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Dialogo di un’innamorata delle parole e di un fotografo gentile. Amalia Dell’Osso e Claudio Del Monte

Si incontrano ad un tavolino di un bar nel centro di una qualunque città lo voglia. Non hanno un appuntamento ma sanno di cosa parleranno. Lei prende appunti sulla musica che sa chiamarla per nome, lui sceglie le foto degli spazi ,dei volti, delle mani che la musica sa abitare. Sono due appassionati che entrano e escono da un mondo che suona di bellezza, intensità, nudità e dedali di contraddizioni, quello dell’indie nostrano (e non solo). Osservano entrambi, l’una racconta con le parole, l’altro con le immagini. Si ritrovano a scambiarsi pensieri e domande sulle prospettive che conoscono. Così, per capire in leggerezza se in fondo ha senso. La Purezza può saltare nel vuoto! (Foto di Claudio Del Monte – www.frammentisimili.it: soggetto 1 Claudio; 2 Fabrizio Coppola; 3 Moltheni)

Cosa vuol dire per un fotografo puntare l’obiettivo su un palco?
Il concerto è luogo dove chi compone musica si mette in confronto con il pubblico, porta “in scena” lo spettacolo, aggiunge l’elemento visivo e il contatto che permettono all’ascoltatore di superare l’ascolto soggettivo e passare all’evento collettivo. C’è energia ad un concerto, che è qualcosa che non è riproducibile in studio, sono sempre deluso da chi porta live le stesse identiche note incise sul disco. Credo che le canzoni siano vive a loro modo, mutino, si muovano, e bisognerebbe assecondarle e far sì che arrivino nuove (ma autentiche) anche a chi ha già consumato di ascolti il disco, ed è ovviamente il luogo migliore per “vivere” il progetto musicale e ritrarre il proprio punto di vista, il proprio valore aggiunto.

Lo penso anch’io. Del resto nulla è uguale a nulla. Nemmeno una canzone e le sue “rappresentazioni”. La scena che osservi è in fieri. Uno scatto quanto coglie di quel movimento? E’ esso stesso movimento evocato?
La fotografia viaggia su un equilibrio molto leggero. La distanza che separa una fotografia perfetta, una buona fotografia, e uno scatto mancato può dipendere davvero da minimi particolari, sta tutto nel comporli nel modo giusto, uno sguardo, un movimento, congelarlo o lasciarlo fluire, quando tutto riesce alla perfezione, per me uno scatto sa raccontare un intero concerto.

Che tipo di concerto ti piace avere davanti? Raccontami il set perfetto!
Innanzitutto il set perfetto non è un set limitato ai primi tre pezzi. Non tanto perché non sia possibile fare un buon lavoro con soli tre pezzi, ma un concerto è uno show articolato, ci sono diversi momenti che rappresentano differenti anime dell’artista e della sua musica, cambia moltissimo l’atteggiamento sul palco e la risposta del pubblico ed è un peccato non poterne cogliere le diversità. Dal punto di vista “tecnico” ovviamente le luci sono fondamentali, e in questo caso non c’è possibilità di controllarle e dirigerle come avviene normalmente in altri generi fotografici, devi sempre trarre il meglio da quello che ti viene offerto, e parlando di Italia e club italiani, spesso di viene offerto pochissimo!
Il reportage è una palestra fondamentale, ti allena lo sguardo, e poi lavorare di buio e non di luce sposta il riferimento più in là, sia dal punto di vista tecnico che emozionale, un buio con piazzato è qualcosa! (sorride e allarga le mani, ndr). Qualcosa che dice, non è assenza!

Quale volto nel corso di un’esibizione ti ha colpito in modo speciale per espressività?
Mi colpisce la capacità di comunicare, questo sì, ma l’espressività è del tutto relativa. Mi spiego meglio, a volte per raccontare il disagio nell’affrontare determinati temi (per esempio di denuncia, di critica) un eccesso di espressività anche nel volto può suonare forzato, eccessivo, caricaturale, quindi apprezzo anche il minimalismo, purché sia contestualizzato.

Quale volto, invece, non sei riuscito a raggiungere con le tue foto? Mi spiego: può accadere di essere particolarmente coinvolti da un soggetto e non riuscire a sentirne poi l’essenza nella foto?
E’ una base di partenza scivolosa assistere al concerto di un artista che si ama o si stima particolarmente, io non mi pongo mai nello stato d’animo professionale in quei casi (ammesso che l’abbia a disposizione tra i miei abiti d’animo). Ma il bello è proprio quello! Istintivamente trascuro lo studio del palco, delle luci, del pubblico, mi faccio trasportare dalle mie sensazioni ed alla fine ogni volta riesco a fermare qualcosa di quell’emozione (mia) nello stare al cospetto di un progetto che sento parte del mio vivere quotidiano, perché è così che io vivo la musica.

