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Reflections: The Cure @ Royal Albert Hall (Londra) 15/11/11

The Cure_ Reflections_Londra, South Kensington_ 6.05 p.m. / 15.11.2011_
Questa volta è diverso. Non è un Martedì come gli altri. Non è un Novembre qualsiasi. E’già buio ma non è affatto tardi. C’è tempo ancora per un sospiro. Ci fermiamo al The Old Goat Tavern. Proprio dove nasce Kensington High Street. A pochi passi dai Gardens ed Hyde Park. Una volta fuori, proseguendo verso Kensington Gore, veniamo naturalmente fagocitati dal tessuto urbano. Pochissimi minuti ed eccoci simmetricamente immersi nell’elemento. Da una parte, furoreggia illuminato a giorno all’interno dei Giardini Reali, l’Albert Memorial. Maestoso monumento neogotico fatto erigere in testimonianza di Alberto di Sassonia. Dall’altra, seduce senza sforzo alcuno, la suggestiva Royal Albert Hall of Arts and Sciences. Una fra le più incantevoli sale concerti dell’intero pianeta. La capienza è tale da poter ospitare circa 5.500 persone.

Eccoci. Finalmente.
Alle 7.30 p.m. in punto i Cure terranno un live show molto atteso. Unica data in Europa. Londra.Un vero e proprio omaggio. Dedicato e rivolto a quei sostenitori intramontabili, agli innamorati di sempre.
I tagliandi per questo mirabile evento sono andati venduti in poco meno di 3 minuti. On line. Tutto esaurito.  In ogni ordine di posto. Eppure ci siamo. Assolutamente assorbiti. Tra i fortunatissimi. Dalla delicata grazia del grande avvenimento.
Gli individui intorno, seriosi e composti, guadagnano l’ingresso. Biglietto alla mano, seguiamo le indicazioni precise su di esso riportate. Door 9 – Stalls L – Row 9 – Seat 116.
Impossibile non farsi ammaliare dal corridoio che conduce all’atrio dell’auditorium.
Fanno mostra di sé le fotografie, epigrafate e in cornice, di tutti i più grandi artisti cui si possa pensare.
Una volta dentro, l’impatto è devastante. Immanenza perpetua. Un senso di vertigine misto a distensione e pace. Il tipico vivo brusio, la meraviglia sgranata, si compiacciono vicendevolmente. Nei commenti entusiastici. In “Wow” sospinti da trepidazione.
Il palco è scarno e dannatamente scheletrico. Sullo sfondo trionfa il celeberrimo organo della RAH. Il secondo fra i più grandi del mondo.
I Cure eseguiranno integralmente i loro primi tre lavori. Seguiranno filologicamente tutto il corso del primo triennio di attività. Dal 1979 al 1981. Utilizzeranno amplificazione, strumentazione e scenografia distinte. Per appartenenza e riferimento alle succitate epoche. Alle diversificate line up dei tre specifici periodi in questione. La scaletta del concerto è evidentemente nota. Ricalcherà compiutamente la selezione ordinata delle tracce presenti sui tre Album.
Pertanto, per Three Imaginary Boys [1979], salirà sul palcoscenico la primissima formazione. “The Cure Trio” > Robert Smith:  Vocals & Guitar / Simon Gallup: Bass / Jason Cooper: Drums.
Per Seventeen Seconds [1980], “The Cure Quartet”  >  Robert Smith: Vocals & Guitar / Simon Gallup: Bass / Jason Cooper: Drums / Roger O’Donnell: Keys.
In fine, per Faith [1981], “The Cure Quintet” > Robert Smith: Vocals & Guitar / Simon Gallup: Bass / Jason Cooper: Drums / Roger O’Donnell: Keys & Percussion / Laurence Tolhurst: Keys & Percussion.
Previsti “Encore Set” del periodo.
I Cure avevano già preparato i fans ad esperienze propedeutiche. Basti ricordare la magnifica doppia data al Tempodrom di Berlino. 11 e 12 Novembre 2002. Assolsero allora perfettamente la cosiddetta “Trilogia”. Suonando rispettivamente tutto Pornography [1982], Disintegration [1989] e Bloodflowers [2000].
Ma questa volta è davvero diverso. Non è proprio un “concerto” come tutti gli altri. Lo percepiamo. E pensiamo. “Per riproporre il primo disco, a più di 30 anni di distanza, ci vuole fegato. Ci deve essere una coerenza disarmante. Immaginare di identificarsi ancora nei contenuti, non solo musicali, di quando si aveva 20 anni. Cantarli ed interpretarli con travolgente sentimento a 52”. Ma queste sono solo “irrilevanti” disquisizioni fra noi. Perché ad un certo punto le luci sempre più soffuse si spengono. Il buio aiuta. Ci si sveste dell’habitus da “teatro” e si comincia a rabbrividire.
Urla, applausi, fischi, ululati. Fermento puro. Tutti in piedi. Boato quando Smith, Gallup e Cooper raggiungono il palco. Sono davvero in tre. Impossibile crederci. Proprio come 32 anni fa*.
Smith al microfono spende solo queste parole: “Questo è il 1979”.
Attaccano 10:15 Saturday Night. Una violenta energia. Esecuzione impeccabile. Suono cristallino.  Essenziale. Una cattiveria impressionante. Voce intramontabile. Una vera macchina del tempo. Nessuna altra parola. Finisce una canzone, ne comincia un’altra. In perfetta collocazione discografica. Nessun dettaglio tralasciato. Da Foxy Lady di Hendrix a The Weedy Burton, ghost track dell’edizione originale di Three Imaginary Boys datata 5 Maggio 1979.

