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S/T – Monsters of Folk

monsters-of-folkNon poche volte gli esempi storici ci hanno dimostrato, contribuendo a costruire la leggenda, che i supergruppi sono materia pericolosa e spesso poco entusiasmante. La storia della musica ci ha propinato tantissimi dischi di nomi mischiati per rilanciare carriere, promuovere l’immagine o semplicemente per ricaricare portafogli vuoti, più che volti a fini meramente artistici e qualitativi. Il rischio potrebbe essere lo stesso nell’affrontare questo nuovo capitolo della scena modern folk targato Monsters of Folk poiché appena si sente parlare di “supergruppo” si storce già il naso avvertendo che qualcosa nell’aria puzza. Ebbene Monsters of Folk non è un supegruppo! E non mi riferisco alla indubbia qualità o rilevanza dei componenti per la scena indipendente americana, quanto piuttosto alla personalità dei singoli artisti e alle intenzioni con cui nasce questo progetto. La scena del folk acustico americana è molto più coesa di quanto ci si possa immaginare, in un paese che risente fortemente delle sue tradizioni musicali folkloriche, che poi vuol dire country, coinvolgendo moltissimi artisti sin da giovanissima età. Capita che Conor Oberst, meglio noto come Bright Eyes, sicuramente uno dei più grandi cantautori moderni, capace di scrivere e di produrre bellezza con una facilità e prolificità impressionanti, insieme a Mike Mogis, autore e produttore del giro Saddle Crick nonché polistrumentista alla corte Bright Eyes, si ritrovino in tour insieme a Matthew Ward, il promettente cantautore e chitarrista di Portland e Jim James, cantante dei My Morning Jacket, sicuramente tra le più interessanti e moderne realtà rock americane. Capita poi, quasi per gioco, divertimento e soddisfazione personale, che questi quattro individui si mettano a suonare insieme, per lo più il buon vecchio folk delle tradizioni dai quali tutti sono partiti nelle loro rispettive carriere. Era il 2004. Capita poi che l’amicizia e l’intesa si consolidino tanto che ci inizi a provare gusto e allora la strada verso la release è tutta dritta: la loro versione di Girl of the North Country del dio dei cantautori americani (e non solo) Bob Dylan finisce in una compilation di Mojo; si decide di fare un disco insieme col nome ironicamente pomposo di Monsters of Folk. E con un nome del genere di certo ti aspetteresti da subito un bel revival del folk più puro e tradizionale. Ed invece non è così. Il disco si apre subito con le influenze black music di Dear God (Sincerely M.O.F.), sulla base campionata di un vecchio pezzo funk di Trevor Dandy, che vede subito Jim James e Matthew Ward immolare le autentiche voci su batteria elettronica e arpeggi stranianti. Ciò che rende estremamente piacevole e spesso anche interessante il lavoro è la volontà di suonare cercando l’intesa di una vera band, ma rispettando, ed anzi esaltando, tutte le singolarità. Così ognuno si mette a completa disposizione degli altri, accompagnando e sostenendo le armonie con splendidi cori in puro stile gospel. Il ritmo terzinato di Say Please ci porta tra le melodie pop e si fa amare tra ritornellone e tripudio di chitarra elettrica con tanto di assolo. Whole Lotta Losin’ mostra subito dei fantastici cori armonizzati per tutta la durata del brano che si muove tra riff di chitarra crunch e ritmica di piano honky tonk. Temazcal sembra un classico pezzo di Bright Eyes, spoglio e bellissimo, con Oberst che emoziona letteralmente con la sua voce particolare, muovendo dalla lentezza, lasciando attoniti, riportando a tradizioni secolari di terre lontane perdute tra le usanze e l’abitudine, tralasciando spesso la conoscenza delle origini. Un po’ di folk inizia a vedersi nella splendida chitarra slide (cifra stilistica presente sempre in maniera più che azzeccata in tutto il disco) e nelle parti corali della piacevolissima e sorridente The Right Place. Da qui in poi tanta tradizione e tanto revival escono più vivi che mai tra le suggestioni chiare di un immaginario moderno, ora nell’esposizione del sogno americano dallo sbarco dei pellegrini fino all’11 Settembre (Baby Boomer), ora nel puro gospel e negli splendidi fraseggi di chitarra di Goodway del geniale M. Ward, ora negli accenti western di Man Named Truth. Maggiormente legate ad una concezione moderna di folk più vicina al pop, ma senza mai dimenticare la tradizione, Magic Marker e Map of the World. E se Matthew Ward è il più nostalgico ed il fattore positivo che non ti aspetti, Conor Oberst, sempre più devoto a Bob Dylan, probabilmente non inventa niente di nuovo ma riesce a scrivere sempre dei brani stupendi alla sua inconfondibile maniera (Ahead of the Curve ne è un altro bellissimo esempio). Armonie ammalianti, quasi astrali, cullano con dolcezza la voce tenue di James tra carezze di chitarra e cori in falsetto (Slow Down Jo). Quasi non riesci a mantenere ferma la testa sul rock ‘n roll puro di Losing Your Head che sembra più vicina al mood My Morning Jacket con un Mogis che si supera in quanto a riff e assolo melodicissimo. Conclusione affidata all’intimismo di chitarra acustica e voce prima con M.Ward nella incantevole Sandman, The Breakman & Me, poi con Jim James a chiudere con l a stessa invocazione a Dio con la quale si era iniziato tutto il cammino (His Master’s Voice). Un cammino che parte da luoghi remoti, in tempi distanti ma mai dimenticati, che giunge fino a noi con la purezza originale e con l’apporto di tutti gli incontri fatti per strada. Monsters of Folk è un disco dall’anima prettamente e sinceramente americana in cui ognuno dona il suo contributo personalissimo e onesto per un lavoro che risulta piacevole e forte proprio per le sue diversità.

Credits

Label: Rough Trade – 2009

Line-up: Conor Oberst – Mike Mogis – Jim James – M.Ward

Tracklist:

  1. Dear God (sincerely M.O.F.)
  2. Say please
  3. Whole lotta losin’
  4. Temazcal
  5. The right place
  6. Baby boeme
  7. Man named Truth
  8. Goodway
  9. Ahead of the curve
  10. Slow down Jo
  11. Losin’ yo’ head
  12. Magic marker
  13. Map of the world
  14. The Sandman, the Brakeman and me
  15. His Master’s voice

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