Io la vivo come te. Raccontarla emozionati le rende giustizia! E’ questo il ruolo della musica: rapirti, afferrandoti o accarezzandoti.
C’è un musicista su tutti che ti piacerebbe fotografare? Perché?
Se vuoi la verità sono davvero tanti, perché nonostante si dica che la discografia sia in crisi (di sicuro lo è l’industria) io sento un fermento molto interessante in questi anni, sarà che le mie amicizie stanno tra gli addetti ai lavori e mi aiutano ad avvicinarmi sempre a nuove realtà. Non amo le nostalgie e guardo sempre in avanti.

Ma io voglio i nomi! Ti chiedo di indicarmi qualche soggetto che ti ispira in modo particolare…
Ma se vuoi un nome ti faccio quello che chiuderebbe un cerchio, la mia educazione musicale degli anni zero si è incardinata di due elementi Moltheni e Paolo Benvegnù. Umberto è un amico e abbiamo già avuto modo di fare strada insieme e sono sicuro che ancora ne faremo, Paolo invece sarebbe un ideale completamento di una visione della vita che ho sentito mia nell’ascolto.

Ottime scelte! Mi è piaciuto moltissimo scrivere di entrambi. Forse gli articoli che mi hanno più ispirata e spinta a muovermi con delicatezza in certi immaginari sono stati quelli scritti per i Radiohead e Jeff Buckley.
La musica live è trasporto, coinvolgimento sensoriale quasi totale. Ti è mai successo di non riuscire a scattare perché l’udito ha avuto il sopravvento sulla vista?
Mi è successo di non riuscire a scattare perché sono stato travolto fisicamente dall’onda d’urto delle casse dei Chemical Brothers (ride, ndr). No, a parte gli scherzi, no! Nasce tutto dall’ascolto, dal coinvolgimento, come dice Finardi in un famoso brano: “con la radio si può scrivere, leggere o cucinare”. Ecco, con la musica (anche live) si può fotografare anche essendone travolti (meno leggere e ancora di meno cucinare).

A me capita che il coinvolgimento mi blocchi, ma per poco. Poi a prendere il sopravvento è sempre la musica, insieme alla voglia di raccontarla. Quindi siamo d’accordo, il trasporto non è un limite!
Il rapporto fotografia-musica vive di una passionalità che può caratterizzare anche un lavoro su commissione. Ma è davvero la stessa cosa?
No, ma non è per forza un limite. Lì entra in gioco la professionalità e mi è capitato di dover fotografare concerti o progetti su commissione anziché per ambizione personale, il mio metodo è scomporre il set e provare a partire dai particolari, cercando qualche elemento caratterizzante, singolare, per poi costruire una visione d’insieme che sappia rappresentare, come sempre, il mio punto di vista. Mi è anche capitato di ricredermi, quando ti “sporchi le mani” lavorando, scopri sfaccettature che dal divano di casa non apprezzi e non senti tue, ma da dentro il punto di vista è differente. Se consideri che uno dei tratti più marcati del mio carattere è la curiosità (che mi espone sempre a grandi pericoli) non posso fare a meno di cercare, annusare, toccare, per sorprendermi ma anche per confermare la tesi di partenza, sia inteso.

Qualche volta io ho messo le mie parole in gioco per commissione. Per me è stato diverso. Solo professionalità. Invece io amo mischiarla al coinvolgimento, sempre. Chissà, forse la musica dalle parole su commissione non vuole “creatività”! Oppure le vuole solo schiave del viral!
Dal tuo punto di vista, sono valutati in modo opportuno la passione e (anche) il valore di un fotografo nel mondo indipendente?
L’avvento del digitale ha aperto, com’è giusto e auspicabile, le porte della fotografia anche a chi, normalmente, non se ne sarebbe mai interessato se fosse rimasta la professione di alto artigianato qual’era. Inevitabilmente questo ha mediamente abbassato la qualità del lavoro e permesso a chiunque (e parliamo di qualità) di proporsi come fotografo nei diversi ambiti dove questa viene richiesta e dove sa essere valore.
Ma la qualità c’è, eccome! Ci sono fotografi bravissimi (parlo di gente brava sul serio, non come me) della scena indipendente, che meriterebbero davvero di potersi esprimere e di poter raccontare, perché hanno un mondo dentro, ricco e variopinto, che può catturare in uno scatto l’impressione che si vuole veicolare, ma non è questa la logica imperante e per esigenze di “budget” ci si affida a caso, inevitabilmente ne risente il risultato finale.
Un ultimo aspetto davvero fastidioso che voglio sottolineare è il credito fotografico, qui siamo davvero all’assurdo. Lavoriamo molto spesso con i giornalisti (ma anche qui il capitolo è ampio) che dovrebbero essere i primi a rispettare il lavoro di chi, come loro, racconta, informa oppure riesce a stimolare l’immaginazione di chi non può assistere direttamente ad uno spettacolo, ovviamente lo strumento è diverso, non sono le parole ma è un’immagine, ma cambia solo lo strumento, appunto.
Un’immagine è un punto di vista soggettivo, singolare, è il mio punto di vista, e non permettere di capire a chi appartenga quel punto di vista è inevitabilmente una comunicazione a metà… e poi se, solo per controprova, provassimo a togliere la firma di un pezzo ad un giornalista…(ride, ndr)? Ma noi siamo una categoria di solitari, di indipendenti, sempre impauriti che ci rubino i segreti, non riusciremmo mai a manifestare, ma poi te lo immagini uno sciopero di fotografi? E chi fotograferebbe il corteo di fotografi? Lo vedi? Non farebbe notizia!