Pausa.
Dopo circa 40 minuti di set. Si riaccendono le luci in sala. Ci si muove per una pinta o per guadagnare i servizi. Incrociando gli sguardi ancora attoniti (appare quasi irriverente parlare) ci si rende conto di aver assistito a qualcosa di irripetibile. Dalla propria stanzetta, consumando cassette su cassette, alla Royal Albert Hall. Ad ascoltare – ipnotizzati – un album pazzesco.
E’ oramai passato qualche minuto. Ci si riversa sui posti riservati. Personalmente, Subway Song continua a tormentarmi. Seven Nation Army dei White Stripes, oggi lo confermo più che mai, è un suo puro plagio.

Ennesimo ingresso della band. Questa volta in quattro. O’Donnell è già in posizione dietro la tastiera. Questo set presenta luci più dure ed un effetto fumo persistente. Ovviamente la prima è A Reflection. Canzone “istituzionale” che suggerisce il titolo all’intero spettacolo. Play For Today con tutta la RAH che fa il coro è indescrivibile. Secrets, In Your House, Three, sembrano un corpo unico.  I tessuti sonori sono infallibili.  Mentre sta per finire The Final Sound in molti sappiamo già cosa sta per accadere.
Siamo di fronte alla realizzazione di un sogno. Difficile da spiegare cosa significhi ascoltare A Forest fra The Final Sound ed M. Come un singhiozzo sordo. Una pura specie di malinconia. Ti passano davanti significative “polaroid”. At Night un vero capolavoro. Chitarra dissonante e basso distorto si rispondono come sempre. Si trovano. Il ritmo cadenzato e batodico non varia mai. A questo punto lo show ha davvero toccato l’akme. Quando Smith canta “Someone has to be there” c’è solo poesia.
Davvero l’oscurità che respira. Tutti danzano in un proprio soliloquio interiore. Spettacolare. Il punto è che qui non si tratta di ascoltare soltanto le canzoni di una band che ami. Qui c’è molto di più. Il coinvolgimento è complessamente autobiografico per la maggior parte dei presenti. Lo si può toccare. Si vedono lacrime scorrere. Ghigni sofferti e liberazione.
Seventeen Seconds viene annunciata. E’ la linea di mezzo di questo intimissimo viaggio.
Questo secondo atto è un abisso metafisico. Una linea profondissima tiene insieme tutta l’esecuzione.
Visibilio commosso.

