘900. L’idea è di tracciare un filo rosso che leghi diverse esperienze di resistenza.

Per la produzione del disco vi siete affidati a Giuliano Dottori. Come mai avete pensato a lui? Quanto è stato importante per la realizzazione dell’album?
Per me è stato naturale sceglierlo e proporlo agli altri. Giuliano ha scritto alcune delle canzoni più belle e intense degli ultimi anni, canzoni che mi hanno colpito perché sembravano parlare di una parte di me: Tenersi stretto un ricordo, Le cose semplici, Lontanissimo da qui. Mi sembra anche che abbia cercato di avere una propria cifra stilistica, molto internazionale e lontana dal provincialismo di molta musica italiana. Insomma, quando ho scoperto su internet che aveva uno studio a Milano per me è stato immediato mandargli una prima mail esplorativa. Per definire la presenza di Giuliano nel disco userei due aggettivi: rispettosa e decisiva. Giuliano ha accettato la nostra idea di registrare in presa diretta, ha accettato la nostra irruenza e imprecisione, dicendo di noi che siamo un gruppo punk e che come tale andiamo trattati. È stato molto attento a valorizzare quei tratti musicali a cui siamo più legati e i contenuti che per noi hanno valore, sin dalla scelta dei brani da mettere in scaletta. Contemporaneamente, però, è stato un produttore che sapeva dove voleva portarci e quale tratto personale dare alla sua produzione. Oltre a questo è stato un nostro prezioso sostenitore: ha fatto l’attore nel mockumentary realizzato per la campagna di raccolta fondi, è stato un nostro raiser (anche se il taglio di capelli che ha preso come ricompensa su musicraiser non lo ha mai usato), ha suonato e cantato con noi. Su Giuliano, però, non sono imparziale. Apprezzavo il musicista e il produttore, ma apprezzo ancora di più la persona. Ci fosse un fan club vorrei avere la tessera numero 1.

KPNB_003Vorrei parlare di due brani secondo me molto legati tra di loro, Prometeo su Dresda e ThyssenKrupp. A legarli c’è sicuramente il loro essere canzoni di denuncia, della guerra e della crudeltà dei bombardamenti la prima, di una colpevole strage sul lavoro la seconda. Entrambi i brani inoltre raccontano le rispettive storie dall’interno, dal punto di vista di chi le ha vissute. E qui però divergono… Nel primo caso a parlare è chi bombarda, nel secondo è chi muore. Carnefice e vittima. Come sono nate queste canzoni?
A me interessa raccontare storie che parlino di noi, che abbiano la possibilità di usare la storia per toccare temi universali. Ne abbiamo suonate altre che usano lo stesso approccio: il lavoro sui documenti, sulla memoria storica per trasformare, in forma poetica, un evento in un tema universale. Abbiamo scritto canzoni su militanti dell’estrema sinistra, sulle lotte in Fiat, sulla strage nazista di Sant’Anna di Stazzema. L’approccio è sempre questo: dai testi e dai documenti alla poesia e alla canzone. Prometeo è un brano che ha messo in difficoltà gli altri dei Katsushiro e Giuliano. Parla di morte e distruzione, ma ha un andamento gioioso, quasi surf. Questo perché si mette nei panni di chi ha vissuto gli effetti del bombardamento angloamericano di Dresda come il trionfo della propria tecnica. Un piano meraviglioso e perfettamente riuscito, che ha innovato il concetto stesso di guerra aerea. Bauman, un sociologo di origini polacche, parlando del ‘900 parla della sindrome del giardiniere: il trionfo della tecnica che porta alla selezione della razza, alla distruzione mirata, alla neutralizzazione delle responsabilità. Il trionfo della tecnica e la neutralizzazione delle vittime ci sono anche in ThyssenKrupp, una canzone che racconta del rogo del dicembre del 2007 che costò la vita a sette operai. Tecnica a servizio dello sfruttamento e del profitto, ignorando le vittime.

