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Un invito a non mollare: intervista a Fabrizio Coppola

Uscirà il prossimo 27 settembre, per Via Audio Records, il terzo disco di Fabrizio Coppola. Si intitola Waterloo. Si compone di undici canzoni. Per alcune di loro non si tratta di lasciare la segretezza dello studio di registrazione: le abbiamo incontrate ne La Stupidità (EP del 2009) e lungo i percorsi della campagna elettorale milanese della scorsa primavera; abbiamo avuto il piacere di ascoltarle dal vivo, di iniziare a voler loro bene. Per altre è il momento di venire avanti, di alzare testa e voce, di mutare in fatto. Scrive Fabrizio nella sua presentazione al disco: “Waterloo sarà un disco diviso tra personale e sociale, in cui la rivolta nei confronti della situazione politica del nostro Paese e della nostra città combacia con la rivolta nei confronti della consapevolezza che la vita è una grande casa inondata di luce ma piena zeppa di stanze buie e pericolose. Un disco che parte dall’idea di sconfitta per affermare la necessità e l’urgenza di una risalita.” È stato un piacere per Losthighways incontrarlo e parlarne un po’ con lui. (Respirare lavorare è in streaming autorizzato; foto di Claudio Del Monte – www.frammentisimili.it)

Non mi ha stupita ritrovare La Stupidità ad aprire questo tuo Waterloo. Ho sempre creduto avessi scostato un uscio, marcato una direzione con quel pezzo, con quell’EP del 2009. Penso a un libro di D.F. Wallace letto di recente, ad una frase in particolare (si rivolge ad un’assemblea di laureandi in lettere): “la vera, fondamentale educazione a pensare che dovremmo ricevere non riguarda tanto la capacità di pensare, quanto semmai la facoltà di scegliere a cosa pensare”. Scegliere a cosa pensare. Scegliere. Tu lo hai fatto?
Non so. Non sono sicuro che si scelga volontariamente a cosa pensare. Penso che sia più un riflesso dovuto alla sensibilità personale e al carattere – elementi che vengono formati dall’esperienza, quindi da cose esterne a noi. In particolare poi quella canzone l’ho scritta di getto in meno di venti minuti; è certo che se le pagine della cronaca dei giornali negli ultimi cinque anni non fossero state piene di articoli che hanno toccato la mia sensibilità, probabilmente quella canzone non sarebbe mai venuta fuori. La domanda allora potrebbe essere: perché quegli articoli hanno toccato la mia sensibilità? E l’unica risposta che posso darti è che ho sempre avvertito una forte vicinanza nei confronti degli emarginati e degli esclusi – forse perché per una lunga parte della mia vita mi sono sentito escluso anch’io, e in parte mi sento così ancora oggi. Quindi, tornando alla domanda, non ho scelto volontariamente, ma sono felice di aver scritto La stupidità, di cui sono molto orgoglioso e che ha in qualche modo indicato una strada nuova per la mia musica.

Queste undici canzoni sono indubbiamente Tue. Da La superficie delle cose a qui si è andata definendo sempre più marcatamente la Tua attitudine. Dovessi dirne a qualcuno che non ti conosce, cosa racconteresti?
Complicato a dirsi. Vediamo. Ci sono degli elementi che sono presenti in tutti i miei dischi: innanzitutto una specie di ossessione per la semplicità, che riguarda sia la scrittura della musica e degli arrangiamenti, sia la scelta delle parole. Poi uno sguardo sulle piccole storie, sulle persone che tengono in piedi le nostre società lavorando duramente giorno dopo giorno, con i loro drammi e aspirazioni. E infine una certa nota di nostalgia, di senso di abbandono e di insoddisfazione che ormai so far parte del mio carattere e che si riverbera naturalmente nella musica che scrivo. Aggiungo che mi piacerebbe riuscire a scrivere anche canzoni più leggere e magari più spensierate, ma ogni volta che ci ho provato non sono stato contento del risultato – ma nel dubbio continuo a provare.

