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Favola di tre ragazzi immaginari

apterThe Cure. Disintegration una favola dark è la biografia curata da Jeff Apter del gruppo inglese diventato un fenomeno di culto in tutto il mondo per aver rivoluzionato l’iconografia rock con l’ormai leggendario rossetto sbavato e le sue improbabili ed infinite capigliature post-punk. Quattrocento pagine, corredate da bellissime foto in bianco e nero e da una dettagliatissima discografia, che ripercorrono cronologicamente la storia del gruppo, dall’esordio con il nome di Obelisk nel 1973, fino all’uscita del dodicesimo album, dal titolo The Cure (2004). Di quel periodo Smith afferma: “Quando abbiamo iniziato io non cantavo, ero solo un chitarrista ritmico ubriaco che scriveva canzoni bizzarre” (p. 61). I primi capitoli del libro sono dedicati agli anni di formazione dell’indiscusso leader del gruppo: Robert Smith, alle sue ossessioni (il terrore dei ragni e degli specchi), al suo innamoramento per Hendrix e Nick Drake, conosciuti grazie al fratello Richard, e quello per i Beatles e i Rolling Stones che piacevano a sua sorella Margareth, all’adorazione per gli esistenzialisti francesi, soprattutto Jean-Paul Sartre e Albert Camus.

Come tanti altri cantanti di quegli anni, Smith rimane folgorato dall’esibizione di David Bowie durante il programma musicale Top of the Pops (1972): “è stata un’esperienza davvero formativa ed epocale” (p 31). Nel 1976 Smith forma, insieme ai due compagni di scuola Michael Dempsey (basso) e Laurence “Lol” Tolhurst (batteria) il gruppo Easy Cure. Il loro repertorio include una canzone ispirata dal romanzo Lo Straniero di Albert Camus, dal titolo Killing an Arab. Un paio di anni più tardi una musicassetta con l’incisione del pezzo arriva all’orecchio di Chris Parry, un rappresentante della casa discografica Polydor Records, che ne rimane talmente impressionato da decidere di creare la casa di distribuzione Small Wonder – indipendente e momentanea – solo per vendere il brano.
Da quel momento il nome del gruppo diventa The Cure e nel 1979 Parry lascia la Polydor per fondare la sua casa discografica, la Fiction Records, i Cure saranno una delle prime band a firmare il contratto con la nuova casa discografica.
I Cure, già ridotti a terzetto per l’allontanamento di Porl Thompson, si mettono alacremente a lavoro e a marzo del 1979 danno alle stampe il loro album d’esordio, Three Imaginary Boys, seguito nello stesso anno da Boys Don’t Cry. Inizia a circolare fra gli addetti ai lavori il termine Dark, e i Cure, con le loro atmosfere lugubri e disperate rientrano perfettamente nell’etichetta, anzi ne diventano i maggiori portavoce insieme ai Joy Division di Ian Curtis.
Con Seventeen Seconds (1980) inizia la trilogia Dark del gruppo che continuerà con Faith (1981) e si concluderà con Pornography (1982). Nei tre album Robert Smith esprime i suoi stati d’animo: infelicità nel primo, angoscia nel secondo e rabbia nell’ultimo.
Durante il tour di Pornography, i litigi sempre più frequenti tra Robert Smith e Simon Gallup culminano, dopo il concerto a Strasburgo, con lo scioglimento non ufficiale del gruppo e nel 1982 Smith si unisce ai Siouxie and the Banshees, rimanendoci per due anni. Robert si rende conto di aver sbagliato: “volevo che tutti nel mio gruppo fossero come me”, e nell’estate del 1983 insieme a Lol registra la compilation Japanise Whisper che raccoglie i singoli della band pubblicati tra il 1982 e 1983.
Con una nuova formazione (Robert Smith, Lol Tolhurst, il batterista Andy Anderson e il bassista Phil Thornalley), il gruppo registra The top (1984): un album dal sound più pop, ma dalle melodie comunque tristi. Durante il tour mondiale, Robert caccia Anderson per i suoi problemi dovuti all’alcool e verso la fine del tour anche Thornalley lascia il gruppo.
Nel 1985 i Cure si rinnovarono ancora, con il batterista Boris Williams, il chitarrista Porl Thompson e il ritorno del bassista Simon Gallup e lanciano The Head on the Door: “un album pop con un cuore cupo, una pietanza ricoperta di zucchero ma con un ripieno velenoso” (p. 241). Un album che li rende famosi in tutto il mondo. Kiss me, kiss me, kiss me (1987), l’album “più caotico e musicalmente avventuroso realizzato dal gruppo” (p. 253) sancisce quella formazione, come la più compatta.
Nel 1988, prima di rimettersi a lavoro ad un nuovo album, Robert e Simon annunciano che Lol Tolhurst era stato letteralmente scacciato dalla band, che non poteva più tollerare i suoi eccessi. Il tastierista dei Psychedelic Furs, Roger O’Donnell sostituisce Tolhurst e i Cure realizzano il loro capolavoro: Disintegration, l’album “dove finalmente le nevrosi si Smith (caducità, senso di morte, disperazione) si fondono perfettamente con una musica maestosa e al contempo orecchiabile” (p 274).
All’apice del loro successo commerciale i Cure pubblicano Wish (1992), un album “ingannevole […] gli arrangiamenti erano più essenziali, più chitarristici, anche se il tono predominante non era meno tetro e pessimista dei dischi precedenti” (p. 291). Ma la band è agli sgoccioli, nel 1993, infatti, Porl Thompson lascia i Cure per unirsi ai Led Zeppelin, poco più tardi se ne va anche Boris Williams, per formare un nuovo gruppo con la sua fidanzata. Smith, più tardi affermerà: “anche l’idea del gruppo come famiglia è naufragata dopo Disintegration. È stata la fine di un periodo straordinario” (p. 277).
Un anno più tardi, dopo aver vinto la causa intentata da Lol Tolhurst e aver dato l’ennesimo assesto alla band  (il ritorno di Roger O’Donnell alle tastiere, Perry Bamonte alla chitarra e Jason Cooper alla batteria, trovato grazie ad un annuncio su un giornale musicale britannico) i Cure iniziano i lavori per il nuovo album. Nella primavera del 1996 esce Wild Mood Swings un disco misto, con qualche canzone pop, alcune un po’ esotiche e altre che riprendono il vecchio stile del gruppo.
Di lì a poco, Robert Smith rilascia una dichiarazione che getta i fans nello sconforto: secondo il leader della band, il 1999 potrebbe essere l’anno dello scioglimento, dopo un ultimo album.
Nel 2000 esce il riflessivo ed elegante Bloodflowers, imperniato sempre più sulla figura di Smith, ormai quarantenne. L’album, composto esclusivamente da lunghe e seducenti ballate, non ottiene il riscontro che meriterebbe. La band si lancia in una trionfale tournée mondiale: l’ultima dei Cure. Lo scioglimento sembra essere certo, per mesi la band scompare da ogni rivista. La favola dark raccontata da Apter si chiude qui, i Cure invece ritornano alla fine nell’autunno 2008 con la loro ultima fatica 4:13 Dream, un album piuttosto vario e disinvolto nello spaziare tra diverse sonorità.
Nel 2010 arriva la ristampa di uno dei dischi più amati della band: Disintegration, che esce in edition deluxe di tre CD, con inediti, live e rarità, a cui se ne aggiungono altre postate in esclusiva sul sito della band.
Storia dei Cure in canzoni

