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La musica che si vede: intervista a Giorgio Ciccarelli (Maciunas)

Gli occhi di una bambina attraversano una periferia di vita arresa. Ai margini di strade perdute, tra ruderi industriali si ritrovano due terzi dei Fluxus ed un quinto degli Afterhours per un’esperienza artistica moderna e sinestetica. Ripartendo dal concetto di immergere l’arte nella vita quotidiana alla base del movimento Fluxus ideato dall’artista statunitense Maciunas, il super-indie-trio coniuga le esperienze alternative-rock di matrice americana di progetti passati quali appunto Sux! e Fluxus e l’attitudine alla video-art di Luca Pastore, affermato filmaker (all’attivo anche sette videoclip per i Subsonica), per approdare ad Esplodere nel sonno, un dvd di  musica da vedere e immagini da sentire. E’ un trip in un cosmo interiore che trova trascendenza nella dilatazione e abbandono della periferia delle nostre città. In un momento compare il Camaleonte, resta A Galla nel Nuovo ordinamento tra Sesso e carità ma alla fine non ha compreso Quello che ci manca. Il cut-up tracciato dai titoli delle tracce ben delinea l’humus riflessivo-introspettivo che caratterizza le liriche dei brani. Questo DVD dei Maciunas è un CD visuale che cerca di superare i limiti dell’esperienza puramente sonora di un disco.  E’ un ritorno al concetto di rock come espressione artistica tipico degli anni sessanta e settanta. Amanti della sinestesia, ci tuffiamo d’istinto in questo progetto.

La scelta di far uscire il vostro primo lavoro Esplodere nel sonno nel formato DVD e la scelta del nome Maciunas per la band  sono strettamente correlate? Come nasce il vostro progetto?
Sì, c’è una stretta parentela tra il nome del gruppo e il tentativo di utilizzare media e linguaggi diversi; inoltre Luca e Robi vengono da un gruppo che si chiamava, appunto, Fluxus

Gli scenari presentati nei video dove sono stati registrati? Testimoniano una cura del dettaglio artistico-naturale che si può rintracciare nella vita quotidiana. Un’attenzione sembra essere data soprattutto alle periferie. Quindi riemergono palesemente i riferimenti al movimento Fluxus?
Il mondo è una periferia… le immagini rappresentano un viaggio urbano quotidiano, tra nessun posto e il nulla, probabilmente fatto da una bambina: il fatto che i testi parlino della confusione che ci circonda e sembrino a volte frutto di disordine mentale potrebbe suggerire qualcosa di poco rassicurante, senza però nessun moralismo, almeno volontario.
Comunque lo scenario più importante del video è la nostra sala prove, in cui noi suoniamo direttamente in faccia allo spettatore.

Colpisce anche la fotografia, gli sbalzi cromatici, le saturazioni che sembrano ben fondersi con gli sbalzi emotivi dei brani. Queste associazioni sono state frutto di lunghe e meditate elaborazioni o sono solo figlie di un flusso istintivo d’attitudine alla sinestesia?
Entrambe le cose. Le colorazioni sono fatte semplicemente variando la fase del colore: è un’operazione semplice, ma prima di scegliere il clima definitivo delle immagini abbiamo provato infinite varianti.
Cambi, correggi, rivedi, ricambi, ricorreggi, rivedi, etc. Poi, vedendo tutte le canzoni in fila abbiamo fatto le scelte definitive. L’importante era che nulla fosse realistico.

Quale brano del disco pensate sia quello meglio riuscito dal punta di vista di fusione d’immagini, musica e parole?
Dipende, è molto soggettivo, è una cosa che dovresti chiedere a chi ascolta/vede il disco.

Immergere, fondere il vostro sostanziale alternative rock con un flusso di immagini risulta un’omogenea  e nuova proposta di un prodotto artistico-musicale. Potrebbe essere questo il segreto per combattere la disaffezione al manufatto disco con l’avvento dello scadente mp3 e del peer-to-peer?
Non c’è premeditazione, abbiamo fatto un dvd perchè eravamo in grado di farlo e perchè ci piaceva l’idea di fare un disco visivo: infatti non è nè un film nè una raccolta di videoclip.
Per quanto riguarda la crisi discografica non credo dipenda solo dai formati, ma dal fatto che la musica non è più percepita come una cosa importante, probabilmente fondamentale, nella vita di una persona. Non sei disposto a sprecare denaro per qualcosa che in definitiva consumi distrattamente.
Se ti siedi tranquillo, magari di notte, di fronte ad un impianto almeno decente e metti su un vinile (che poi dovrai girare) e ascolti e basta, senza chattare o scrivere su fb o mandare sms, allora ti entra dentro qualcosa che difficilmente riuscirai a ignorare in futuro.

Quanto del suono degli Afterhours, dei SUX! e dei Fluxus si ritrova nelle vostre canzoni?
Abbiamo tutti e tre un’esperienza che fa sì che il nostro modo di suonare e di immaginare la musica sia oramai una parte di noi: non credo che riusciremmo a suonare in un modo diverso, quindi è evidente che quello che abbiamo fatto prima o facciamo tuttora dal punto di vista musicale, influenzi il risultato che otteniamo suonando insieme.
Allo stesso tempo, essendo solo in tre e non usando il basso, abbiamo una line-up non convenzionale e un suono diverso dai gruppi da cui veniamo: il tutto è più blues, più istintivo.

“Tutto può essere arte e chiunque può fare dell’arte.” (G. Maciunas). Oggi produrre un brano, o un video è molto facile con mezzi casalinghi. Questo ha portato ad una sorta di democratizzazione dell’approccio all’arte e forse un’attuazione spontanea dei concetti alla base del movimento FLUXUS di Maciunas. Ma così non è stata alimentata la falsa illusione che tutti possono essere artisti, causando una sterzata da parte delle etichette discografiche verso prodotti sempre più incentrati sul puro valore consumistico d’intrattenimento con la totale assenza d’arte nella musica (abbattendo i costi di produzione)?
Le pratiche fluxus sono state concettualmente quello che il punk è stato praticamente e dal punto di vista sociale: noi sentiamo di avere entrambe le radici. Certo, con una produzione smisurata è meno facile orientarsi ed approfondire qualcosa, tutto si mescola, ma questo non è necessariamente negativo, a patto che chi suona lo faccia con sincerità e senza mediazioni. Il problema è che a volte anche artisti completamente indipendenti e senza chance commerciali si autolimitano in partenza cercando di essere “suitable” per un’eventuale carriera discografica.
La politica delle etichette discografiche si commenta da sola: a forza di industrializzare il “prodotto” e di cercare di rendere riproducibile e vendibile quel qualcosa che rende magica e inafferrabile la musica, hanno di fatto strozzato, squartato e stuprato la loro stessa gallina dalle uova d’oro, quel meccanismo irrazionale che ha fatto sì che per decenni le persone si innamorassero della musica al punto da spendere i loro soldi per possederla fisicamente. La politica delle major è stata un incompetente suicidio commerciale.

Una piccola curiosità perché indossate le calze velate sul volto durante la performance live in studio?
Siamo troppo belli per essere visti al naturale.

Eslodere nel sonno – Trailer

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