I tuoi compagni di viaggio: chi ha lavorato con te alle canzoni del disco? Chi ti accompagnerà nelle date live?
Per questo disco ho collaborato con diversi musicisti. Essendomi riservato per la prima volta l’onere della produzione artistica, ho coinvolto i musicisti che di volta in volta mi sembravano più adatti ai diversi brani. Così abbiamo tre diversi batteristi: Diego Galeri (oggi Miura, prima membro storico dei Timoria, come saprete), Fabio Deotto, che ha lavorato con me negli ultimi due dischi e rispettivi tour, e Paolo Perego (oggi con Amor Fou), anche lui mio partner di lunga data; ai bassi ancora Perego oltre a Luca Tonani, un ottimo musicista della scena blues milanese, da qualche anno al lavoro con Daniele Tenca. Poi Lorenzo Corti ha suonato le chitarre elettriche su La mia rovina (e ha fatto un lavoro davvero splendido) e infine Elena Taverna, una cantante dotata di un grande talento ha registrato i cori su Verso casa. Io ho suonato diversi bassi e tutto il resto che si sente sul disco. Nel live sarò accompagnato da Francesco Campanozzi al basso, Marco Settanni alla chitarra e Mauro Sansone alla batteria.

Il nostro Paese. La tua Milano. La fredda Torino, quello schifo di città che si mangia i giorni dell’uomoformica. I nostri luoghi, quelli del non-senso e poi di qualche speranza, dell’abbandono e di una gran voglia di ribellarsi, di ri-tornare. Tutte storie piccolissime, le nostre. E i luoghi che le consumano solo raramente riescono ad amarle.  Ma non sono loro (le piccolissime storie) che fanno la Storia?
Le nostre città sono diventate degli enormi formicai, e non penso solo all’Italia, e noi siamo sempre più simili agli insetti. Ognuno di noi ha la sua piccolissima storia ma se è vero, come dici tu, che queste micronarrazioni vanno a comporre la Storia, è vero anche che la Storia è completamente indifferente alle sorti dei soggetti di queste piccole vicende. I grandi cambiamenti epocali vengono definiti con termini generici – la rivoluzione industriale, il boom economico, l’immigrazione – ma questi termini non ci dicono assolutamente nulla delle migliaia e migliaia di storie delle persone che concretamente hanno dato vita a quei cambiamenti. Con La ballata dell’uomoformica ho voluto calare la lente d’ingrandimento su una di queste storie e immaginarmi cosa può significare lasciare il proprio paese per andare a cercare fortuna altrove. è una piccola storia inserita in un contesto più grande, con i suoi drammi e dolori che non finiscono nei libri di testo.

Respirare. Prendere fiato e sputarlo fuori. Provo a fermare l’idea di respiro che mi arriva da queste canzoni (Respirare lavorare, Ancora vivo) in un’istantanea e c’è sempre un uomo che lavora, una casa in cui torna, qualcosa stretto con forza nel pugno. Ha il volto segnato dalla fatica, certi occhi intelligenti, gialli. Cosa stanno fissando?
La respirazione è il gesto più evidente dell’esistenza: se respiri, allora sei vivo, perlomeno da un punto di vista fisico. Molti dei personaggi di questo disco sono in lotta, la lotta quotidiana alla ricerca di una vita dignitosa e soddisfacente. Il lavoro e gli affetti sono indubbiamente le pietre angolari di ogni esistenza: vuoi fare qualcosa che ti piaccia, che abbia un senso per te, e ovviamente vuoi anche avere qualcuno al tuo fianco, che ti accompagni lungo il cammino. E vuoi avere la sensazione che stai andando da qualche parte: ecco, forse l’uomo che dici tu sta guardando dritto davanti a sé e sta cercando di tenere la direzione che si era dato. Ha avuto delle delusioni e dei dolori inevitabili, ma non distoglie lo sguardo dall’orizzonte.

