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L’entusiasta e l’asceta: intervista ai Betzy

betzy_inter01Diari di vita vissuta, parole ed idee che attraversano l’oceano, le montagne e la Pianura Padana. Ru Catania interviene sugli appunti di Fabio Cussigh e, quasi per gioco, prende vita un disco. Le atmosfere omaggiano il passato, pur inserendosi perfettamente in un contesto assolutamente presente. LostHighways incontra gli artefici di Romancing the bone, l’album frutto di questo concepimento particolare, per conoscere meglio Betzy e i suoi segreti. Inoltre, ad accompagnarci in questa intervista, due brani dal disco: si tratta di Just a call e Sisters are better, biglietti da visita con cui gli artisti decidono di presentarsi ai lettori. (I brani sono in streaming e in free download autorizzato da Lady Lovely)

Innanzitutto presentiamo il progetto ai lettori: com’è nata la vostra collaborazione? Avevate già in mente di lavorare insieme o è stato questo disco ad unirvi?
Ru: Eravamo già amici ma non avevamo mai suonato insieme. Poi è capitato un primo provino per gioco, e il risultato ci è piaciuto tanto da spingerci a fare un intero album.
Fabio: Che dire, io e Ruggero siamo uniti da anni, ma musicalmente direi che questa è stata la prima volta. Un paio di anni fa avevo messo on line una versione primitiva di Little Student che avevo registrato con i miei coinquilini a New York. Reduci da un paio di bocce di whiskey non sapevamo come farcela passare e guardando le studentesse in strada, intente a tornare a casa, mi è venuta voglia di scrivere una canzonetta. Ruggero mi ha chiamato e mi ha detto: “Ne hai altre di quelle canzonette?”.

In quest’opera ognuno ha avuto un ruolo preciso. Fabio ha portato dall’America un diario, parole e melodie: come sono nati i racconti, da dove vengono i personaggi che sono descritti? Ru, come si è evoluto il processo creativo una volta avuto per mano il materiale di Fabio?
Ru: Volevamo un album dal gusto blues ma attuale, non anacronistico. Mi son messo a giocare con le tracce, io e Fabio suonavamo ogni strumento ci capitasse a tiro (e anche ogni non strumento), senza neppure porci il problema se fossimo capaci di suonarlo. Il più delle volte non lo eravamo. Ho utilizzato Ableton Live per l’intero album, questo mi ha dato modo di provare un sacco di cose che con altre DAW (digital audio workstation, ndr) sarebbero state lunghe e macchinose tanto da farmi passare la voglia. Ogni idea era a portata di mano, se funzionava bene, altrimenti si passava ad altro, questo un po’ per tutto: i virtual instrument, gli strumenti campionati, le tracce audio e le strutture stesse. La flessibilità del software mi ha permesso di sbizzarrirmi sul rock blues con tecniche che solitamente sono peculiarità di generi più basati sull’elettronica.
Fabio: I racconti… Purtroppo si tratta di vita vissuta: le melodie le ho rubate tutte quante ai Beatles e i personaggi sono il concentrato di tutto ciò che amo e odio di me stesso.

betazy_inter02Vi ritrovate nella definizione di chi ritiene Romancing the Bone un concept album?
Ru: Non mi sono mai posto il problema. Forse no. Il fatto che il disco abbia un gusto definito, una identità spiccata, un suono particolare e una storia di fondo che lega tutti i testi, non credo ne faccia automaticamente un concept album… O sì? Io direi di no, è così altisonante come definizione che non mi prenderei la briga di ritrovarmici.
Fabio: Buono! Sì, è indubbiamente un concept album. Ogni canzone di Romancing the Bone è dedicata a una donna diversa e il modo in cui racconto le storie non è nient’altro che un tentativo di “Romanzare l’osso” e cioè l’erezione.

Siete gli unici artefici del disco o avete avuto dei collaboratori?
Una manciata di strumentisti: alcuni perché li volevamo davvero, altri per puro caso, recuperati il giorno stesso delle incisioni. In entrambi i casi, risultati ottimi, sempre nell’ottica della produzione ludica.

