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Un songwriter moderno e senza tempo: intervista a Nick Talbot (Gravenhurst)

Nick Talbot aka Gravenhurst arriva con un nuovo disco.  Si sentiva fortemente la mancanza del songwriter di Bristol, del suo modo di scrivere canzoni in equilibrio perfetto tra attitudine folk alla Nick Drake e incursioni shoegazing alla My Bloody Valentine. Ci mancava il suo mood cupo tendente alla trascendenza della memoria del tempo perduto, quasi come se l’effetto nostalgico della vecchia polaroid venisse importato in musica.  Il suo nuovo disco The Ghost in daylight è stato un magico ritorno e noi siamo stati particolarmente orgogliosi di approfondirlo in questa lunga e densa intervista.

Quali sono le principali differenze tra i tuoi precedenti lavori e The Ghost in daylight? Possiamo dire che hai raggiunto uno straordinario equilibrio tra le tue diverse attitudini (folk, dream-pop, shoegaze, post-rock) in questo ultimo disco?
Un disco non sempre è influenzato da sole scelte artistiche, alcune volte vi sono dietro anche decisioni di natura pratica. Per esempio con Fires In Distant Buildings avevo avuto pochi soldi dalla Warp, che mi costringeva a poter spendere poco tempo in uno studio di registrazione professionale. Il brano Down River è stato scritto nel 1996, ma l’ho custodito nel cassetto perché era un pezzo rock ed era necessario registrarlo in uno studio professionale (tu puoi realizzare album folk a casa, ma per quelli rock non è ugualmente  facile!). Mentre Fires In Distant Buildings è stato registrato nel 2005, include canzoni scritte tra il 1996 e il 2005, quindi qualche brano è stato registrato nel Toybox Studios (Down River, The Velvet Cell), qualche altro completamente a casa (Nicole, Cities Beneath The Sea) e qualche altro è stato registrato parte nello studio e parte a casa (Animals, Song From Under The Arches). Ti sto dicendo questo perché spesso dischi che sembrano caratterizzati da un suono coerente non è detto che siano nati in un breve periodo e le decisioni che vi possono essere dietro non è detto siano esclusivamente di natura artistica. Anche The Ghost In Daylight è stato ispirato da poche decisioni pragmatiche. Io volevo realizzare un disco da portare live da solo o con una band. Negli ultimi quattro anni ho suonato molto da solo e volevo mantenere questa flessibilità. Ho smesso di suonare con la band perché mi sono accorto che stavo iniziando a perdere la voce nel tentativo di superare i suoni più alti e fragorosi, così ho voluto realizzare un disco che non danneggiasse la mia voce! Volevo anche che suonasse filmico, perchè la mia musica è stata scelta in alcune colonne sonore di film e siccome mi piacerebbe realizzare una soundtrack una volta spero che questo aspetto più filmico del mio suono  mi faccia guadagnare un’offerta di lavoro in questa direzione. Ho realizzato questo disco in maniera consapevole nel voler ritornare al noisy-ambient (tipo Flying saucer Attack), influenzato dai suoni folk di Black Holes In The Sand, perché questa è la mia “zona musicalmente confortevole”. Ho voluto registrare la maggior parte del disco a casa perché volevo che fosse frutto di un’atmosfera intima, senza l’ansia dell’orologio e del costo dei tempi spesi in uno studio professionale. Certamente ho registrato le parti di batteria e qualche chitarra per The Prize al Toybox Studios, perché avevo bisogno di suoni professionali. Ho scelto Dave Collingwood per registrare la parte di batteria e Ali Chant per ingegnerizzarla. Ali Chant aveva ingegnerizzato tutte le parti di Fires In Distant Buildings al Toybox (è un grande ingegnere del suono ed un grande produttore). Ha contribuito molto al suono del disco. Dave è una leggenda della batteria. Volevo fortemente questa accoppiata per realizzare il suono della batteria di The Prize. Ho voluto anche far suonare la parte di archi al mio caro amico Paul Jebanasam. Abbiamo speso un po’ di soldi per un solo brano ma alla fine è un grande pezzo con un grande suono

