Una qualche leggenda con fonte sconosciuta, forse meglio sconosciuta come istinto, narra che i migliori gruppi musicali della storia all’inizio suonassero in sale prove dismesse. I Clash, si riunivano in un edificio abbandonato, ad esempio. Il Teatro degli Orrori si trovavano in una sala prove non deluxe di Maghera. Pierpaolo Capovilla, voce, Gionata Mirai, chitarra, Francesco-Franz-Valente, batteria e Giulio Ragno Favero, bassista, nel 2007 danno vita al loro primo album: Dell’Impero Delle Tenebre, per l’etichetta indipendente La Tempesta Dischi. Incuriosiscono e sorprendono fin da subito. E’ un meteorite caduto di schianto su un territorio musicale italiano semidesertico. Il Teatro Della Crudeltà di Artaud è portato da Capovilla come vanto d’ispirazione per il nome del gruppo. Ed in effetti le tinte forti e drammatiche sono proprio ciò che coinvolge e turba. Crudeltà non sta per violenza ma per ricerca ed espressione della verità. Andare in fondo, abissarsi in se stessi, nelle cose che ci circondano ed elaborare un modo per urlarne le ombre, i mostri più oscuri, dilanianti, esaltanti. E sul palco, ai loro concerti, c’è trasposizione di tutto questo: la mimica facciale di Capovilla, i gesti liberatori del corpo. La parola ad enunciare il sentire, ad inchiodare la realtà ed il suono a pioggia sullo spettacolo nudo. Carmelo Bene echeggia dietro l’impostazione della voce di Pierpaolo in E lei venne! Ispirata a Il vino dell’assassino di Baudelaire. Poesia declamata in salsa rock noise forgiato di dissonanze ed asprezze. Pegno di rispetto e amore alla memoria con Compagna Teresa dove chitarra e batteria hanno la mole di mitragliate shock. L’uomo ed il divino, dissacrato e umanizzato. “Tu così vicino a Dio ma tanto lontano che io non ti riconosco più”: Maria Maddalena è la canzone che chiude il primo album e crea un ponte col secondo.
Nel 2008 lo split con gli Zu, gruppo math rock a fusione grindcore/punk jazz, contiene Fallo! e Nostalgia. Le ritmiche in continua evoluzione degli Zu si ingolfano e si amalgamano con quelle de Il Teatro degli Orrori. Detonazioni allusive e disorientanti, questo è il risultato.
In occasione di Sanremo, nel 2009, gli Afterhours danno vita al progetto Il Paese È Reale, una raccolta di brani di artisti italiani, emergenti e non. Una sorta di manifesto musicale per ricordare che la canzone in Italia non è solo quella con la poltrona sotto al deretano. Il Teatro degli Orrori esce con Refusenik, un pezzo giustamente non diplomatico per parlare dei militari israeliani che si rifiutano di combattere nei territori occupati della Palestina.
Un tour di un centinaio di date li vede girare un po’ tutta l’Italia. E poi di nuovo sala prove. Entra nel gruppo Nicola Manzan, chitarra, tastiera e violino. Riemergono con A Sangue Freddo. Ora spopolano, in alcuni casi sono quasi venerati, portatori di un verbo. C’è una sorta di cordone ombelicale con Dell’Impero Delle Tenebre. Vino e caffè mentre si attende ancora qualcuno, siamo ancora sprofondati nell’inevitabile quotidianità insidiosa e macabra. Le tematiche si evolvono, questo è il desiderio principale del gruppo: narrare, portare alla luce. Le tenebre sembrano essersi diradate per mostrare interamente lo scenario di ipocrisie, ingiustizie, soprusi. Il linguaggio si fa più lapidario, risoluto, beffardo. Ed il suono è più lineare, preciso, sempre denso. Chitarre che solcano il terreno delle tragedie da notiziario in prima serata, il basso che gratta il fondo che non si vede mai nella liricità di un Majakovskij.