Il web ha permesso a tutti di esprimersi, soprattutto con le parole. Ma c’è una bella differenza tra l’espressione di un pensiero motivato e articolato (analisi, parlo di questo!) e un mero sfogo/accusa/delirio/frustrazione! Dici il credito? Vogliamo parlare delle rassegne stampe che, a volte, citano senza alcun riferimento ad un autore? Quanti punti in comune, Claudio?!
Il classico “scambio di visibilità” musicista-fotografo. Me ne parli?
Non è un passo obbligato di chi è agli inizi, a volte è una scelta di campo. Come spesso accade, nell’industria musicale ci sono progetti che non hanno “mercato” per investimenti e molto spesso le economie riguardano gli “accessori” al disco (ma che poi accessori non sono), come le fotografie o i videoclip. E non è propriamente uno scambio di visibilità, è più un contributo personale a sostegno della causa, diciamo un volontario schieramento, per l’appunto, una scelta di campo.

Sono d’accordo. Ho sempre pensato che mettere le proprie passioni in campo crei un gioco di scambio e condivisione in grado di arricchire più di qualunque moneta. Ma cosa accade quando fiuti la mancanza di sincerità e il solo interesse?
Capita. Ma capita in ogni ambito della vita. Costruisci, ti metti in gioco, ti esponi, un po’ perché non riesci a farne a meno, un po’ perché i sogni sono il nostro motore migliore, poi capita di svegliarsi, di capire che dall’altra parte non c’è sincerità. L’esperienza aguzza il fiuto e ti “strutturi” sempre un po’ di più. Il vero contro non sono le delusioni, quanto la diffidenza che maturi, è quello che spegne la fantasia ed è controproducente più per te che per gli altri.

Hai perfettamente ragione. Il tuo “contro” è anche il mio.
Cosa pensi di tutti quelli che, finchè non sono nessuno, ti cercano e ti invitano per le foto e… poi… dimenticano? Perché ci sono, no?
Ancora molto prima di essere diventati “qualcuno” (ride, ndr), ma poi, in fondo, non “siamo vivi per usarci”?

Che fai? Mi citi Manuel Agnelli?!
Tu fotografi la Musica. Io scrivo di Musica. Ma della Musica abbiamo bisogno davvero?
E come fare senza? Se tu mi trovi qualcosa di altrettanto travolgente, totalizzante, capace di concretizzare proprio quello stato d’animo che provi in quel momento, o quelle parole che non riesci a fare uscire, o riportati a quel momento (ma proprio quello lì!) della tua vita, allora sì, potrei anche ridimensionare la sua importanza.
Poi parli con uno che accende lo stereo appena sveglio e che sempre più spesso chiude le proprie giornate allo stesso modo, la risposta vien proprio da sé!

Allora siamo vittime di una dolcissima condanna!
Per me scrivere è varcare una soglia che mi porta altrove. Dentro un universo ipotetico.
Ti chiedo una metafora. Una metafora dedicata alla fotografia!
E’ acqua. Pur essendo l’elemento più presente dentro di me, ho sempre bisogno di circondarmene, di immergermi, di farla scorrere sulla pelle, talvolta di sentirla pungere come pioggia, di trovarmene inzuppato, ma anche di sfuggirle stando al riparo, di fermarmi in contemplazione dei suoi mutamenti, delle sue onde. Sa spaventarmi con la sua forza, sa portare il tuo messaggio lontano fino a paesi (culture) lontanissimi, la puoi contenere in una forma ma è sempre pronta a cambiarla appena liberata. Basta pochissimo, trattieni il respiro e immergiti, il mondo intorno non è più lo stesso.

Ci salutiamo con due canzoni? Io scelgo All I need dei Radiohead. Tu?
Please degli U2!

Please – Video

All I need – Video

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