Ascoltare ThyssenKrupp non è stato facile, ma credo che anche questa canzone sia un invito a non abbassare la testa, a partecipare, a non voltarsi dall’altra parte solo perché non è successo a noi. Secondo voi, nella scena musicale italiana ci sono altre band, altri artisti con lo stesso coraggio di denunciare e di parlare di un fatto di cronaca così grave?
ThyssenKrupp
è il racconto delle vittime, nasce dalle carte del processo, dai verbali delle audizioni dei sopravvissuti e dei soccorritori. È difficile da ascoltare, da cantare e da suonare, ma mi pare una canzone necessaria. È necessario che sia scritta in prima persona, “sono il corpo che brucia”, perché chiede di immedesimarsi, di calarsi nel dolore e nella paura, di provare empatia. Lo schierarsi dalla parte delle vittime è fatto di emozioni, non solo di ragionamento. La lucidità dell’analisi deve andare di pari passo con la forza del cuore. Nella mia idea della nostra musica noi non facciamo canzoni di denuncia. Piuttosto, tanto nelle canzoni più personali e intimiste quanto in quelle più sociali, cerchiamo di parlare della condizione umana evitando il linguaggio e la retorica della canzone di denuncia. Certo, molta musica indipendente italiana oggi parla dei propri mondi, ma non siamo gli unici a proporre canzoni fatte di impegno: la lista potrebbe essere lunga. C’è gente che lo ha fatto prima di noi e gente che lo farà dopo di noi.

Il vostro disco è anche pieno di citazioni, letterarie e poetiche. Penso a Boris Vian citato in Chas, e a Stig Dagerman omaggiato in Katsushiro perso nel bosco e in CF. Entrambi scrittori morti prematuramente e con una vita non semplicissima. Due scrittori che hanno parlato d’amore. L’amore può essere la strada per la rivolta?
Sì, a patto di intendersi sulla parola amore. Non parliamo dell’amore romantico, io non ne sono in grado. L’unico modo che ho avuto per parlare di amore è stato quello di parlare di mio fratello, Chas è lui. Nei nostri testi quando parliamo di amore è per descrivere l’esigenza di affermare la propria umanità nell’incontro con l’altro da sé, come ricerca della libertà. C’è un testo bellissimo di Dagerman che si intitola L’uomo che ama e che termina così: “Se i pianeti potessero amare uscirebbero dalle loro orbite e sarebbe il caos. La sopravvivenza dell’universo è garantita dal fatto che l’amore è impossibile. Anche l’uomo che ama ha il presentimento che l’amore sia fratello della morte. Ma questo non gli impedisce, lui prigioniero della sua orbita, di aprirsi una breccia fino alla cella del vicino, gridando di gioia: Sono libero!

I vostri riferimenti intellettuali sono molto chiari nei vostri testi. In parte anche quelli musicali… il primo nome che mi è venuto in mente è quello dei Massimo Volume. Ma vorrei foste voi a raccontarci cosa vi ha ispirato ma anche più semplicemente che cosa ascoltate.
È da quando suono che quello che faccio è paragonato ai Massimo Volume. Ai tempi della mia prima band seria, gli spezzini Jumpin’ Cherries, le recensioni dei nostri dischi li citavano sempre. Francamente, stimo molto Clementi e soci, ma non sono mai stati un mio ascolto o un mio punto di riferimento. Ai tempi della prima recensione in cui il mio recitato veniva paragonato ai Massimo Volume non c’era internet e non c’era Spotify. Per scoprire che musica facessero ho dovuto aspettare che amici di amici mi facessero sentire una cassetta. Oggi che al recitato affianco il cantato sento il paragone ancora meno pertinente. Io ascolto cose molto diverse tra loro. Alcuni sono ascolti che mi porto dietro da anni: i Joy Division (sempre e per sempre), Nick Cave, PJ Harvey, i Beatles, i CSI. Altri sono ascolti recenti: John Grant, Patrick Watson, i Wilco. Tra gli italiani i Verdena, i Diaframma, alcune cose di Giorgio Canali. Ho amato molto il primo disco di Colapesce e il primo disco de Le Luci della centrale elettrica. Insomma, un fritto misto che non so quanto influenzi il mio modo di scrivere o il mio modo di suonare. I miei compagni di viaggio sono più colti: jazz, fusion, funky, musica classica. D’altronde, loro sono musicisti veri. Io sono un fabbro.

