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Non compro mai hamburger dai pagliacci: Intervista a Gionata

LostHighways incontra il cantautore svizzero Gionata che recentemente ha pubblicato il suo quarto album Daytona, ispirato dalle foto della 200 Miglia del 1974 scattate da suo padre. Un disco a 4 tempi che trasuda olio come una Aermachi del ’72. La musica di Gionata è cantautorato pop tra Gaber e Bluvertigo. Un rock indipendente con arrangiamenti di elettronica artigianale. Nei vari brani del disco si susseguono slogan di geniale verità che fotografano il ritmo autodistruttivo della nostra società. La metafora delle corse è centrale perno di un disco dove il pop acquisisce significato e portatore di messaggi mai banali. Siamo davanti ad un interessante artista che ci parla non solo del suo universo sonoro, ma anche del mondo discografico e della rete in maniera schietta e sincera.

Daytona come luogo della memoria e come metafora della corsa verso l’omologazione della società moderna. Com’è nato il concept del tuo quarto album?
Qualche anno fa mio padre, che negli anni ’70 è stato un pilota di moto, mi ha mostrato una serie di scatti della 200 miglia del 1974. Le foto mi hanno steso per la loro bellezza ed è stato naturale farci sopra un album.

Il tuo pop è ironico, riflessivo e a tratti tagliente. In alcuni brani ho visto l’attitudine di Giorgio Gaber. Quanto è importante inviare messaggi significativi in una canzone pop?
Ti ringrazio per il complimento. Mi è capitato di leggere che la mia musica ha una componente nonsense, beh io non condivido molto. Una canzone senza significato alcuno tra l’altro è utopia. Detto questo penso che la forma-canzone pop (in senso largo) sia un distillato di comunicazione straordinario e naturale da cavalcare, con un equilibrio dettato da misteriose regole alchemiche. Quando ascolti una canzone pop riuscita ti porta per tre minuti in un luogo dove non sei mai stato prima e quando ritorni ti accorgi di essere cambiato un pochino in meglio, anche se magari apparentemente parla di caramelle e amore, non è meraviglioso?
Certo, a ogni autore, quando va bene, è concesso scrivere due o tre vere canzoni pop in una vita, gli altri sono esperimenti più o meno riusciti.

Ci puoi parlare degli arrangiamenti dei tuoi brani (tra elettronica e impulsi rock) che risultano mai essere monocromatici, scontati ed invece ben accordati con i tuoi versi?
La mia ambizione, (non solo la mia, immagino) sarebbe quella di fare dei brani che non abbiano un riferimento temporale preciso, sia per quanto riguarda l’arrangiamento che per il testo, non mi spaventa l’ultima tecnologia o il neologismo in voga ma usati da soli mi fanno tristezza… Un atto creativo, riuscito o meno, è per chi lo fa una delle cose più belle che ci siano state concesse, non è possibile non metterci tutto te stesso, e quando metti tutto te stesso alla fine un equilibrio viene per forza fuori. Cerco a volte di mettermi anche in difficoltà tecnica, la possibilità di avere a disposizione qualsiasi strumento e un numero illimitato di tracce all’interno di un unico computer dove è collassato tutto lo studio… non per forza è un vantaggio. Nello studio virtuale la mente la fa da padrona, mentre tutto il resto di noi diventa gelatina gobba da monitor… Imbruttirsi per fare un disco mi sa di malsano…

“Non compro mai hamburger dai pagliacci chi ride sempre non è mai felice”… sacrosante parole eppure sembra che ai posti di comando ci siano sempre i pagliacci e la massa pigra continui a comprare i loro hamburger…
Tra l’altro i posti di comando non sono il luogo più comodo dove stare… la felicità sta secondo me da un’altra parte, in qualche posto anche dentro noi stessi sicuramente, lì vicino a dove abbiamo tutte le risposte che ci servono. Chi è poi la massa? In ogni individuo c’è una componente di massa, non credo si possa completamente eliminare, l’importante è non averne una percentuale troppo alta… diciamo che un 5% di massa ci può stare? bah… ci sono anche aspetti positivi della “massa”, se domani ad esempio qualcuno mi dovesse fare una foto mentre azzanno un hamburger industriale potrei sempre dire che il mio 5% ha preso il soppravvento…