Seconda pausa.
“Queste luci non ci volevano proprio”. Siamo tutti smascherati. Non sono sicuro che una pinta possa bastare. Tutto troppo carico. Un concentrato denso di violenza, energia, delicatezza e versi.

Ecco arriva il fosco e primitivo momento. Ulteriore ingresso dei “Cinque” Cure. Il pubblico non ha ancora propriamente raggiunto i posti. C’è anche Tolhurst. Particolarissimo e sinistro personaggio. Membro fondatore dei Cure dal 1976 e batterista, percussionista, tastierista, fino alla fine degli anni 80. Riappare con Smith e soci nuovamente per il Vivid LIVE. Un festival musicale che si è tenuto il 31 Maggio e  il 1 Giugno 2011 al Sydney Opera House. Quella è stata la prima vera cornice all’interno della quale la filologia “The Cure – Reflections” sia stata mai eseguita.
E’ il momento del 1981. Quindi di Faith. Album tenebroso. The Holy Hour ne è immagine perfetta. Quanto è difficile “attaccare” con un pezzo così? Subito dopo Primary. Uptime convulsivo e potente. Uno fra i pezzi più ricorrenti nei live dei Cure. All Cats Are Grey è maestosità. Quell’organo sullo sfondo. Nebbia fitta sul palco. Luce cobalto penetrante. Smith, come in The Funeral Party, canta soltanto. Non capita sovente. E quando succede, si sente profondamente. Linee come “I never thought that I would find myself […] In the death cell a single note rings on and on”, quasi spaventano. La conclusione dell’esecuzione è affidata a Tolhurst. Note gravissime di pianoforte riverberato. Un tripudio. Contrastato freneticamente da Doubt.
La soffertissima The Drowning Man nei suoi quasi sei minuti di alienazione ritmica e poi Faith. La pagina emotiva di Faith è un dono tra i più delicati. Poco meno di Sette minuti dilatatissimi. Uno squarcio di eternità per i fans.  Questa canzone è un inno. Sin dal suo primo verso. Fin dentro gli argini di ogni strofa. “Catch me if I fall / I’m losing hold / I can’t just carry on this way /And every time / I turn away / Lose another blind game /The idea of perfection holds me / Suddenly I see you change / Everything at once / The same / But the mountain never moves / […] I went away alone / With nothing left / But Faith”. La chiusura è rituale. Un lento implodere fino all’ultimo sospiratissimo colpo di cassa.
Restiamo tutti ammutoliti. E’ il ringraziamento composto, autentico e coinvolto di Smith che ci sveglia dal vagheggiamento. Meraviglioso. Non bastano certo tutti gli applausi. E’ una standing ovation colossale. Totale ammirazione. Non vorremmo lasciarli andare. Il terzo atto è concluso. Euforia.

Non è ancora finita.

La pausa non è più lunga delle altre. I Cure rientreranno per ben tre volte ancora. Per un totale di 14 brani suppletivi. Eseguendo B-Sides e rarità assolute. Pescando dal “D-Day Demos” del 1977 canzoni come World War. Dal singolo Boys Don’t Cry del 1979 il lato B Plastic Passion. Passando a setaccio tutti i possibili retro 7” del 1981! Descent, Charlotte Sometimes ed ancora il suo lato B Splintered In Her Head.
Lo stesso Robert Smith grattandosi il capo ammetterà di averci pensato tutta mattina. “Quale altro pezzo posso recuperare dal favoloso 1981 per lo spettacolo di questa sera?” Continuando fino a The Hanging Garden di Pornography. L’ultimo Encore, fra luci accese e una RAH in festa, è dedicato al 1983. Anno di Japanese Whispers. Le tracce estratte sono Let’s Go To Bed, The Walk e The Lovecats.