Milano è protagonista di Paesaggio di un qualunque lunedì. Vivo anch’io a Milano ma non sono milanese. Mi capita spesso di sentire dire che Milano è una città brutta, fredda, dove si corre e basta. In parte è vero, in parte, secondo me, no. Voi come vivete la città? Cosa pensate?
Ognuno di noi potrebbe darti una risposta diversa. Tre quinti della band (io, Cesare e Alberto) non è milanese. Ti dico di me, visto che i testi sono miei ed è mia la responsabilità del modo in cui descriviamo il mondo. Per me, nato a Salerno e cresciuto a La Spezia, ambientarmi a Milano è stato difficile. Io sono arrivato a Milano per scelta, per vivere con la mia compagna. Eppure, mi mancavano l’aria, l’orizzonte, il mare, la bellezza naturale, la dimensione della piccola città. Milano mi è sempre sembrata non solo brutta, ma cattiva e distante. Ne Il paesaggio di un lunedì qualunque dico “questa è la città che accoglie e protegge la santa signora del distanziamento“. Per anni ho fatto fatica a farmi amici e a costruire delle mie radici. Poi, sono arrivate le mie figlie; ho fondato con amici Codici, la nostra cooperativa di ricerca e di intervento in campo sociale; ho messo in piedi i Katsushiro; ho iniziato a occuparmi del posto in cui vivo. Una volta una signora dominicana mi ha detto che arriva il momento in cui bisogna appropriarsi dell’asfalto che si calpesta. Ecco, io me ne sono appropriato, ma continuo a non pensare a Milano come casa mia. Una delle canzoni nuove che stiamo provando in vista del prossimo disco si intitola Milano non esiste e il verso finale dice: “Guardo il traffico in silenzio pensando alla fortuna che ho avuto a crescere in una città affacciata sul mare”. Continuo a portarmi dietro queste origini, anche se, come tutti i migranti, sento di non appartenere veramente a nessun luogo. Pezzi di me sono sparsi un po’ in giro.

KPNB_inter002Un’ultima curiosità. Perché titolo del disco e nome della band coincidono?
Ti dico almeno tre motivi. Il primo è che volevamo che fosse una festa per noi, quindi che avesse il nostro nome. Per me è un modo per ringraziare i miei compagni di viaggio: Alberto, Cesare, Giorgio e Leo. Nei loro confronti nutro un senso di profonda riconoscenza perché danno corpo e struttura alle mie idee musicali e ai miei testi. Il secondo motivo è che volevamo un titolo che rappresentasse l’insieme delle canzoni senza definire una chiave di lettura. Il terzo è che anche tutti gli altri dischi si intitoleranno così. Insomma, perché quello che conta è il collettivo. Certo che da questa intervista non usciamo proprio come la band pop da chiamare alle feste di paese. Amen!

Il disco dei KPNB è stato finanziato con una campagna di raccolta fondi, in parte avvenuta in collaborazione con MusicRaiser. Proprio perché per i KPNB la musica è un prodotto collettivo e pubblico, il disco sarà distribuito con licenza Creative Commons a partire dal 20 Settembre.

Tifiamo rivolta – Streaming

Ti potrebbe interessare...

kamasi_washington_2024

KAMASI WASHINGTON annuncia il nuovo album “Fearless Movement”

KAMASI WASHINGTON ANNUNCIA IL NUOVO ALBUM FEARLESS MOVEMENT IN USCITA IL 3 MAGGIO SU YOUNG …

Leave a Reply