Un mood nostalgico sembra trasparire dall’ascolto di The Ghost in daylight. Sembra esserci una ricerca di trascendenza a partire dalla memoria di eventi passati…
Non sono sicuro dell’accezione nostalgia, si utilizza spesso il termine nostalgia per indicare la tendenza a rendere sentimentale e idealizzare il passato. Io uso punti di riferimento culturali del passato, di un passato di cui non ho esperienza diretta, risalente al XX secolo, tipo a Londra (per esempio, in Fitzrovia). Spero, però, di rendere qualcosa di più di una semplice presentazione di un quadro nostalgico, perché una delle mie ossessioni legate al passato sono quelle storie nascoste, dove tempi, luoghi ed eventi apparentemente scollegati svelano misteriose connessioni. Più si guarda a queste connessioni più le si trova, ma più ci si perde in un mondo di creazione propria. Bisogna stare attenti a non vedere solo ciò che si vuole vedere. Mi piace l’idea che il paesaggio fisico assorba le emozioni delle vicende umane che si svolgono in esse, tanto che per un lungo periodo di tempo la stessa geografia tende ad avere una psicologia propria, con i suoi cicli di umori, paure, ricordi, abitudini. Qualcuno una volta ha descritto questo approccio come il “perdersi in una stanza piena di mappe”. Mi piace l’idea, spero che i miei testi si muovano in tal senso. Voglio fare ogni canzone così potente, così piena di segni, indizi e suggerimenti che si ritagli il proprio posto nel mondo fisico. Penso che è possibile plasmare opere d’arte che poi diventano concrete, esseri viventi, se sono creativamente abbastanza potenti. Si tratta di una specie di magia rituale. Il mio processo di scrittura è simile ad una sorta di rituale magico molto privato, non voglio mostrare a nessuno il processo, ma se ne può vedere il risultato finale. Non mi piace la gente che scruta i miei quaderni, perché non voglio che nessuno sappia come sono arrivato al risultato finale. I quaderni sono pieni delle prime versioni, delle prime bozze. Penso che se la gente conoscesse il processo creativo si perderebbe un po’ della magia.

E io che volevo chiederti di raccontarmi come è nata The Prize! Ritengo sia perfetta.
ll modo di presentare canzoni, registrate nelle loro versioni definitive su un album, le fa sembrare distorte, come se fossero state create completamente in un sol colpo, ma non lo sono. Finché la gente vede solo il risultato finale, e non il processo creativo che ho vissuto, permane intatta l’illusione! Penso che sia importante che la gente non sappia molto del processo, perché distrugge una parte del mistero, come ti spiegavo prima. Comunque, a monte di una canzone c’è tantissimo lavoro, ma di solito inizio con una frase o due che ho sentito in un film o letto in un libro e che suggerisce altre idee. Io scrivo spesso prima il titolo di una canzone che quindi mi suggerisce alcune idee per i testi. I testi suggeriscono uno stato d’animo musicale. Si passa solitamente attraverso molte, molte bozze prima che tutto sia finito. Ho suonato The Prize in molti live per tre anni prima che registrassi la versione album, questo brano si è sviluppato proprio attraverso questo processo. Esistono diverse versioni, una versione molto preliminare per una compilation Toybox Studios, alcune registrazioni dal vivo da solista, una versione più acustica che era una rivale di quella che è finita sull’album, ma poi ho preferito la versione più completa. Quella versione acustica sarà probabilmente in un b-side ad un certo punto. Ci sono circa sei canzoni che non ho inserito nell’album. Quindi ci sono alcuni buoni b-sides da far uscire!

Come puoi definire il tuo approccio con la musica elettronica?
Io non presto attenzione alle divisioni tra musica elettronica e acustica quando sto creando musica, perché queste divisioni sono artificiali e sono create per ragioni pragmatiche, ad esempio, per aiutare le persone a trovare la musica che potrebbe piacere in un negozio di dischi, ma da un punto di vista creativo non sono rilevanti. Ho sempre usato gli organi e i synth sui miei album, ma in questo album li ho portati in primo piano. In un primo momento non sapevo che Islands sarebbe stata una traccia “Gravenhurst”, io stavo solo facendo una bella cosa ambient strumentale, magari anche solo un mio esercizio-progetto, una lunga esecuzione ambient che ho messo su da anni è su Bandcamp, se si vuole verificare! L’ho inviato a Michelle, il mio manager ed è piaciuto molto. Poi mi sono trovato a canticchiarci sopra e ho pensato di unire alcune voci sino a farlo diventare un brano “Gravenhurst”. Ho pensato che avere una traccia elettronica accanto alle canzoni più puramente acustiche che ho registrato (Peacock in prima versione era basata solo su chitarra acustica solista strumentale) sulla carta non poveva funzionare, ma suonava bene per me, e nessuno poi ha rilasciato commenti negativi. La Warp e tutte le persone coinvolte hanno ritenuto che le tracce scorressero insieme coerenti. Solo un paio di critici non sono stati così sicuri, ma mi hanno trattato bene. Credo che avere la mia voce come costante artistica aiuti a creare questa fusione, questa organicità. Penso che voler categorizzare la musica in base agli strumenti utilizzati per farla sia totalmente artificiale. Le categorie per la musica hanno più senso e sono più utili quando si evolvono da ambienti umani e movimenti.

Il suono di The Ghost in daylight per qualche canzone come Islands sembra ispirato da Brian Eno e Robert Wyatt. Cosa pensi di questi due artisti?
Brian Eno è un’influenza massiccia su questo album, ho ascoltato i suoi album ambient costantemente nel corso degli ultimi 4 anni. Un’altra influenza di questo album è Burial, anche se certamente non è così ovvio, ma c’è quel suono ambient in comune, io amo i rumori e i disturbi di Burial, e mi ricorda i rumori del 4-tracce dei Flying Saucer Attack. Robert Wyatt non lo conosco abbastanza, ma per quel poco che ho ascoltato mi piace, un artista che sto solo aspettando di approfondire davvero. Ha fatto un sacco di dischi e so che mi innamorerò. Lui è sulla mia lista delle “prossime grosse ossessioni”!