Tumulti all’interno del gruppo, riportati sul web, non sembrano scalfire la volontà di fare musica. I componenti sembrano più attivi e creativi che mai. Giulio e Pierpaolo lavorano al nuovo album dei One Dimensional Man, A Better Man. Gionata Mirai, invece, dà alla luce il suo progetto da solista Allusioni. Non solo: Capovilla, Richard Tiso, collaboratore di vecchia data de Il Teatro degli Orrori, al contrabbasso, e Kole Laga dei 2 Pigeons, al pianoforte, creano Eresia, reading di versi del poeta Majakovskij. E poi il terzo atto de Il Teatro degli Orrori. Nel Gennaio 2012 Il mondo nuovo si impone all’attenzione dei molti, seguaci e non. Una lente d’ingrandimento sul pianeta Terra articolata in suono e parola che lascia il suo affresco distopico dei giorni nostri.
Non deve essere facile essere degli artisti pessimi ma neanche bravi se, ad ogni uscita del tuo lavoro, stanno tutti col fucile puntato aspettando di misurare il livello di capolavoro che raggiungi. Le grandi aspettative oggi, in musica, pregiudicano l’ascolto, non lo aiutano a quanto pare. Parrà quel che parrà ma c’è di fatto che il carrarmatorock è ancora in pista. In copertina Face Cancel di Roberto Coda Zabetta, artista di Biella. Il ritratto di una, cento, mille esistenze tumefatte da tutte le cose che si desiderano separate da noi da oceani. L’uomo solo nel ventre della marea. Il mondo nuovo ha la matrice sonora che distingue il gruppo: corposa, febbrile, dove chitarra e batteria si rincorrono e scontrano fino a rendere difficile il respiro. Rivendico, Io cerco te, Non vedo l’ora rispecchiano a pieno questa nevrosi musicale corteggiata da pesanti bolle di basso. Risoluto e citazionista, Il Teatro degli Orrori apre il sipario su scenari inquietanti affilando la lama con nomi come Pasolini, Zizek, Asor Rosa. Un’acustica Ion si chiede:“ma perché mai una vita onesta finisce così”, forse per una legge del contrappasso dove non c’è peccato ma solo pena. Ion Cazaku era un rumeno bruciato vivo dal suo datore di lavoro. Tra le macerie di una città c’è un soldato che lamenta gli orrori della guerra all’amico in Cleveland-Baghdad. Le sonorità sono particolarmente fedeli a quelle degli album precedenti e le parole, come sempre, lapidarie:“io non voglio più vivere”. Cuore d’oceano è un’odissea di qualcuno che tenta la fortuna, odissea smangiata e divorata dal rap-core di Caparezza col tocco ipnotico e sintetico degli Aucan. Rime e campionature per un incedere tragico e fatale. Una Doris neorealista sfila tra le disillusioni quotidiane e quasi ha il sapore di una poetica montaliana. Un album ricco di nomi: migranti e dispersi, oppressi e repressi. Un tributo musicale alla realtà. Gli Stati Uniti D’Africa è un brano giocato sulle ritmiche e cori simil africani, si canta di fughe e clandestinità disumane, carceri prima di tutto mentali dell’Occidente capitalista e militarista. Tessitura complessa, ascolto che implica volontà di tuffarvisi. Gli spazi della sperimentazione vanno percorsi e qui lo si fa con la parola che lambisce i fiordi del rock hardcore. Fine concept album: protagonista, in Vivere e morire a Treviso, la voce di Capovilla interpreta una lunga lenta decadenza della banalità sul filo di un beat ripetitivo, stile catena di montaggio lavorativa, e con sciabordii sullo sfondo. Il viaggio, ispirato a Voyage au bout de la nuit di Céline, termina ma prosegue, magari oltre il cinismo dell’opera francese. “Dentro di te c’è così tanto amore da rifare il mondo intero”.
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