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E’ stato teatro: Afterhours @ Auditorium Conciliazione (RM) 23/03/10

afterhours_teatro01Via della Conciliazione. Il Vaticano. Piazza San Pietro. Aria strana, aria di storia malata. Eppure storia. Imponenza del regime nelle linee austere dei marmi, nell’ampiezza delle strutture. Emblema paradossale. Non è tardi. Non lo è affatto. Verso le 21.00 comincia il lento fluire di una folla composta verso l’Auditorium. Non è tardi e la folla è composta, discreta. Non è tardi e la scena è tutta per un gruppo che fa rock. Non è tardi, suonano gli Afterhours, e il succo della sera è Teatro. E non è un gruppo in teatro. E’ un gruppo che vuole fare teatro.

Le luci si abbassano mentre i corpi sono ingoiati dal velluto rosso delle poltroncine. Silenzio. Un uomo si avvicina al microfono, un altro si avvicina all’alchimia dei rumori. Agnelli. Iriondo. Due, solo due. E il silenzio si crepa, d’un tratto. Intonazione, pausa, impeto, respiro, controllo. “Anche se non ho le ali non…”. Comincia così, da Il meraviglioso tubetto. Parole di anni fa e quel qualcuno che degli Afterhours era parte. E non è passato messo in scena: è altro. E’ la possibilità di ritrovare un senso, oltre le singolari esperienze.
La parola cambia ritmo. Chiede musica. Gli Afterhours al completo per una Tarantella all’inazione che si scioglie nelle volute accattivanti di un’ironica danzatrice, che avrebbe guardato con invidia anche Salomè.
Su Musicista contabile la scena cambia. Un confine bianco separa il palco dal pubblico: giochi di luce e le visioni d’avanguardia di Graziano Staino sanno ammaliare, indovinando un sapore sinestetico raro.
Posso avere il tuo deserto?, Simbiosi, Senza finestra, Ice box, 1.9.9.6, Punto G, Ritorno a casa, Oceano di gomma sono tra i momenti più alti dello spettacolo. E negli angoli riservati a Pelle l’incanto si serve di un pianoforte, delle dita e della voce di Agnelli, del fervore degli Gnu Quartet: il rock può avere vesti insolite, anomale e per questo saper stupire e convincere. Forse accade perché l’attitudine è anche questione di verità. Ballata per la mia piccola iena, Varanasi Baby, La vedova bianca, E’ solo febbre sono gli altri tasselli di un mosaico variopinto e perfetto. Musica che tende la mano alle letture di Cesare Basile (Versi del testamento di Pier Paolo Pasolini) e dello stesso Agnelli (Le jene di Ennio Flaiano). Musica che si ferma quando entra in scena il comico Antonio Rezza, introdotto da una versione nuda de Il paese è reale (chitarra e voce). Rezza diverte, ma con il retrogusto delle sferzate; interagisce col pubblico, lo provoca, lo punge; interagisce con gli Afterhours, fino a farne ingredienti della sua specialissima interpretazione della Pietà del Mantegna. L’ironia, la capacità di non prendersi troppo sul serio, arrivando a giocare con se stessi, e sempre con intelligenza: aspetti più che mai vivi, riplasmati.
E la chiosa trova un posto per Spirit Ditch (Sparklehorse), un saluto a quel Marck Linkous recentemente scomparso. Il mio ruolo scrive fine alla serata.
Restano le immagini di una band in piena forma, che ancora una volta vince i cambi di line up e ne esce forte. Forte e fiera. Resta un Manuel Agnelli condottiero, emozionante e emozionato. Resta una scaletta audace e saggia. Restano le corde dei violini, violoncello, viola. Resta il flauto traverso. Resta il pianoforte. Restano le voci nude. Restano i corpi dentro la gestualità delle intenzioni sapienti. Resta il rock che va oltre le sue regole. “Avete fatto teatro, Voi”. E se capita di sentirlo, tanto vale dirlo. (Foto di Laura Bernardini)

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