Killing an arab “è una canzone profondamente radicata in un’attenta […] analisi dell’alienazione” (p. 68), in Three Imaginary Boys (1979)
Play for today “solenne e depressa” (p.139), in Seventeen Seconds (1980)
Other voices “ispirata da un romanzo di Truman Capote […] sembrava che il pezzo potesse andare avanti all’infinto, strisciando nell’oscurità della notte” (p. 160), in Faith (1981)
Cold “un’ode al nulla lenta e strisciante in cui Smith si lamenta” (p. 193), in Pornography (1982)
The Walk “una canzone pop ideale per tutta la gente arcistufa dei Culture Club” (p. 220), in Japanese Whisper (1983)
Shake Dog Shake “il cantante si produce nell’urlo più stridulo e inquietante che avesse mai registrato” (p. 232), in The Top (1984)
In between days “perfetto equilibrio tra melodia e malinconia” (p. 241), in The Head on the Door (1985)
Just like heaven “rivela i dettagli di una notte che Smith e sua moglie Mary Poole passarono insieme ad altri amici sulla scogliera  di Beachy Head” (p.258), in Kiss me, Kiss me, Kiss me (1987)
Plainsong “stabilisce perfettamente l’atmosfera di Disintegration (p. 275), in Disintegration (1989)
High “il classico brano di pochi minuti sull’amore e il rimpianto” (p. 291), in Whish (1992)
Jupiter crash “è un ritratto interiore del Robert Smith sognatore a occhi aperti” (p. 309), in Wild mood swing (1996)
Ther is no if “Smith si lamenta di non riuscire a provare sentimenti e di essere incapace di esprimersi” (p. 319), in Bloodflowers (2000)
Sleep when I’m dead “pop obliquo”, in 4:13 Dream (2008)

Jeff Apter – The Cure. Disintegration. Una favola dark (Arcana, 2006; p. 452, trad. it. a cura di A. Salacone)

Boys don’t cry


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