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The blue planet. Oratorio Multimediale: Teatro Nazionale (RM) 08/02/09

blueplanet2La morte (o la sua allusione) rende preziosi e patetici gli uomini. Questi commuovono per la loro condizione di fantasmi; ogni atto che compiono può esser l’ultimo; non c’è volto che non sia sul punto di cancellarsi come il volto d’un sogno” (Jorge Luis Borges). Le visioni di Peter Greenaway sono anche figlie dell’amore per il poeta dei labirinti e degli specchi, forse proprio in questo amore si radica la lettura ‘infedele’ della Genesi, la sacralità di questa infedeltà che fiorisce in ricchezza semantica, in infinite possibilità – di interpretazione e rappresentazione – che permangono, senza mai negarsi l’un l’altra, suonando un requiem al mondo e all’umanità, perché questa si porti fino all’epifania del pianeta blu, perché porti ad una resurrezione possibile. Greenaway, insieme a Saskia Boddeke, compagna d’arte e vita, ha ideato e diretto un oratorio multimediale per raccontare un diluvio universale che è quello biblico ed insieme altro, sua rilettura e figurazione visiva e sonica del presente rapporto tra l’uomo e il divino, tra l’umanità e la terra. Commissionato dal Teatro dell’Opera di Roma in collaborazione con Change Performing Arts, Elsinor Barcelona, i Teatri e i Musei Civici di Reggio Emilia e CRT Artificio di Milano, l’oratorio multimediale, musicato da Goran Bregović, è stato presentato a fine agosto del 2008 all’ExpoAgua di Saragozza per poi essere adattato in forma di rappresentazione teatrale o istallazione e messo in scena al Teatro Nazionale di Roma in anteprima mondiale.