“Alle tue fotografie che per un momento hanno reso il passato così contemporaneo”… Il booklet del tuo disco è basato su queste istantanee scattate alla 200 miglia da tuo padre. Il potere evocativo di queste fotografie che hanno condotto alle atmosfere dell’album…
È stato per me un modo per fare i conti con il passato, francamente non capisco perché al CERN di Ginevra stiano a impazzire con tutti quegli esperimenti, la macchina del tempo già esiste da un pezzo e si chiama Musica.

Non calpestate le fate è un monito a chi distrugge i sogni, l’arte, la musica. C’è una possibilità di salvare questo malaticcio mondo dove tutto corre nella direzione dell’autodistruzione?
Conosco un sacco di persone, compreso te che mi fai questa domanda, che in fondo in fondo già sanno che i i sogni, l’arte e la musica ce la faranno. Questa realtà non ha scampo, vai tranquillo.

“La droga è molto meglio distribuita dei dischi” cantavi in Niente di giovane dietro una droga nel precedente tuo lavoro. Un tuo pensiero sul mondo delle case discografiche, da quelle indipendenti alle major lungo il cammino della tua carriera fino ad arrivare all’Hansia Records?
Il grosso problema della discografia è dovuto ad una mancanza di fantasia-coraggio-slancio da parte degli addetti ai lavori. Giornalisti-discografici-amministratori senza fantasia e abbuiati sono entrati in loop parecchi anni fa e non fanno altro che ripetere compulsivamente le stesse cose e gli stessi gesti. Le “indipendenti” cosa fanno? Applicano in piccolo la stesse strategie, usano gli stessi linguaggi, si danno lo stesso piglio “c’è crisi” delle grandi… Sono le scialuppe del Titanic che, così per emulazione, si mettono a colare a picco. Agli ulitimi MEI di Faenza io non ho praticamente visto etichette indipendenti, soltanto “Minor”. Ci sono le Major e le “Minor”, ecco cosa è rimasto…

Il web (es. MySpace, peer to peer, lastfm) può aiutare a far emergere artisti che non hanno visibilità dai grossi media?
Bene bene, sì io sono per lo scambio e lo scaricamento perché sulla distanza favoriscono la cultura musicale. Fai pure il pienone, tanto alla fine ti ritrovi sempre a 25 anni con i Beatles e Fabrizio De André nell’Ipod.
Proporrei lo scaricamento gratis ufficiale tipo da Itunes e compagni fino a 20 anni, da 20 anni in poi sostieni i progetti che ti stanno a cuore perché quando ami hai anche voglia di dare. Questo sistema avrebbe molti vantaggi, ad esempio farebbe subito piazza pulita delle band di teenager messe in piedi a tavolino da ex-musicisti e produttori più o meno realizzati delle generazioni precedenti e da progetti di pop-ormonale-tetta-culo-tetta che avendo alti costi di realizzazione (con il solo costo del body-oil di un video di questo tipo ci puoi fare un bel video di qualche band emergente) senza un grosso bacino di pubblico non potrebbero reggere lo scossone. Questo lascerebbe spazio poi alle band giovani con qualcosa da dire, grazie alla selezione naturale. Chiudo con un pensiero sui prezzi dei dischi, c’è chi dice che i dischi sono troppo cari, beh alcuni dischi forse sì, altri costano troppo poco, secondo me è folle che tutti i dischi abbiano lo stesso prezzo, per i libri ad esempio non è così… un tascabile costa 2 euro ma un bel libro ben stampato e rilegato ne costa 30. Dovrebbe essere così anche per i dischi. Ho sentito musicisti lamentarsi di magre vendite di dischi realizzati magari con software craccati e a basso costo; va beh dai, i dischi dovrebbero essere considerati per quello che sono, alcuni sono tascabili da 2 euro e altri capolavori da 40 euro.

Video – E’ poco pop





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