Tu hai tenuto un concerto nella chiesa St Pancras Old a Londra. Come hai vissuto questa particolare esperienza live?
E’ stato incredibile. Rachel, che è nel nuovo Gravenhurst Ensemble, ha cantato con me su quattro canzoni. “Armonizzare” in una chiesa è stata un’esperienza incredibile. Nella mia band Rachel canta e suona il basso e le tastiere, e Claire canta e suona le percussioni. Ho avuto armonie vocali su tutti i miei album, ma non le avevo mai avute nelle versioni live, e le volevo assolutamente per il tour di questo album. Ho conosciuto Rachel e Claire perché stavano suonando come supporter della band di Paul Smith (Maximo Park) per il suo album da solista. Rachel era in armonia con Paul e il tutto suonava veramente bello. Così l’ho voluta nella mia band, anche se vive a Newcastle, l’altra estremità del paese! Abbiamo chiesto a Claire di suonare la batteria, e poi ha iniziato a cantare con noi, quindi abbiamo tre parti in armonia ora! E ‘una cosa stupefacente da vivere, cantare in armonia.

Quale canzone della tua intera discografia preferisci e perchè?
E’ troppo difficile sceglierne una preferita. Sceglierò una canzone da ogni album (salterò Internal Travels, mio album di debutto, perché è abbastanza mediocre). Da Flashlight Seasons mi piacerebbe prendere Hopechapel Hill che tratta di di lutto, la perdita del mio amico Luke che è stato ucciso da un automobilista spericolato, e tratta anche della mia epilessia, e come mi rende vulnerabile. Il brano omonimo da Black Holes In The Sand, del cui testo sono davvero orgoglioso. Quando ero bambino ero solito avere incubi in cui il mondo intero veniva dilaniato ed io ero il responsabile. Il verso “I held the hand that threw the stone that killed the bird that woke the city” riassume quella catena irrazionale di responsabilità, la miccia scatenante. Da Fires In Distant Buildings‘ sceglierei Nicole. Sono particolarmente orgoglioso del secondo verso in quella canzone. Il verso “I want to jump but if you’re pushing me, i’ll hold on tightly” strettamente riassume la lotta per il potere nelle relazioni disfunzionali. Se prevedi di lasciare qualcuno, e quella persona ti scarica prima, quell’atto non è altro che un tentativo di quella persona di prendere il controllo della situazione, in questo senso la farebbe sembrare più attraente e quindi capace di mantenere a galla la storia. Da The Western Lands sceglierei è il Grand Union Canal. E’ il miglior pezzo di chitarra che io abbia scritto. L’ho suonato sempre da solo nei bis ed è un po’ appariscente causa la sua complessità, ma è melodicamente molto soddisfacente. La versione album è stata la migliore performance di me e Dave insieme, si respirava un’atmosfera quasi telepatica. Dall’ ultimo album seleziono The Foundry. Sono orgoglioso del fatto di aver scritto di un argomento molto serio e di averla fatta franca! La seconda strofa in particolare. Si inizia con una citazione adattata di Heinrich Heine: “If you let them burn books you’ll let them burn bodies”, poi l’ho portato avanti con “the man with the match could be anybody/a uniform changes something inside/holding a gun makes you feel so alive/and everyone else is doing it too it’s alright”. Si tratta dell’abdicazione di responsabilità che può prendere forma quando adottiamo ruoli sociali, in particolare i ruoli che comportano un livello di autorità. Le persone vogliono fare il loro lavoro bene, ma spesso in questo desiderio non sono più esseri pienamente umani, eticamente consapevoli. Ho rispetto per le forze armate, per i soldati, ma mi rendo conto che per fare il loro lavoro, devono mettere consapevolmente da parte la loro bussola morale e prendere gli ordini senza discutere. Alcuni tipi di persone sono felici di farlo, altri semplicemente non possono. Mi chiedo come sarebbe diverso il nostro mondo se fosse solo composto da persone che non possono.

Qual è l’ultimo disco che hai comprato e che ti è piaciuto?
L’omonimo album di debutto degli A Place To Bury Strangers, ed è fantastico! Come gli  Spacemen 3 ma fottutamente più veloci! Spacemen 3 incontra Sonic Youth. E’ un disco tremendamente eccitante. Mi piacerebbe vederli dal vivo, il mio amico Nat che sta con la Sonic Cathedral, un’etichetta e night club, li ha portati a Londra e mi ha detto che il loro suono era così forte da essere quasi “doloroso”. Li ho scoperti perché, dopo uno spettacolo a Marsiglia, un ragazzo mi ha avvicinato e mi ha chiesto di firmare un disco e poi mi ha parlato di questa band, e mi ha detto che pensava mi sarebbero piaciuti. Aveva ragione! Quindi grazie a lui. Gli A Place To Bury Strangers hanno fatto un altro paio di dischi che ho intenzione di comprare presto.

The Prize – Video

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