Sei schermi di diverse dimensioni e posizionati a diverse altezze, un fondo fatto di proiezioni, un pavimento d’acqua, due sedie, due corpi, il loro linguaggio di parole e gesti, il canto di una donna, due avatar, un dio ermafrodita con voce femminea e un Noè anziano, egoista, ubriaco, chiuso in una latrina senza la capacità di vedere la propria fragilità e quella del mondo, incapace di riconoscere come la morte renda prezioso e patetico l’uomo. Questo lo spazio, questi i protagonisti di un diluvio ri-creato facendo appello alla parola, ai suoni, alla musica, alle immagini, alle visioni, alla danza, alla carne, all’idea, al blu, all’acqua… e nell’acqua, nelle sue rappresentazioni e nei suoi simboli, si riflette l’identità dell’uomo, ciò che è diventato, ciò che ha conquistato, perduto o distrutto, la precarietà del suo suolo, la spiritualità, le sue forme molteplici e le infinite idee del sacro, comprese quelle che arrivano ad abbracciare la blasfemia. Nell’acqua si riflette l’epopea di Gilgamesh, l’armonia delle sfere, la Bibbia, la cultura greca, il paganesimo, il Golem, le sonorità del mediterraneo, le tecnologie, la virtualità, la filosofia platonica… l’umanità, con le sue fedi, i suoi miti, i suoi dei, le sue bestemmie, la sua finitezza, il suo cercare una salvezza possibile costruendo poesie, favole, tracce di bellezza in cui risorgere. Nell’acqua sta il principio della vita. Con l’acqua inizia e finisce la storia del pianeta blu. Una storia che inizia a scena aperta, con una musica sottile e l’immagine e il suono di una goccia. Comincia prima che si spengano le luci The blue planet, perché è già in atto. Sul palco trasformato in specchio d’acqua i figli di Noè, nel loro essere speranza ed appello alla coscienza, prendono corpo attraverso Hendrix Aerts e Dory Sanchez, nel vigore dei loro slanci, blueplanet1nella grazia dei loro movimenti, nelle loro lingue, nella bellezza dei gesti che sembrano fare e non seguire musica. Noè fa capolino da uno schermo in forma di elaborazione digitale, ispirato alle fattezze degli avatar di Second life ha la voce di Moni Ovadia. Anche Dio, che parla e sbraita con voce di donna, quella di Maria Pilar Pèrez Aspa, ha per sembianze dei tratti virtuali e per spazio scenico uno schermo. Da un altro si presenta la moglie di Noè, qui una Giovanna d’Arco che canta con la voce magnifica di Helga Davis, ora tuonante ed ora suadente, delicata come i baluginii di un vetro spezzato, dolente, straziante, assordante nel farsi muta, nel con-fondersi con il canto delle balene e il suono delle acque. Le parole sono recitate, sussurrate, gridate, cantate o scritte in inglese, francese, italiano, spagnolo ed insieme alle melodie di Bregović, suonate dal vivo a margine del palco/specchio dalla Brigata Sinfonica, legano ed illuminano il susseguirsi delle immagini, le forme degli animali e delle città, le macchine e le baracche, la fame dei bambini, le miserie, il petrolio, la spazzatura, il cibo e il cibo-spazzatura, l’oceano, le bombe esplose, le foreste, la pioggia, i sorrisi, gli incubi. Oggi Noè rinasce in un uomo troppo egoista per essere disposto a salvare qualcuno, ad avere fede nella terra. Oggi Noè non sa neanche salvarsi, condanna i suoi figli e il suo egoismo seppellisce più delle catastrofi il pianeta blu. Neanche la donna sembra più essere capace di pietà, “Dio crea/L’uomo distrugge“… con questa litania rifiuta di assolvere il proprio uomo, gli ringhia addosso con amore offeso. Ma alla fine è nella madre che la salvezza av-viene, si compie. È nella madre che il pianeta blu risorge, nel suo ventre, nel liquido amniotico, in un’acqua in cui i figli si spogliano, tornano nudi a dipingersi di blu, a lavarsi danzando, a trovare la fine come nuovo inizio. “Ella si alza quando è notte e dà nutrimento alla sua casa” (Prv, 31, 15). La musica esplode come una gioia, fa deflagrare ogni gesto in armonia ed accompagna l’uomo che nasce nudo, l’umanità che rinasce nuda… il risorgere del pianeta blu, fatto d’acqua e carne, di canti, di visioni o sogni. Greenaway, così come nei suoi film, sa raccontare una storia agli occhi, fa dei segni e dei gesti, delle parole e delle musiche una forma, un’immagine, una luce visibile. Il regista-pittore si rivolge allo sguardo e gli offre l’occasione di scoprirsi vedente, di scoprire la visione come se gli occhi non fossero mai stati aperti prima di allora… ha la capacità di dischiuderli legando ciò che racconta al modo in cui lo racconta, i sensi ai segni, i significati ai significanti. Tra multimedialità e sincretismo, tra tecnologie e tecnica, fiaba e verità, mondi virtuali e terra, The blue planet si fa narrazione, riflessione, provocazione del pensiero e del sentire intorno all’ambiente, al mondo, all’uomo.
blueplanet3Un capolavoro nutrito dalla visionarietà di Greenaway, dalla scrittura di Boddeke, dalla musicalità che Bregović ha saputo cogliere nelle parole e nei movimenti, nel ritmo delle immagini, nella modulazione delle luci, facendola risuonare insieme ad una musica o canto che porta con sé i sapori dell’arcaico, del terreno.
Vivificata ad ogni rappresentazione dalla Brigata Sinfonica che, vestita di bianco, chiude lo spettacolo solcando con gli strumenti a braccio il palco d’acqua, la musica di Bregović è anch’essa narrazione e danza tra la sacralità e la corporeità, tra l’elemento acquatico ed aereo, tra le valli o i miti, tra gli dei e gli uomini, tra le fanfare e i canti delle balene, è un requiem e un alleluia, il dolce rumore di un figlio che galleggia nell’acqua come nel ventre, le grida della madre, la voce di una goccia… la voce, ammaliante, di un pianeta blu. “Ancora/ vi sono melodie da cantare/ al di là degli uomini” (Paul Celan).

Credits

The blue planet. Oratorio Multimediale

Ideato e diretto da Peter Greenaway e Saskia Boddeke
Con musiche di Goran Bregović

Scene: Annette Mosk
Costumi: Marrit Van Der Burgt
Luci: Marcello Lumaca
Second Life design: Luca Lisci
Video editing: Irma De Vries
Fotografia: Luciano Romano
Arrangiamenti musicali: Antonio Catalfamo, Alessandro Vicard, Daniele Lo Re, Helga Davis

Noè (voce in Second life): Moni Ovadia
Dio (voce in Second life): Maria Pilar Pèrez Aspa
Giovanna d’Arco – Moglie di Noè: Helga Davis
Figlio: Hendrix Aerts
Figlia: Dory Sanchez

Brigata Sinfonica: Antonio Catalfamo (soprano e sax tenore, flauto) – Alessandro Vicar (basso elettrico, contrabbasso) – Davide Granato (chitarra elettrica e acustica). E con: Dionys Breukers (fisarmonica, tastiere, percussioni) – Marta Maggioni (percussioni)

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