Quell’immagine di donna china sul cadavere del figlio è di una forza poetica struggente… Raccontami Waterloo.
Waterloo è un brano particolare. È diviso in tre episodi, uno per strofa, ed è una canzone sulla violenza e sulla disumanizzazione della nostra società. L’immagine che citi simboleggia la guerra, nella seconda strofa parlo della violenza che nasce dall’impotenza e a volte anche dalla noia, nell’ultima c’è la tragedia dei migranti. Le nostre società sono talmente impregnate di violenza che non ci facciamo neanche più caso. Ne discende che siamo incapaci di accorgerci dei drammi che ci passano accanto quotidianamente. Al semaforo arriva un ragazzino che vuole lavarti il parabrezza e il tuo primo istinto – capita anche a me – è di fare no con il dito o di alzare il finestrino. Allora mi chiedo: com’è potuto accadere? Come abbiamo fatto a diventare così cinici, egoisti e ciechi? Come abbiamo fatto a precipitare così in basso? Ecco, Waterloo parla di questo.

L’amore salva. L’amore uccide. L’amore libera, imprigiona, innalza, costringe. L’amore. Da quando sei andata via ti giuro non esisto più (La mia rovina). Dove si va quando non si riesce (più) ad amare?
L’amore è un tale mistero, e più vai avanti con gli anni più ti accorgi che i suoi meccanismi non possono essere compresi e che l’esperienza non ti serve a nulla in questo caso. Quando non si riesce più ad amare in realtà non si va da nessuna parte, si è fermi, mentre chi ama è indubbiamente in movimento, sta compiendo un percorso verso l’altro e verso se stesso. L’amore è qualcosa di estremamente pericoloso perché non hai alcun controllo su di esso. È come un’enorme casa proprio sulla spiaggia, inondata di una luce accecante e in cui arriva il suono delle onde e il vento leggero carico di iodio ti accarezza i capelli e ti fa sentire bene. Ma questa splendida casa nasconde anche delle piccole porte che conducono in luoghi oscuri e pericolosi.

C’è qualcuno in particolare che vorresti ascoltasse questo tuo disco? Perché?
Non penso a qualcuno in particolare. Posso dirti che Waterloo è un disco che parla del presente e di cosa vuol dire vivere in Italia in questo preciso momento storico. È un disco d’amore nei confronti della vita, anche se a un primo ascolto può sembrare che non sia così. È un disco animato da una forte spinta di resistenza esistenziale, sociale e politica. È un invito a non mollare.

La tua opinione su un argomento che ci riguarda molto da vicino: come cambia la musica nel momento in cui cambia la sua fruibilità?
Ti dirò che sono ormai completamente rassegnato al fatto che il 90% del pubblico, in special modo i più giovani, fanno un uso della musica estremamente superficiale. Si caricano gli hard disk di una quantità di musica che difficilmente riusciranno ad ascoltare veramente. Allora basta un ascolto fugace per dire mi piace o non mi piace, scrivere due righe su facebook o su twitter se è il caso e poi via con un altro gruppo, un altro disco ecc. Per esempio, mi sono accorto che in rete nessuno ha parlato del fatto che quando i Wilco hanno messo in streaming il loro nuovo disco per 24 ore non si potevano skippare le tracce, che tradotto vuol dire: se vuoi ascoltarlo, te lo ascolti tutto, perché questo è un lavoro che va giudicato nel suo complesso. Ovviamente ho apprezzato molto quello stratagemma. Dopodiché, per quanto mi riguarda, neanche ci penso più: io faccio le mie cose come mi sento di farle e la mia musica è a disposizione di tutti, ne facciano quello che vogliono, non mi interessa. Non è un mio problema il modo in cui viene o non viene fruita. Il mio obbiettivo è scrivere delle cose che secondo me hanno un valore e di cui possa sentirmi orgoglioso.

Respirare lavorare – Preview

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