Ci sono diversi appigli sonori in quest’opera: dalle fumose atmosfere più spiccatamente blues ad aperture vagamente psichedeliche. Quali sono i vostri ascolti e in che misura ritenete possano aver influenzato la forma di questo album?
Ru: Potrei davvero citare di tutto, talmente tutto che non avrebbe senso. Il rock vecchio tutto. Nessuno più di altri, per quanto mi riguarda, solo il background di una famiglia rockettara. Proprio a voler fare un nome, nelle influenze più moderne citerei Beck, più che per la musica forse perché fu uno dei primi a mischiare le chitarre folk coi beat scassati campionati.
Fabio: Quando scrivevo i pezzi non ci facevo molto caso, poi riascoltandoli mi accorgevo che più che nutrirmi di influenze, suonavo chiare citazioni di tutti gli artisti che adoro. Partendo dai Beatles, passando per Bowie, Elton John, Cat Stevens, Donovan, Nick Drake, Paul Simon, Nick Cave e via come i missili!

La vostra opera è figlia di diverse città, pensate che luoghi così differenti abbiano contribuito a dare timbri diversi a Romancing the Bone?
Ru: In realtà il binomio non è Udine-Torino, ma Udine-Pomaretto, che è un paesino sperduto in Val Germanasca. Credo che l’album non abbia nulla di torinese a livello musicale e neppure a livello di approccio. Risente al contrario di una non-influenza torinese, e più in generale di una non-influenza urbana (italiana) in fase di produzione. La nostra opera, come la chiami tu, è stata suonata e prodotta in questo paesino, con i nostri amici musicisti che passavano in studio, ma parte dell’energia io l’avevo già incanalata durante le mie visite in Friuli. Credo che a livello di attitudine questo disco prenda più dalla scena friulana che non piemontese: sono anni che sono affascinato da realtà come Riotmaker, Tempesta, Alambic Conpiracy e Matteite. Queste etichette fanno cose diversissime tra loro, ma trovo una tale identità di fondo, nel modo di fare, che mi spinge a considerarle un Movimento. La scena torinese, sebbene più nota, non mi dà la stessa impressione. Poi chiaramente i brani sono stati scritti a New York, questa dimensione metropolitana in fase compositiva invece la si percepisce eccome.
Fabio: Andarmene da New York è stato un trauma, quello è un paese dei balocchi, non puoi bere per strada ma puoi comprare una bottiglia di birra a qualsiasi ora. Hai idea di quanto ti cambia la vita? Forse no, a me l’ha cambiata e poi parliamoci chiaro, a New York non è difficile fumarti un po’ d’erba con Chris Robinson dei Black Crowes, fare a gara di whiskey con Fabrizio Moretti degli Strokes, trovarti a chiacchierare di motociclette con la figlia di Keith Richards o cercare di portarti a letto Rosario Dawson. In Italia sembra invece che la gran parte degli artisti cammini sul tappeto rosso, io quella merda la odio.Insomma, da un lato io ero pieno di questo entusiasmo americano, dall’altro Ruggero ritirato sui monti come un asceta, il succo è lo stesso. Quindi i timbri di cui parli sono indubbiamente d’oltreoceano.

Il vostro album incuriosisce sin dalla copertina. Ce ne parlate?
Ru: Chiedete al capo.
Fabio: E’ stato un parto niente male, hai idea di cosa voglia dire mettere vicino venti donne e un paio di travestiti? Avrei preferito farlo con i cani, credimi, sarebbe stato più facile. Ma la mia idea di base era quella di dare un volto a Betzy e il miglior modo per farlo era quello di trovare i suoi lati diversi in donne diverse, in donne che amo per motivi diversi. Si tratta comunque di una chiara citazione di Electric Ladyland.

betzy_inter03Quali progetti avete ora? Porterete in tour Betzy?
Sì, il buon Ugo Mazzia ha deciso di entrare nella ballotta di Betzy e la neonata ma non sprovveduta agenzia Doc Live ha preso sotto la sua ala l’intero roster Lady Lovely composto da Betzy, A Dog To A Rabbit e WAH Companion. Le prime date confermate sono: il 4 marzo al Neon di Rimini all’orario aperitivo, l’11 marzo da Giancarlo ai Murazzi di Torino con gli A Dog To A Rabbit e il 13 marzo all’Espresso Italia di Pinerolo. Troverete tutto su ladylovely.it.

Link: Betzy Free Download

Betzy – Preview

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