Sono le 11 p.m. passate!

Circa tre ore effettive di spettacolo. Incredibile. L’affetto del pubblico è impressionante. I Cure ringraziano con visibile animo. L’entusiasmo è alle stelle. Una esperienza incommensurabile. La suggestione e la magia del luogo concorrono ulteriormente a segnare un solco profondo nella  nostra curva di esperienza. Scorgiamo Tim Burton allontanarsi verso l’uscita. Diamo un ultimo sguardo alla Hall che si sveste. E’ davvero splendida. Imponente. Nobile. Abbiamo appuntamento fuori con Jason Howes ed altri amici londinesi.
Ingorgo intenso nell’atrio. Quasi impossibile buttare un occhio al Merchandising. Tutto saturo. Non fa freddo. Prenderemo da bere, poi un cab. Non ci sarà molto da dire sull’evento al quale abbiamo assistito. Ne usciamo consapevolmente travolti. La bravura tecnica di Smith alla chitarra è sconvolgente.I suoni perfetti. Gallup una furia. I Cure restano una Band di riferimento assoluto. E’ stato come ritornare al futuro. Hanno suonato con una foga insolente, sfacciata. Sfrontatissimi ed attuali. Coerenti e raffinatissimi.
C’è ancora molto da chiedere. Molto da imparare. Come vedere Wagner da vivo. Siamo stati maledettamente fortunati stasera. Non è ancora mezzanotte. E’ ancora Martedì. 15 novembre 2011.
Non è un martedì come gli altri.
Non è un Novembre qualsiasi.
“Rifletteteci”.

Note_
*La formazione originaria che ha partecipato alla registrazione di Three Imaginary Boys del 1979 era così composta: Robert Smith: Voce e Chitarra / Michael Dempsey: Basso / Lol Tolhurst: Batteria.

Scaletta_The Cure – Reflections_
15.11.2011_RAH_London_
A] ThreeImaginaryBoys_ 5 Maggio 1979_
1. 10:15 Saturday Night
2. Accuracy
3. Grinding Halt
4. Another Day
5. Object
6. Subway Song
7. Foxy Lady
8. Meathook
9. So What
10. Fire In Cairo
11. It’s Not You
12. Three Imaginary Boys
13. The Weedy Burton

B] SeventeenSeconds_ 22 Aprile 1980_
14. A Reflection
15. Play For Today
16. Secrets
17. In Your House
18. Three
19. The Final Sound
20. A Forest
21. M
22. At Night
23. Seventeen Seconds

C] Faith_ 14 aprile 1981_
24. The Holy Hour
25. Primary
26. Other Voices
27. All Cats Are Grey
28. The Funeral Party
29. Doubt
30. The Drowning Man
31. Faith

1] ENCORE

1. World War  [D-Day’s Demo, 1977] 2. I’m Cold  [7”- Lato B di Jumping Someone Else’s Train, 1979] 3. Plastic Passion  [7” – Lato B di Boys Don’t Cry, 1979]                                                                                                     4. Boys Don’t Cry [7” – Giugno 1979] 5. Killing An Arab [7” – Dicembre 1978] 6. Jumping Someone Else’s Train [7” – Novembre 1979] 7. Another Journey By Train [7”- Lato B di A Forest, Aprile 1980]

2] ENCORE

1. Descent [7” – Lato B di Primary, Maggio 1981] 2. Splintered In Her Head [7” – Lato B di Charlotte Sometimes, Ottobre 1981] 3. Charlotte Sometimes
4. The Hanging Garden  [7” – A Single, Luglio 1982]

3] ENCORE

1. Let’s Go To Bed [Single da Japanise Whispers, Novembre 1982/ Luglio 1983] 2. The Walk [Single da Japanese Wispers, Luglio 1983] 3. The Lovecats [Single da Japanise Wispers, Ottobre 1983]

(Foto di Roberta Accettulli)

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