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Una sonorizzazione, un disco: intervista a C. Nuccini (Giardini di Mirò)

10_gdm_rIl fuoco è il quarto disco dei Giardini di Mirò ed è nato dalla sonorizzazione di una pellicola del cinema muto.
Una pellicola omonima del 1915, diretta da Giovanni Pastrone.
La sinestesia  raggiunta dai Giardini di Mirò tocca livelli altissimi. Si tratta di una sonorizzazione che si fa complemento della restaurazione del film voluta dal Museo Nazionale del Cinema di Torino. Ma si tratta anche di un disco che gode di luce propria. Il fuoco è un’esperienza iper-sensoriale da vivere tutta d’un fiato. Gruppi blasonati di rock strumentale alternativo stranieri non hanno la classe emotiva dei Giardini di Mirò.
LostHighways, che predilige le sinergie tra la musica e le altre arti, non poteva tralasciare di approfondire tale progetto con Corrado Nuccini.(Foto 1 e 4 di Daniele Rebecchi)

Il quarto disco dei Giardini di Mirò nasce dall’intento sinestetico di sonorizzare il film muto IL Fuoco, diretto dal regista Giovanni Pastrone nel 1915. Da questa ardita sinergia di arti, in bilico tra passato e presente, si è giunti ad una vostra composizione sinfonica che ha un’anima a sè stante, che sa anche godere di luce propria indipendentemente dal corredo delle immagini. Sfruttare la sonorizzazione per realizzare il vostro nuovo disco è sempre stata l’idea cardine sin da quando avete accettato la proposta del Museo Nazionale del Cinema di Torino o ha preso forma nel tempo?
No, l’idea non nasce subito ma nel momento in cui abbiamo capito che le musiche scritte per Il Fuoco rappresentano al meglio il suono dei Giardini di Mirò oggi. Questa cosa è successa dopo aver assimilato bene tutto quanto, sicuramente mesi dopo la prima presentazione del progetto avvenuta a Torino nell’ottobre del 2007.

Il processo compositivo è avvenuto improvvisando direttamente dalla visione del film e dalle emozioni che suscitava o avete rielaborato idee già presenti e adattate alla sonorizzazione?
Una cosa del genere, con un filo di romanticismo in meno e di sostanza in più. Ci siamo divisi i tre atti del film in nuclei di due persone e poi abbiamo rielaborato tutto insieme in sala prove.

03_gdm_rAvete già portato in giro questo spettacolo in vari teatri, com’è stato il riscontro del pubblico? In Italia c’è la possibilità di realizzare operazioni culturali di un certo spessore come questa e ricevere grande attenzione?
Nel nostro caso è sempre andata molto bene: buona risposta di pubblico e ottimi feedback. In generale, non ci vuole un premio nobel, è un pessimo momento per il nostro paese e la cultura espressa. Attenzione però, cosa pretendiamo? In un paese dove il ministro della cultura è Sandro Bondi, e quelli prima sono stati Rutelli e Buttiglione, ecco, dimmi tu cosa ci si deve attendere? Nel nostro piccolo portiamo avanti i nostri progetti con perseveranza e passione. Mi aspetto che da un momento di crisi come questo possiamo riprenderci proprio quando le cose sembrano compromesse.

La pellicola Il fuoco di Giovanni Pastrone può essere vista come un esempio di cinema in cui gli effetto speciali sono i luoghi reali, le tecniche di riprese, le emozioni che scorrono sui volti degli attori. Quindi una lezione per coloro che oggi spendono cifre inaudite per produrre film che sfruttano tecnologie superpotenti per poi creare un tramonto virtuale che non avrà mai i colori di quello reale?
Mi sembra un buono spunto di riflessione anche se credo che oggi siano cambiate talmente tante cose che sia difficile fare un paragone. Il Fuoco di sicuro esprime una sensibilità ed una capacità di comunicare a partire dalla mimica e dalla comunicazione facciale, d’altronde è cinema muto.

02_gdm_rQual è la scena del film che più vi ha colpiti dal punto di vista emozionale?
Parlo per me ovviamente e non per tutti i Giardini di Mirò. Segnalo un paio di scene: quando lei si allontana guidando l’auto dopo aver abbandonato il pittore al castello, mi sembra un gesto di emancipazione molto forte. L’abbraccio del pittore con la madre prima di fare l’ultima tragica discesa in città, è un gesto pieno di pathos, fin quasi patetico, ma tocca alcune corde proprie dell’italianità, sempre sospese tra il melodrammatico e il tragico.

La metafora del fuoco per rappresentare una storia d’amore che fa da traino per l’ispirazione artistica. La pazzia finale del protagonista per aver perso l’amore, ma soprattutto per aver perso il motore dell’ispirazione. La paura di non avere idee compositive è un aspetto che non tange il vostro approccio creativo. Possiamo dire che “il fuoco” può essere visto come un esempio di questa vostra filosofia: realizzare dischi quando è necessario e non inseguire tabelle di marcia commerciali e promozionali?
Sì, bravo!

Uscirà un DVD?
Dipende dal Museo del Cinema di Torino che è proprietario della pellicola. Noi le musiche le abbiamo pronte e siamo ben felici di metterle a disposizione. Il progetto c’era, poi credo si sia inarenato. Speriamo che l’uscita del disco sia un nuovo stimolo.

Voi avete collaborato tanto con artisti ed etichette all’estero, avete una visione completa della scena musicale indipendente mondiale. Quali sono le principali differenze con quella italiana?
Onestamente non credo di avere questa visione complessiva della scena mondiale. Abbiamo sempre lavorato con piccole etichette indipendenti che non esprimono una reale panoramica della musica internazionale ma il loro piccolo mondo. Questo ha indubbiamente un suo fascino ma al contempo mi rende incapace a rispondere alla domanda: vorrei evitare di dire banalità superflue. Condividi? Posso però dire che Unhip è un’etichetta cresciuta sul modello delle migliori label tedesche, inglesi e americane degli anni novanta e dei primi duemila. Ha un approccio che non ha nulla da invidiare alle famigerate etichette estere, poi il resto lo fanno i gruppi. Vero?

Vero. Cosa ne pensi delle netlabel e le licenze Creative Commons?
Ogni laboratorio, nuova esperienza, forma nuova di distribuzione è ben vista da parte mia e penso anche da tutti i Giardini di Mirò. Certo, vada portata avanti con spirito critico e consapevolezza di ciò che si fa, anche nel rispetto di lasciare a tutti la libertà di fare le giuste scelte.

07_gdm_rAlcuni dei vostri elementi stanno per iniziare progetti paralleli. Me ne parlate?
Nei Vessel suoniamo io, Emanuele Reverberi (sempre dei Giardini di Mirò) e Alessandra Gismondi dei (P)itch. E’ un progetto legato alla musica d’autore, il cantautorato, il folk e la psicadelia, il rock newyorkese. Da Leonard Cohen ai Velvet Underground, ai DNA. Facciamo dei concerti quest’autunno e stiamo preparando un EP d’esordio. Veniteci a vedere.

La favilla – Preview

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